Tra rossobrunismo e patriottismo

In questo sito è stato pubblicato un articolo da parte di un certo Lorenzo Altobelli, dal titolo: “I rossobruni e i mulini a vento”, che potete trovare nel seguente indirizzo: https://www.linterferenza.info/lettere/i-rossobruni-e-i-mulini-a-vento/ .
L’articolo in questione è chiaramente scritto da una persona che è stata accusata di rossobrunismo, ma che respinge questa accusa, tacciando tutti gli altri compagni di trozkysmo.
Tralasciando gli insulti fatti da Altobelli a Red Militant e ad altri compagni nel link: “isteria piccolo-borghese”, “gruppuscolo ultra-settario trozkysta” ecc.. Vorrei rispondere alle sue dichiarazioni, andando ad analizzare la problematica del rossobrunismo in maniera più in generale.
Una caratteristica dei rossobruni (che da quanto di evince dall’articolo, rispecchia anche Altobelli) è quella di glorificare la patria, non solo la sua, ma tutte quelle che non siano Stati Uniti e Israele. In particolare esaltano il concetto di patria russa, siriana e iraniana, perché sono i paesi più apertamente in conflitto con gli USA. Questo atteggiamento li porta a pensare che in un mondo capitalista esista un solo imperialismo e che tutti gli altri governi siano povere vittime e vadano sostenuti. Per far capire il grado di errore: è come se in un mondo pieno di mafie, si pensasse che invece ne esiste soltanto un unico ceppo, fino a ritrovarsi tifarne una tra due che si combattono.
Difendere la patria in maniera aclassista, ovvero a prescindere da quale sia la classe dominante di quella patria, è un atteggiamento neofascista e nazionalista, che nulla ha a che fare con l’idea di comunismo.
Nel Manifesto del partito comunista Marx scrive: “Si è rimproverato ai comunisti di voler abolire la patria. Gli operai non hanno patria. Non si può togliere loro ciò che non hanno.”
Marx è stato dunque chiaro fin dall’inizio, gli operai non hanno patria e dunque, con l’atteggiamento dei rossobruni, i lavoratori si ritroverebbero a difendere un qualcosa che non appartiene a loro, ma alla classe borghese e sfruttatrice.
Difendere la Russia capitalista di Putin ad esempio, non significa difendere la patria degli operai russi, bensì la patria dei capitalisti russi. Stessa cosa dicasi del resto dei Brics e di Assad.
Gli operai devono PRIMA conquistare la patria e solo DOPO difenderla, altrimenti il marxismo si ridurrebbe al misero istinto patriottardo di conservazione del capitalismo nazionale a fronte di un capitalismo imperialista straniero.

