Al di là di qualsiasi riflessione politica (pur necessaria…) su quale dovrebbe essere (o quale sia in realtà) il ruolo delle forze dell’ordine in uno Stato che dovrebbe essere di diritto , trovo personalmente inquietante il prolungato applauso rivolto dagli agenti di polizia durante il congresso nazionale del SAP (il sindacato di polizia) ai tre colleghi condannati a tre anni e sei mesi di reclusione per eccesso colposo in omicidio colposo; in parole più povere per aver ammazzato di botte un ragazzo.
Un gravissimo reato (un omicidio) per il quale i condannati, che sono stati accolti dall’assemblea sindacale come se fossero degli eroi o delle vittime di chissà quale ingiustizia, hanno peraltro scontato solo qualche mese di carcere, perché tre anni circa sono stati coperti dall’indulto.
Ora, personalmente non appartengo alla schiera di coloro che condannano i poliziotti sempre, ovunque e comunque. Penso, come pensava Pasolini, che fra loro ci sia tanta gente che sceglie di entrare in polizia semplicemente per trovare un lavoro e una collocazione nella società. Alcuni, probabilmente, hanno fatto quella scelta spinti anche da un’ autentica volontà di combattere il crimine; non certo quella di manganellare i lavoratori in sciopero, di caricare manifestazioni di disoccupati o di sgomberare famiglie di senza casa dalle abitazioni (di proprietà dei “palazzinari”, privati o pubblici) che hanno occupato per avere un tetto sotto il quale vivere.
Per queste ragioni, credo sempre che ci si debba rivolgere agli agenti di polizia come a dei lavoratori, anche quando sono schierati davanti a noi con i caschi, i manganelli, i lacrimogeni e le pistole. Sputargli addosso, ricoprirli di insulti, disprezzarli, non serve a nulla, ma proprio a nulla. Ed è sbagliato, sotto ogni punto di vista, politico e anche umano.
Ricordo un vecchio manifesto del MIR (Movimiento de Izquierda Revolucionaria – Movimento della Sinistra Rivoluzionaria) cileno, messo fuorilegge subito dopo il colpo di stato del fascista Pinochet, che recitava testualmente:”Soldado, no mueras por los patrones, vive luchando junto al pueblo. Soldado, desobedece a los officiales que te incitan al golpe” (Soldato, non morire per i padroni, vivi lottando con il popolo. Soldato, non ubbidire a quegli ufficiali che ti incitano al colpo di stato).
Ero giovanissimo, praticamente un ragazzino, quando il generale Pinochet, finanziato e armato dalla CIA e dall’allora amministrazione USA Nixon-Kissinger, prese il potere in Cile in seguito a quel colpo di stato cruento e sanguinoso. E ricordo, fra le altre cose, che quel manifesto del MIR mi colpì moltissimo proprio per la sua intelligenza politica.
I comunisti rivoluzionari del MIR si rivolgevano ai soldati non insultandoli, non disprezzandoli, ma invitandoli ad abbandonare gli ufficiali golpisti, torturatori e fascisti, e ad unirsi al popolo, del quale facevano parte, per combattere uniti contro la dittatura fascista, per la libertà e la democrazia, vilmente calpestate dai generali golpisti.
Ecco, mutatis mutandis, voglio rivolgermi con quello stesso spirito a quegli agenti di polizia che hanno applaudito i tre agenti condannati, ricordandogli però quanti di quegli stessi “episodi” sono accaduti e quante volte la polizia o i carabinieri hanno ucciso indebitamente nelle piazze, nelle strade e anche all’interno delle carceri, e sono rimasti impuniti. L’elenco sarebbe purtroppo molto lungo …
“Agenti di polizia, non uccidete e non fatevi uccidere per chi vi spiega che davanti a voi c’è sempre e soltanto un criminale, anche quando occupa una casa, quando picchetta i cancelli di una fabbrica o invade i binari una stazione ferroviaria per difendere il suo posto di lavoro o perché non ce l’ha. Agenti di polizia, non combattete per chi vi da un salario da fame per combattere altri morti di fame.
Agenti di polizia, carne e sangue del popolo, non proteggete gli assassini, non difendete il privilegio, non combattete per i padroni, disobbedite agli ordini criminali e lottate uniti con il popolo”.