Benvenuta tra noi! La Cina comunista ha finalmente conosciuto i dolori del capitalismo, unendosi a tutti noi che viviamo da molto più tempo in questa religione dal culto incessante (Benjamin) che promette il paradiso in terra e che è chiamata abusivamente libero mercato. Anche la Cina si è dunque fatta pienamente capitalista, subendo una pesante crisi, come è regola del capitalismo. La sua passata ambivalenza, quel suo voler essere insieme formalmente comunista ma strutturalmente e antropologicamente capitalista era (per chi è ancora idealista e/o crede nel senso delle parole) davvero imbarazzante e disorientante oltre che contro natura, come se si volessero coniugare gli opposti, far convivere il diavolo e l’acqua santa, ma tutti sappiamo che questo non è possibile. Dunque, bisognava scegliere: comunisti o capitalisti. Come per l’Occidente: democrazia o mercato. Alla fine, nessun dubbio: capitalismo. Che, come ben sappiamo e come ci insegnano ogni giorno media e mercati ed esperti e tecnici, è molto meglio del comunismo. E anche della democrazia.
E così, finito il sogno (ricchezza facile per molti, grattacieli sempre più alti, voler essere prima potenza economica del mondo), anche i cinesi si sono risvegliati in un incubo – come è avvenuto per noi molte volte nel passato, noi che da molto più tempo dei cinesi conviviamo in allegria (l’orchestra continua a suonare per noi) con il capitalismo e le sue crisi e le disuguaglianze che lo fanno vivere e prosperare: perché il capitalismo è dissipativo e distruttivo per natura e ontologia, è evangelico per vocazione (tutto è mercato, nulla al di fuori del mercato, non avrai altro dio che il mercato ), è nichilista per propria teleologia, è omologante e unificante (totalitario) per propria teologia.
[In realtà non sappiamo come finirà il caso-Cina, non sappiamo se il Partito correggerà la sua politica economica, non sappiamo neppure se quanto accaduto è solo l’effetto ovvio e conseguente delle leggi di mercato o se questo nasconde anche – è il mezzo per – una lotta tra correnti all’interno del Partito comunista. E quindi, nel dubbio, proseguiamo in questo nostro modestissimo divertissement.]
Dunque, se sono vere – e non abbiamo motivo per dubitarne – le cronache giornalistiche dei giorni scorsi, dopo il crollo dell’11 agosto e nei giorni a seguire a Shanghai e non solo si sarebbe aperta la caccia al trader e ai funzionari di banca. Se lavorare in borsa era una attività ricercata e ambita fino a poco tempo fa, oggi sembra essere diventata la rappresentazione del disonore sociale, la personificazione della rapacità del capitalismo. “Ridateci i nostri soldi”, gridavano i comunisti-piccoli-capitalisti. “Dove li avete nascosti?”; aggiungendo poi: “La ricchezza non può sparire, trovatela e restituitela al popolo” (citazioni da Giampaolo Visetti, la Repubblica del 26 agosto). Slogan che ci fanno sorridere e ci fanno provare davvero tanta empatia per i cinesi e la loro ingenuità (ma quanti di noi non hanno pensato gli stessi pensieri, dopo il 2007?). Slogan dove la surrealtà e l’ingenuità (appunto: credere che la ricchezza non possa sparire) si confonde con richiami al vecchio e tramontato comunismo ( trovatela e restituitela al popolo!), facendo risorgere quella cosa che appunto è il popolo, scomparso (con o senza maiuscola) invece da tempo dal vocabolario della politica, della sinistra e pure del Partito comunista cinese, restando tuttavia – è la finzione che nasconde la realtà – nella testata del Quotidiano del Popolo. Giornale che ha annunciato la mobilitazione della polizia contro “banche ombra, funzionari sospetti e finanziamenti illeciti” (e 60 le banche clandestine chiuse, 100 gli arrestati e miliardi di dollari sequestrati, seguiti da altre centinaia di arresti, accuse a trader e giornalisti di avere diffuso rumors che avrebbero creato panico e confusione) con (ancora Visetti) sostanziali purghe da anni sessanta.
Crisi cinese che ha messo in allarme i mercati, che temono un rallentamento della crescita dell’economia cinese, il motore del capitalismo globale di quest’ultimo decennio – ed è un altro paradosso: il mondo capitalista dipende dalla salute economica di un paese (anche se solo formalmente) comunista e questo accresce la surrealtà del capitalismo che per crescere si affida al nemico di un tempo – diventato capitalista.
E dunque (e fine del divertissement): Stato o mercato, Stato e mercato oppure lo Stato è il mercato (o viceversa)? Queste le domande che il caso cinese ci dovrebbe porre. Qualcuno ha scritto che la crisi cinese è nata da troppo Stato e poco mercato, che quindi servono altre riforme neoliberiste anche in Cina; ma forse è vero il contrario, quanto accaduto non è stata infatti la vendetta del mercato contro lo Stato (che in Cina ha un ruolo fondamentale, per quanto sia corrotto – ma il mercato non è certo da meno), quanto l’effetto inesorabile della guerra del mercato contro lo Stato (salvo quando chiede allo Stato di salvarlo). In realtà, la Cina comunista e tutto l’Occidente capitalista hanno dimenticato non solo Marx (e molti altri) ma soprattutto la grande lezione di Keynes (che non era un comunista) e che negli anni ’30 del secolo scorso aveva diagnosticato i punti di debolezza del capitalismo, ovvero: instabilità e iniquità. Proponendo quindi, per evitare il peggio, una terapia fatta di redistribuzione dei redditi attraverso la via fiscale (welfare e non solo) e soprattutto – con termine efficace – l’eutanasia del rentier. Dunque: stabilizzare il capitalismo, democratizzandolo; e ridurne le iniquità, grazie al ruolo regolatore dello Stato come soggetto funzionale al perseguimento del bene collettivo e della piena occupazione, limitando le crisi del capitalismo e svolgendo una funzione anticiclica.
Da qui sono nati poi i gloriosi trent’anni post-1945. Invece, l’Occidente e la Cina, negli ultimi maledetti trent’anni di neoliberismo hanno rovesciato la logica keynesiana e hanno sì ridistribuito i redditi ma verso l’alto e non verso il basso; e soprattutto, hanno sostenuto e incentivato il rentier. E il peggio è tornato. Prodotto con ostinata determinazione da un Occidente capitalista e formalmente democratico; e da una Cina capitalista e formalmente comunista.
Fonte: http://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/5746-lelio-demichelis-e-la-cina-divento-capitalista.html