11 commenti per “Tra rossobrunismo e patriottismo

  1. Francesco Alarico della Scala
    19 Luglio 2015 at 22:52

    La scoperta dell’acqua calda secondo cui gli USA non sono l’unico paese imperialista è alla portata di chiunque. Diversamente stanno le cose per quanto riguarda le differenze fra i vari paesi imperialisti, che sfuggono agli opportunisti di “sinistra” e che solo chi padroneggia la teoria marxista e conosce le tradizioni del movimento operaio internazionale può cogliere.
    È noto che durante gli anni ’30-’40 Francia e Gran Bretagna erano paesi imperialisti con tanto di colonie, eppure i comunisti le appoggiarono nella lotta contro la Germania hitleriana, che a differenza dei primi due paesi aveva però soppresso la stessa democrazia borghese, divenuta troppo angusta per soddisfare i voraci interessi del capitale finanziario. In quelle condizioni, la lotta per ripristinare la democrazia, sia pur borghese, era una lotta rivoluzionaria cui i comunisti presero parte attiva.
    «Per coprire la loro essenza ultrareazionaria, gli hitleriani ingiuriano il regime interno anglo-americano, definendolo regime plutocratico. Ma in Inghilterra e negli Stati Uniti d’America esistono delle elementari libertà democratiche, esistono dei sindacati di operai e di impiegati, esistono dei partiti operai, esiste il parlamento, mentre in Germania, sotto il regime hitleriano, tutti questi istituti sono stati distrutti. Basta confrontare queste due serie di fatti per comprendere la sostanza reazionaria del regime hitleriano e tutta la falsità delle chiacchiere dei fascisti tedeschi sul regime plutocratico anglo-americano» (Stalin, Sulla grande guerra dell’U.R.S.S. per la difesa della patria, Edizioni in lingue estere, Mosca, 1946, p. 24). Dunque la democrazia borghese, nonostante la sua limitatezza di classe, rappresenta comunque un progresso rispetto alla sua totale abrogazione.
    Nel dopoguerra, in seguito alla sconfitta delle forze dell’Asse, lo scenario mutò in positivo. «Ma la campagna contro il comunismo, proclamata dai circoli dirigenti americani, che si appoggiano ai monopoli capitalisti, porta, come inevitabile conseguenza logica, ad attentare ai diritti e agli interessi vitali dei lavoratori americani, alla fascistizzazione interna della vita politica degli Stati Uniti, alla diffusione delle “teorie” e concezioni più selvagge e inumane. I gruppi espansionisti americani, che sognano la preparazione di una terza guerra mondiale, sono profondamente interessati a soffocare, all’interno del paese, ogni possibile opposizione alle avventure esterne e ad avvelenare le masse politicamente arretrate e poco colte degli americani medi col veleno dello sciovinismo e del militarismo, ad “istupidire” il cittadino americano con l’aiuto dei vari mezzi di propaganda antisovietica, anticomunista, come il cinema, la radio, la chiesa e la stampa» (A. Ždanov, Politica e ideologia, Edizioni Rinascita, 1950, p. 41). In altri termini, al fascismo dei paesi sconfitti si sostituì la politica “fascistizzata”, ugualmente improntata alla soppressione degli stessi diritti garantiti dalla democrazia borghese, degli imperialisti americani. Inoltre si creò una situazione storica inedita, in cui i paesi imperialisti dell’Europa occidentale finirono sotto l’egemonia statunitense.
    Pertanto alla Conferenza fondativa del Cominform si ribadì l’importanza della lotta per il ripristino della democrazia borghese, questa volta più strettamente unita a quella per la sovranità nazionale: «Poiché la maggior parte dei dirigenti dei partiti socialisti (soprattutto i laburisti inglesi e i socialisti francesi) agiscono come agenti dei circoli imperialisti degli Stati Uniti, spetta ai partiti comunisti la funzione storica specifica di mettersi alla testa della resistenza al piano americano di asservimento dell’Europa e di smascherare all’interno risolutamente tutti gli ausiliari dell’imperialismo americano. Nello stesso tempo, i comunisti devono appoggiare tutti gli elementi veramente patriottici che non vogliono lasciar oltraggiare la loro patria, che vogliono lottare contro l’asservimento della loro patria al capitale straniero e per la salvaguardia della sua sovranità nazionale. I comunisti devono essere la forza dirigente che trascina tutti gli elementi antifascisti amanti della libertà alla lotta contro i nuovi piani espansionistici americani di asservimento dell’Europa» (Id., p. 56). Chi più di tutti doveva sobbarcarsi questi compiti: i partiti comunisti dell’Europa orientale al potere? Tutt’altro: «Ai partiti comunisti della Francia, dell’Italia, dell’Inghilterra e di altri paesi spetta un compito particolare. Essi devono prendere nelle loro mani la bandiera della difesa dell’indipendenza nazionale e della sovranità dei loro paesi» (Id., p. 57). Francia e Gran Bretagna erano allora paesi imperialisti, per giunta provvisti di molte colonie, ma erano finite sotto il tallone di ferro yankee, per cui la lotta per la sovranità nazionale e il patriottismo assumevano nel loro quadro un ruolo oggettivamente rivoluzionario.
    Il mutamento della situazione fu magistralmente colto dal XIX Congresso del PCUS: «Prima, la borghesia si permetteva di fare del liberalismo, difendeva le libertà democratico-borghesi e, in tal modo, si creava una popolarità. Oggi del liberalismo non è rimasta traccia: non vi è più “libertà individuale” e i diritti della persona sono riconosciuti solo a chi ha il capitale, mentre tutti gli altri cittadini sono considerati come grezzo materiale umano, buono soltanto per essere sfruttato.
    Viene calpestato il principio dell’eguaglianza dei diritti degli uomini e delle nazioni: esso è sostituito dal principio dei pieni diritti solo per la minoranza degli sfruttatori e dalla mancanza di diritti per la maggioranza sfruttata dei cittadini.
    La bandiera delle libertà democratico-borghesi la borghesia l’ha buttata a mare; io penso che tocca a voi, rappresentanti dei partiti comunisti e democratici, di risollevarla e portarla avanti, se volete raggruppare attorno a voi la maggioranza del popolo. Non vi è nessun altro che la possa levare in alto.
    Prima Ia borghesia era considerata la guida della nazione: essa difendeva i diritti e l’indipendenza della nazione e li poneva “al di sopra di tutto”. Ora non vi è più traccia del “principio nazionale”, oggi la borghesia vende i diritti e l’indipendenza della nazione per dollari.
    La bandiera della indipendenza nazionale e della sovranità nazionale è stata gettata a mare: non vi è dubbio che questa bandiera toccherà a voi di risollevarla e portarla in avanti, a voi rappresentanti dei partiti comunisti e democratici, se volete essere i patrioti del vostro paese, se volete essere la forza dirigente della nazione. Non vi è nessun altro che la possa risollevare in alto» (Stalin, Problemi della pace, Edizioni di Cultura Sociale, 1953, pp. 153-154).
    Oggi il campo socialista è crollato ma l’egemonia statunitense sui paesi imperialisti dell’Europa occidentale permane, ponendo all’ordine del giorno la lotta per la sovranità nazionale e la conseguente opportunità d’allearsi con le forze che si battono per il suo ripristino. E chi crede che il maccartismo sia finito si sbaglia di grosso, come dimostra quanto accaduto perfino ad un servo patentato di Washington come Rampini: http://www.repubblica.it/esteri/2014/11/21/news/cos_ora_sono_diventato_cittadino_americano_con_la_macchia_del_pci-101060817/. Gli USA e le loro forze vassalle tendono a restringere la portata della democrazia borghese, sempre più spesso rimpiazzata dal dominio diretto dei rappresentanti del capitale finanziario, ossia dai “governi tecnici” non eletti et similia; il ripristino sostanziale delle libertà democratiche rappresenta un progresso dinanzi a questo stato di cose. Pertanto, in conclusione, si può affermare che la linea generale del movimento comunista internazionale del passato, illustrata nei documenti summenzionati, serba intatta la propria attualità. In sintesi, la Russia e i BRICS in genere rappresentano oggi in rapporto agli USA ciò che Francia e Gran Bretagna un tempo rappresentavano in rapporto alla Germania nazista, cioè un baluardo della democrazia (borghese), sia pur imperialista, col quale è doveroso e possibile allearsi in vista della lotta antiamericana.
    È profondamente sintomatico che gli odierni ultrasinistri accusino di fascismo non gli imperialisti americani e i loro seguaci (come facevano i partiti comunisti e operai d’un tempo), bensì i “rossobruni”, operando un totale capovolgimento della realtà e contribuendo, di fatto, a celare la natura più intimamente reazionaria degli USA e della “sinistra” borghese. Le loro tesi costituiscono la ripetizione letterale della posizione dei bordighisti durante la seconda guerra mondiale – che li portò, com’è noto, a non prender parte alla lotta antifascista e ad isolarsi dal movimento storico reale – e si fondano sulla meccanica equiparazione del momento attuale col periodo della prima guerra mondiale, quando invece non esisteva l’egemonia americana sull’Europa occidentale, non esistevano la “fascistizzazione” della politica yankee e l’annessa soppressione della democrazia borghese, ecc. I settari ignorano la storia del movimento comunista internazionale, che registrò i mutamenti sopravvenuti ed agì di conseguenza, e sostituiscono il metodo scientifico di analisi della fasi della lotta di classe con l’arbitrio soggettivo, tendenzialmente portato ad assumere una posizione istintivamente ed emotivamente ultra-“rivoluzionaria” saltando tutte le tappe intermedie dello sviluppo, isolandosi in tal modo dalla storia e dai concreti interessi delle masse popolari.
    Solidarietà al compagno Altobelli e a tutti gli altri comunisti presi di mira dalle calunnie riversate nel quadro della vacua e nociva “caccia al rossobruno”.

    • Lorenzo Voroshilov Altobelli
      20 Luglio 2015 at 1:07

      Grazie mille compagno per la tua solidarietà. 🙂
      Ottima analisi, da te c’è sempre da imparare.

  2. Lorenzo Voroshilov Altobelli
    19 Luglio 2015 at 22:56

    Nikolas Boh alias Nikolas Renzi. Il patriottismo è una parte integrante del marxismo perchè permette di salvare le società socialiste dall’imperialismo dei paesi capitalisti. Questo tu dovresti saperlo bene, molto bene, dato che tu da Polpottiano dovresti essere il primo ad avere una visione nazionalista (in senso non sciovinista ma patriottico) essendo stato Pol Pot l’esponente più nazionalista ed anzi sciovinista (vedasi l’infame attacco ai compagni vietnamiti) del P.C.I. ovvero Partito Comunista Indocinese. Non parliamo del maoismo che Mao lo disse chiaramente che un internazionalista non può non salvare la sua patria. Ti prego non farmi citare Mao.
    Prossimo punto le nazioni attaccate dall’imperialismo statunitense.
    Quando leggerai finalmente l’Imperialismo, fase suprema del capitalismo, redatto da Vladimir Ilich Uljanov nel 1916, leggerai finalmente che il capitalismo, non arrivato alla sua fase monopolistica, non mischiando capitali industriali e finanziari, non tende ad attaccare gli altri paesi. Egli, citando economisti piccolo vorghesi, scrive:
    “Durante l’apogeo della libera concorrenza in Inghilterra, tra il 1840 e il 1860, i dirigenti politici borghesi d’Inghilterra erano avversari della politica coloniale, e consideravano come inevitabile ed utile la liberazione delle colonie e la loro completa separazione dall’Inghilterra. M. Beer nel suo studio sul “più recente imperialismo inglese” [*3], apparso nel 1898, dice che un uomo di Stato inglese, così incline in generale all’imperialismo come Disraeli [1], aveva dichiarato nel 1852 che “le colonie sono pietre attaccate al nostro collo”. Ma alla fine del secolo XIX gli eroi del giorno in Inghilterra erano Cecil Rhodes e Joseph Chamberlain [2], che propagandavano apertamente l’imperialismo e facevano la più cinica politica imperialistica! Non è senza interesse osservare, come già allora, per questi uomini politici dirigenti della borghesia inglese, fosse chiaro il nesso tra le radici per così dire puramente economiche e quelle politico-sociali del recentissimo imperialismo. Chamberlain predicava l’imperialismo, come la “politica vera, saggia ed economica”, riferendosi alla concorrenza che l’Inghilterra doveva sostenere sul mercato mondiale contro la Germania, l’America e il Belgio. La salvezza sta nei monopoli -dicevano i capitalisti- e formavano cartelli, sindacati e trust; la salvezza sta nei monopoli, tenevano bordone i capi politici della borghesia, e si affrettavano ad arraffare le parti del mondo non ancora divise. Cecil Rhodes, stando a quanto racconta un suo intimo amico, il giornalista Stead, avrebbe detto nel 1895, a proposito delle sue idee imperialistiche:”
    Questo è scritto nel capitolo VI, La spartizione del mondo tra grandi potenze.
    Lenin nel libro analizza inoltre che le aziende capitalistiche nei paesi imperialistici vengono cannibalizzate e/o creano cartelli bancari. Lo dice chiaramente nel libro (che ti invito a leggere dato che sicuramente non l’hai letto, dando all’impero romano un carattere imperialista che non poteva avere al tempo) in svariati punti, del tipo:
    “Queste semplici cifre sono sufficienti, più di qualsiasi considerazione, a mostrare come dalla concentrazione del capitale e dall’aumentato giro d’affari sia stata modificata radicalmente l’importanza delle banche. In luogo dei capitalisti separati sorge un unico capitalista collettivo. La banca, tenendo il conto corrente di parecchi capitalisti, compie apparentemente una funzione puramente tecnica, esclusivamente ausiliaria. Ma non appena quest’operazione ha assunto dimensioni gigantesche, ne risulta che un pugno di monopolizzatori si assoggettano le operazioni industriali e commerciali dell’intera società capitalista, giacché, mediante i loro rapporti bancari, conti correnti e altre operazioni finanziarie, conseguono la possibilità anzitutto di essere esattamente informati sull’andamento degli affari dei singoli capitalisti, quindi di controllarli, di influire su di loro, allargando o restringendo il credito, facilitandolo od ostacolandolo e infine di deciderne completamente la sorte, di fissare la loro redditività, di sottrarre loro il capitale o di dar loro la possibilità di aumentarlo rapidamente e in enormi proporzioni, e così via. […] Ma non appena tali operazioni diventano frequenti e si consolidano, non appena la banca “accumula”capitali enormi, non appena la tenuta del conto corrente di un dato imprenditore mette la banca in grado di conoscere, sempre più esattamente e completamente, la situazione economica del suo cliente -e questo appunto si va verificando- allora ne risulta una sempre più completa dipendenza del capitalista industriale dalla banca. Nello stesso tempo si sviluppa, per così dire, un’unione personale della banca con le maggiori imprese industriali e commerciali, una loro fusione mediante il possesso di azioni o l’entrata dei direttori di banche nei Consigli di amministrazione delle imprese industriali e commerciali e viceversa.” Questo era il capitolo II Le banche e la loro nuova funzione, altre cose da analizzare ci sarebbero in altri capitoli ma, per ragione di spazio, potrò solo citare alcuni: “Se si volesse dare la definizione più concisa possibile dell’imperialismo, si dovrebbe dire che l’imperialismo è lo stadio monopolistico del capitalismo. Tale definizione conterrebbe l’essenziale, giacché da un lato il capitale finanziario è il capitale bancario delle poche grandi banche monopolistiche fuso col capitale delle unioni monopolistiche industriali, e d’altro lato la ripartizione del mondo significa passaggio dalla politica coloniale, estendentesi senza ostacoli ai territori non ancor dominati da nessuna potenza capitalistica, alla politica coloniale del possesso monopolistico della superficie terrestre definitivamente ripartita. […] Quindi […] dobbiamo dare una definizione dell’imperialismo, che contenga i suoi cinque
    principali contrassegni, e cioè:
    1) la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica;
    2) la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo “capitale finanziario”, di un’oligarchia finanziaria;
    3) la grande importanza acquistata dall’esportazione di capitale in confronto con
    l’esportazione di merci;
    4) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo;
    5) la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche.”
    Questo invece era il capitolo VII, L’imperialismo, particolare stadio del capitalismo.
    Gli ultimi 2 punti non possiamo prenderli in considerazione perchè riguardano stati in generale, ma se proprio dobbiamo dirla tutta la Russia non attacca, casomai si difende! E’ sotto gli occhi di tutti che, le bsai nato sono ai confuni russi e c’è stata una pressione dal crollo del muro ad est soffocando la Russia. Quindi anche se si volesse fare un’analisi del genere, la Russia sarebbe esente non spartendosi nulla ma anzi difendendo il suo territorio. Per gli altri 3 punti:
    “Gazprom ha origine dalla trasformazione di una struttura del sistema industriale sovietico dapprima in un
    consorzio e poi in una società per azioni, il cui pacchetto di maggioranza appartiene allo Stato russo, mentre le
    restanti azioni sono suddivise fra più di 600mila azionisti privati russi. Solo di recente, Putin, dopo essersi
    assicurato che il pacchetto di proprietà pubblica fosse superiore al 50%, ha permesso anche agli stranieri di
    acquistare azioni Gazprom direttamente sul mercato russo.
    […]
    Fra i motivi che
    spingono Gazprom a non costituire una “super-banca”, vi è quello che, disperdendo i conti della compagnia fra
    diverse banche, si rende più difficile un eventuale controllo da parte del fisco sul bilancio della società. La
    questione fiscale è infatti motivo di aspri scontri con il governo. Gazprom, non diversamente da numerosi altri
    contribuenti, è spesso in ritardo nei pagamenti. A giustificazione della sua morosità con il fisco, la compagnia
    denuncia il mancato pagamento di gran parte dei consumatori russi, nonostante il fatto che sul mercato interno i
    prezzi del gas siano regolamentati (sono quattro volte inferiori a quelli praticati all’esportazione).
    […]
    Ma all’aumento della produzione di petrolio, non ha fatto riscontro un aumento significativo dei consumi
    nazionali. Ne è risultato un mercato interno caratterizzato da un forte eccesso strutturale di offerta di idrocarburi,
    con prezzi che possono scendere sino ad oltre la metà di quelli internazionali. Ecco perché il governo russo
    punta fortemente sull’export di idrocarburi e sulla capitalizzazione del settore energetico (con la globalizzazione il
    capitale straniero sta sempre più entrando nelle società russe, e queste per non perdere di peso sul mercato
    internazionale hanno interesse ad entrare nelle compagnie straniere, in primis in quelle occidentali) ed anche sulla
    rivalutazione dei prezzi energetici nei mercati dei paesi della Csi.
    Fonte: http://cassandrarivista.it/Russia/Russia%20Il%20gigante%20Gazprom.pdf”
    Quindi non abbiamo il mescolamento in Gazprom (parlo di gazprom perchè è l’unica azienda che potrebbe essere responsabile della guerra in Ucraina, dato che essa è scoppiata solo ed esclusivamente per le rotte degli oleodotti e per affari di Gas) di capitale bancario e inoltre il “Monopolio” è oltre il 50% in mano statale, ciò che avrebbe fatto lo stesso Lenin nella Nep. Abbiamo dunque un cartello non privato ma statale, e il libro sull’imperialismo verte tutto, di sana pianta, contro il privato, altrimenti sarebbero criticabili anche i cartelli statali sovietici (sic!!!).
    Manca il punto 3. Peccato che: “ Tabella 1 ratio fuga di capitali e le esportazioni di beni (1994-2000).

    Periodo Le esportazioni di beni, miliardi. di dollari. Il volume di fuga di capitali (stimati) miliardi. dollari. Il rapporto di fuga di capitali da esportare beni,%
    1994 76.3 8.8 11.5
    1995 93.5 13,9 14,9
    1996 103,8 25 24.1
    1997 103.1 23,4 22,7
    1998 87,3 23,2 26,6
    1999 84,8 18 21,2
    2000 115,2 18,8 16,3
    Fonte: [Redatto secondo il Comitato doganale di Stato della Federazione russa]”
    Come si capisce bene le esportazioni di capitale sono ben minima cosa rispetto a quello di merci. Lenin parlava addirittura dell’800%…. altro che il 15%!
    Nessun punto dei 5, quindi, soddisfa i risultati e quindi no, LA RUSSIA NON E’ UN PAESE IMPERIALISTA.
    Inoltre Lenin, che vedeva la Spagna come 10°/11° paese capitalista :
    “Ammontare dei titoli nel 1910
    (in miliardi di franchi)
    Inghilterra 142
    Stati Uniti 132
    Francia 110
    Germania 95
    479
    Russia 31
    Austria-Ungheria 24
    Italia 14
    Giappone 12
    Olanda 12,5
    Belgio 7,5
    Spagna 7,5
    Svizzera 6,25
    Danimarca 3,75”
    Questo è scritto invece nel capitolo III, Capitale finanziario e oligarchia finanziaria, Lenin dice chiaramente di proteggere la spagna capitalista (ma non imperialista) dall’imperialismo statunitense: “Negli Stati Uniti la guerra imperialista del 1898 contro la Spagna suscitò l’opposizione degli “antimperialisti”, degli ultimi Mohicani della democrazia borghese” Cap IX Critica dell’imperialismo.
    Ora sai a quanto si “classifica il capitalismo russo per PIL?”, nono… beh c’è differenza impercettibile tra 9 e decimo/undicesimo posto. Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Stati_per_PIL_(nominale) ,
    Quindi Lenin oggi avrebbe detto chiaramente che bisognerebbe aiutare la Russia, vittima dell’imperialismo, e chi non avesse portato avanti questa parola d’ordine, sarebbe finito nella bella schiera di social-sciovinisti, come li chiama lui. Sul capitolo Assad non mi pronuncio, che se non è imperialista la Russia, figuriamoci la Siria che è un capitalismo che non ha nemmeno un cartello internazionale! E mi fido più dell’analisi di Lenin che ha analizzato il capitalismo più recentemente rispetto a Marx, proseguendo il suo grande lavoro dal punto di vista materialista e dialettico. Se esci fuori da questo schema esci fuori dal marxismo, che si basa interamente sul materialismo dialettico. Inoltre non puoi parlare di mancanza di analisi di classe, dato che ho fatto un serio studio sui rapporti di produzione, base della teoria classista marxiana, cosa che voi non fate, o non vi ho visto mai fare, grazie a delle analisi date per buone, campate in aria prodotte dall’imperialismo occidentale di cui siete, indirettamente (spero non direttamente) fiancheggiatori.
    Dove sono i vostri dati? Quando farete una decente disamina del sistema economico russo?
    P.s. Lenin dice chiaramente che nel capitalismo i prezzi interni sono alti, mentre quelli esteri sono bassi per distruggere la concorrenza. Perchè per la gazprom è il contrario, con tutto che la concorrenza (Libia, Qatar, Arabia Saudita, shale oil americano) è forte?

  3. Fabrizio Marchi
    20 Luglio 2015 at 8:52

    Caro Nikolas, trovo in tutta sincerità decisamente debole, assolutamente infondata e anche capziosa l’accusa di “rossobrunismo” che tu muovi a Lorenzo Altobelli, il quale può essere considerato un “vetero” marxista-leninista o al limite un simpatizzante dell’URSS di Stalin, ma sicuramente NON un “rosso bruno”, cioè sostanzialmente un fascista o giù di lì.
    La verità è che ormai da tempo l’accusa (infamante) di “rossobrunismo” è una sorta di etichetta che viene affibbiata a tutti quei compagni che in qualche modo si discostano dal pensiero unico politicamente corretto trasversale e dominante anche e soprattutto a sinistra, un po’ in tutti gli ambienti di quest’ultima.
    E una volta che te l’hanno appiccicata addosso non te la levi più. E’ un modo sottile, subdolo, per creare una sorta di terrore psicologico, al fine di impedire un dibattito realmente libero e soprattutto fuori dagli schemi preconfezionati e dalle liturgie ideologiche, vecchie o nuove (le nuove sono peggiori delle prime…). In fondo, dal mio punto di vista (anche se Lorenzo, in questo caso, non sarà d’accordo con me), si tratta di una forma di stalinismo metodologico (“patologia” da cui la sinistra non si è mai liberata…), svuotato però dei vecchi contenuti di un tempo e riempito con altri. E allora si va avanti così, a colpi di scomuniche.
    Nel merito ti hanno già risposto con cognizione di causa sia lo stesso Lorenzo che Francesco Alarico della Scala. Personalmente mi sono già pronunciato tante e tante volte su questo tema. I marxisti hanno sempre appoggiato i movimenti di liberazione nazionali e anticolonialisti, spesso anche quando erano di natura borghese e nazionalista e anche molti stati con le stesse caratteristiche che per una serie di ragioni si trovavano a sviluppare un ruolo antimperialista. Penso ad esempio all’appoggio dato ai movimenti di liberazione nazionali del mondo arabo, all’Egitto di Nasser (magari ci fosse oggi nella realtà del mondo arabo, l’Egitto di Nasser…), all’allora R.A.U e via discorrendo. Ma si potrebbero portare tanti altri esempi. Nessuno si è mai scandalizzato né tanto meno è stato accusato di nazionalismo sciovinista o di “rossobrunismo” (categoria che all’epoca ancora non esisteva o non era stata inventata) per aver sostenuto quelle forze. Se è per questo è stato di fatto sostenuto anche Saddam Hussein contro l’aggressione americana subita dall’Iraq (schierarsi contro l’aggressione imperialista all’Iraq da parte degli USA significava di fatto appoggiare il regime di Saddam), e Saddam non era certo un comunista (anzi, i comunisti sono stati duramente repressi sotto il suo regime). Seguendo la tua (e quella di tanti, purtroppo) logica non dovremmo allora neanche sostenere movimenti come Hezbollah che combattono contro l’imperialismo israeliano, perché sono movimenti confessionali su base religiosa e anche di natura interclassista (nel loro orizzonte ideologico non vi è certo il comunismo) o come Hamas, il che mi sembra obiettivamente ridicolo.
    Non solo, moltissimi movimenti di liberazione antimperialisti del secolo scorso, hanno visto la compresenza del fattore di classe con quello nazionale (e patriottico). Penso alla lotta di liberazione del Vietnam, guidata non a caso dai comunisti, all’Angola dell’MPLA (anch’essa a guida comunista), al Mozambico, alla Palestina (fino a una trentina di anni fa l’OLP era una forza socialista a tutto tondo con una forte presenza marxista leninista al proprio interno), a Cuba.
    In tutti questi casi l’elemento di classe ha convissuto e si è sovrapposto con quello nazionale e patriottico, perché la liberazione dal dominio di classe coincideva anche con la liberazione del proprio paese dal giogo imperialista e colonialista, non solo sul piano politico ed economico ma anche su quello culturale. Perché è ovvio e risaputo che il dominio capitalista, imperialista e colonialista cerca anche di distruggere le culture, i costumi e le tradizioni dei popoli per poterli meglio soggiogare.
    Poi le cose sono andate come sono andate, ma questo è un altro lunghissimo e complesso discorso che riguarda il trionfo del capitalismo su scala globale.
    Allo stato attuale, mi sembra quindi assolutamente logico difendere la Siria dall’aggressione che sta subendo da parte degli USA e dei suoi alleati e complici in loco, cioè la Turchia e soprattutto l’integralismo wahabita appoggiato, armato e sostenuto dall’Arabia Saudita, così come le Repubbliche del Donbass dove è in corso un’altra aggressione in seguito al golpe che ha destabilizzato l’Ucraina. Personalmente ritengo la Russia un paese capitalista (quindi strategicamente un avversario) anche se con le sue caratteristiche peculiari, date dal contesto storico e culturale, ma non imperialista, per lo meno non in questa fase (è assai più probabile che possa diventarlo la Cina in un prossimo futuro…). La Russia ha subito un accerchiamento oggettivo da parte della NATO e ha visto negli ultimi vent’anni, diciamo dal crollo dell’URSS in poi (del resto, chi è causa del suo mal, recita il proverbio…) sempre più rosicchiare la sua area di influenza, ridotta pressochè al suo solo territorio. Si ritrova le tre repubbliche baltiche trasformate in basi della NATO e vorrebbero far fare la stessa fine all’Ucraina, che però, rispetto alle prime, ha un’importanza strategica enormemente superiore sia per ragioni economiche (gasdotti ecc.) che geopolitiche (sbocco sul Mar Nero, l’area mediterranea ecc.).
    In questa fase, anche se non certo per ragioni ideologiche, è quindi comprensibile che ci si schieri in favore della Russia né più e né meno di come ci si schierò di fatto a fianco dell’Iraq oppure oggi a fianco della Siria o di Hezbollah in Libano. Ripeto, per quanto mi riguarda, nessuna simpatia ideologica, ma solo la coerente assunzione di una posizione antimperialista e marxista.
    Visto che ne ho parlato segnalo un mio “vecchio” articolo nel quale spiego meglio la mia posizione sulla Russia: https://www.linterferenza.info/esteri/un-primissimo-sguardo-sulla-crisi-russo-ucraina/

    • Lorenzo Voroshilov Altobelli
      20 Luglio 2015 at 11:30

      Grazie anche a te compagno per l’appoggio contro queste false accuse! Come vedi il politically correct (che c’entra ben poco a mio avviso con il leninismo, ma molto più con la degenerazione borghese euro comunista e poi liberale) è un cagnaccio da guardia borghese molto più duro da abbattere.
      Tu parli di vetero stalinismo, ma sai benissimo che, quel tipo di politica, non potrebbe funzionare in una società diversa da quella russa (come la Italiana) e in questi anni 2010. Un marxista è un materialista dialettico, e che cioè muta la sua dottrina al variare della situazione e quindi, come la vedo io, il leninismo deve innovarsi e modificarsi alla nostra società…. senza cadere nella social-democrazia di rifondazione. Se non la si pensa così il marxismo lo si butta alle ortiche. Difficile? Ma è quello che un marxista deve fare!
      Che poi si…. che la società fondata da Stalin fu il modello di socialismo da cui, secondo me, tutti devono partire, fiore all’occhiello del socialismo beh, penso di averlo già spiegato. Puoi quindi parlare si di simpatia, ma di certo non di vetero stalinismo! 😉

  4. Nikolas Boh
    20 Luglio 2015 at 12:36

    Le risposte dei tre commenti precedenti sono molto lunghe e complesse, ma essendo più o meno molto simili tra di loro, cercherò di dare una risposta generale, entrando magari nello specifico quando sarà necessario.
    Parto da una premessa per rispondere ad Altobelli: io non ho mai scritto che il patriottismo in sé sia sbagliato, ma lo sia se lo si esalta in maniera aclassista. Non entro nel merito degli errori storici che Altobelli commette parlando di Pol Pot come di un nazionalista (cosa esattamente contraria, visto che ha indebolito la cultura religiosa, e cambiato i simboli nazionali). Per altro le prime provocazioni militari non furono dell’esercito cambogiano, come sostiene Altobelli, ma di quello vietnamita nel 1977.
    Fatta questa premessa, mi sembra che l’opinione comune di Altobelli, Scala e Marchi sia che la Russia, pur essendo capitalista, ha una funzione (almeno momentanea) anti imperialista e quindi merita di essere sostenuta. Il tutto viene condensato citando i testi di Lenin sull’imperialismo, che però a mio parere nessuno dei miei tre interlocutori ha ben compreso.
    Partiamo proprio da Lenin, che nei suoi scritti individua l’imperialismo come “capitalismo monopolistico”. Negli ultimi 100 anni si sono susseguiti una serie di avvenimenti che hanno cambiato radicalmente lo scenario internazionale. Dunque non è più sufficiente leggere Lenin, ma bisogna riportarlo ai giorni nostri e adattarlo nei vari scenari politici. La globalizzazione ad esempio, ha portato una serie di accordi interstatali monopolistici sia dal punto di vista politico-economico, che da quello militare. Ne sono un esempio l’UE, l’OCSE, la NATO.. ma anche i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa). Tutte questi gruppi seguono le regole della borghesia e del capitalismo e nei loro documenti hanno ufficialmente dichiarato lo scopo di allargare i loro monopoli e renderli sempre più forti a discapito di altri.
    Anche la Russia oggi rientra dunque in quel capitalismo monopolistico di cui parlava Lenin e quindi è a tutti gli effetti una forza imperialista.
    Molto spesso si commette l’errore di pensare all’imperialismo come al semplice atto di bombardare. Infatti se quando ci si ritrova a discutere con un rossobruno la sua risposta è quasi sempre: “Ah la Russia sarebbe imperialista? Ma se non ha invaso militarmente nessuno!”.
    Questo è un errore grave, perché si confonde l’imperialismo con la guerra imperialista. Quest’ultima è solo un ramo dell’imperialismo. Dire quindi che tutto il resto che è fuori dalla guerra non è imperialismo è un errore. Sarebbe come confondere l’oculistica con la medicina allopatica e quindi sarebbe come dire ad esempio che gli ortopedici, i chirurghi, i ginecologi ecc.. non sono medici, perché lo sono solo gli oculisti. Questo è il grado di errore che viene commesso.
    L’imperialismo molto spesso ha aspetti soprattutto economici e non militari. Per fare un esempio concreto: la Germania della Merkel non ha invaso militarmente la Grecia, eppure non si può negare che quest’ultima sia una colonia sotto il dominio imperialista della Germania.
    Citando un documento ufficiale del KKE: “L’imperialismo riguarda ogni paese capitalista. (…) Non è possibile utilizzare arbitrariamente la considerazione di Lenin e pensare che una manciata, un piccolo numero di stati saccheggiano la stragrande maggioranza degli stati del mondo, in modo da identificare l’imperialismo con un numero molto limitato di paesi che si possono contare sulle dita di una mano, considerando tutti gli altri subordinati, oppressi, colonie e occupati. (…) Gli Stati Uniti rimangono la prima potenza economica, ma con una significativa riduzione della loro quota del Prodotto Mondiale Lordo. Fino al 2008, la zona euro nel suo complesso manteneva la seconda posizione nel mercato capitalista internazionale, posto che ha perso dopo la crisi. La Cina è già diventata la seconda potenza economica, l’alleanza dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) si è rafforzata tra le unioni capitalistiche internazionali, quali il Fondo monetario internazionale e il G20. Il cambiamento nei rapporti di forza tra gli stati capitalisti comporta mutamenti nelle loro alleanze, poiché vanno acuendosi le contraddizioni interimperialiste per il controllo e la ripartizione dei territori e dei mercati, delle zone di influenza economica, soprattutto dell’energia e delle risorse naturali, delle vie di trasporto delle merci.”
    Vorrei adesso approfondire la questione Putin e quindi la questione Russa, spiegando il perché Putin non dovrebbe mai e poi mai essere sostenuto da nessun movimento che si ritiene essere marxista-leninista.
    Tanto per cominciare; che cosa pensa Putin del comunismo? Lo ha dichiarato qualche anno fa in un intervista oggi reperibile in italiano su youtube: https://www.youtube.com/watch?v=u3bqmcCbbqE . Cito testualmente le sue parole: “Il marxismo-leninismo non è altro che una favola bella e dannosa che nel nostro paese ha causato un danno enorme”.
    La natura borghese di Putin non ha tardato a farsi notare chiaramente nemmeno nella politica interna. Putin infatti ha varato il “Codice del Lavoro” che ha ridotto i lavoratori in uno stato terribile di sfruttamento e ha anche ridotto l’istruzione e la sanità pubblica e gratuita. Negli anni 90 ha addirittura smesso di finanziarle.
    Nella politica estera invece, Putin difende deciso la Siria di Assad (che ha fatto una politica interna 10 volte peggiore di quella di Putin) contro l’Imperialismo statunitense. Quando però si tratta di difendere la Corea del Nord dallo stesso imperialismo americano, Putin non solo non si pronuncia, ma vota addirittura a favore delle sanzioni decise da Obama contro il paese socialista di Kim. Un cosa simile accade in Palestina, che notoriamente è sotto aggressione dell’imperialismo sionista. Anche in questo caso, Putin prende le parti di Israele http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/182754 e infatti viene lodato dalle comunità israeliane ebraiche vicine al sionismo.
    Putin quindi non prende posizione contro l’imperialismo USA, ma solo a favore di paesi come la Siria. Come mai? Sarà forse perché la Siria è l’unica che gli consente sbocchi in medio oriente? Sarà forse perché Assad dopo aver fallito nell’accordo con la Francia, ha concesso a Putin il dominio dell’economia siriana? O vogliamo ancora credere che Putin sia un cucciolone coccoloso che vuole diffondere amore, pace e bene?
    Lascio a voi e a chi avrà voglia di leggere e documentarsi scegliere la risposta.

    • Lorenzo Voroshilov Altobelli
      20 Luglio 2015 at 15:13

      Per prima cosa Pol Pot… che egli non era un comunista lo si capisce bene in questo articolo. Si vede come Pol Pot sia un residuato nazionalista ed anticomunista ritornato dall’estero, di come il partito comunista cambogiano abbia avuto due anime (una marxista vietnamita ed una nazionalista cambogiana) e di come l’anima nazionalista abbia portato avanti una politica filo contadina borghese:
      “Il romantico attaccamento al contadiname, come classe, è stato per lungo tempo caratteristica della borghesia radicale. In Russia la prima polemica di Lenin (1885) era diretta contro i Narodniki o ‘Amici del Popolo’, la piccola borghesia narodniki, che predicava un comunalismo contadino a parole, ma praticava un terrorismo sanguinario. Vickery trova qui una stretta similitudine tra i KR e i contadini ribelli del Tambov e di Antonov, nella Russia occidentale, durante la guerra civile, e che combatterono i comunisti e i monarchici con eguale vigore e con efferate atrocità.”
      e di come abbiano fatto genocidio dell’ala marxista vietnamita:
      “Benchè vi fossero stati casi di brutalità contro gli originari cittadini, nelle aree controllate dal gruppo di Pol Pot, le esecuzioni di massa non iniziarono prima del 1977, quando Pol Pot consolidò il proprio potere. Allora iniziò una sanguinosa purga contro tutti i sospetti filovietnamiti o i filocontadini ‘tiepidi’. Nel 1978 i filovietnamiti, sopravvissuti del PCK, guidarono una rivolta che fu brutalmente repressa. Il governo di Pol Pot allora sterminò chiunque avesse appoggiato questo gruppo, più parecchi vietnamiti della Cambogia orientale. Ciò provocò l’invasione vietnamita del 1979.”
      E’ spiegato inoltre come la guerra tra i nazionalisti cambogiani e i marxisti vietnamiti sia scoppiata grazie alle rivendicazioni feudali della Cambogia sul delta del Mekong ed infatti, come notoriamente riconosciuto a livello storico, i primi a sconfinare nello stato estero furono proprio i nazionalisti cambogiani:
      “Il 17 aprile 1977 i media statali del Vietnam inviarono a Phnom Penh le congratulazioni ufficiali del governo vietnamita per il secondo anniversario della fondazione della Kampuchea Democratica; per tutta risposta, il 30 aprile seguente truppe cambogiane sconfinarono in Vietnam e attaccarono la provincia di An Giang e la città di Chau Doc, uccidendo centinaia di civili vietnamiti[22]. L’Esercito Popolare Vietnamita (Quân Đội Nhân Dân Việt Nam o EPV) rispose ammassando truppe alla frontiera cambogiana, e ai primi di maggio tre divisioni vietnamite attraversarono il confine tra Cambogia e Laos penetrando per 16 km nella provincia di Ratanakiri[3]
      FONTE: https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_cambogiano-vietnamita#Primi_scontri
      Ecco qua l’articolo, di cui non condivido solo le critiche al cosiddetto “revisionismo” russo e cinese:
      http://aurorasito.altervista.org/?p=252
      Dato che il signorino ipocritamente dirà che il sito e “zozzobruno” ricordo che pol pot fu analizzato da un gruppo “internazionalista” loro consimile (a lui e red militant), che come loro analizza imperialista i brics e come loro appoggiano i ribelli filo USA, e cioè leftcom.org.
      Risposto alla premesa di Nikolas, si deve passare a quel che concerne le sue risposte (se risposte si debbono chiamare) che riguardano Brics e Russia.
      “Il tutto viene condensato citando i testi di Lenin sull’imperialismo, che però a mio parere nessuno dei miei tre interlocutori ha ben compreso.
      Partiamo proprio da Lenin, che nei suoi scritti individua l’imperialismo come “capitalismo monopolistico”. Negli ultimi 100 anni si sono susseguiti una serie di avvenimenti che hanno cambiato radicalmente lo scenario internazionale. […] Molto spesso si commette l’errore di pensare all’imperialismo come al semplice atto di bombardare. Infatti se quando ci si ritrova a discutere con un rossobruno la sua risposta è quasi sempre: “Ah la Russia sarebbe imperialista? Ma se non ha invaso militarmente nessuno!””
      Per prima cosa tu non hai mai letto quel libro. Tu sei uno che è il primo in realtà ad accusare gli stati di imperialismo solo per attacchi militari: quando infatti un compagno, in un’altra discussione ti disse di elencare un solo cartello siriano per provare il “capitalismo monopolistico” siriano, logicamente hai parlato di tutt’altra cosa parlando di imperialismi rievocando l’impero romano! Cosa c’entra lo schiavismo con il capitalismo monopolista? Il problema è che non sapendo dove sbattere ti ricopri di ridicolo parlando di tutt’altro. Cambi argomento molto spesso per cercare di far reggere le tue ridicole tesi, se di tesi si può parlare! E così fai oggi. Parli di Brics, G20 e quant’altro ma salti logicamente quel che ho detto, che in realtà è il nocciolo della questione. L’esportazione del capitale è solo del 15%, Lenin condannava gli imperialismi come stati che esportassero il capitale. Inoltre altra caratteristica fondamentale è l’unione tra capitale finanziario e industriale. Io ho provato che tutto ciò non c’è in Russia, ma tu quali prove riporti al contrario? Una sgangherata analisi del KKE che non porta nessuna prova scientifica al suo ragionamento.
      Ad esempio: “L’imperialismo riguarda ogni paese capitalista. (…) Non è possibile utilizzare arbitrariamente la considerazione di Lenin e pensare che una manciata, un piccolo numero di stati saccheggiano la stragrande maggioranza degli stati del mondo, in modo da identificare l’imperialismo con un numero molto limitato di paesi che si possono contare sulle dita di una mano, considerando tutti gli altri subordinati, oppressi, colonie e occupati. ”
      Quindi io non dovrei dare retta a Lenin ma a questi buffoni che non hanno esaminato in modo materialista la realtà? Lenin portava dati e analisi sul capitalismo finanziario, loro quali dati portano? In realtà il leninismo con questa analisi non è innovato ma divelto dalle sue basi. C’è mai stato uno stato che è sotto il giogo finanziario dei Brics (e tu hai rinnovato la tesi di lenin sull’esportazione del capitale anche oggi parlando di strangolamento greco)? La borghesia sarebbe la prima a parlarne, all’unisono dei revisionisti del KKE filo imperialismo USA.
      Continuiamo leggendo le chiacchiere del KKE:
      ” La Cina è già diventata la seconda potenza economica, l’alleanza dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) si è rafforzata tra le unioni capitalistiche internazionali, quali il Fondo monetario internazionale e il G20.”
      Ma non si dice infatti che la Cina o i brics stiano strangolando finanziariamente gli stati sovrani come denunciato da Lenin.
      Conclusione. La risposta di Nikolas non è scientifica e, non analizzando i reali rapporti di produzione, idealistica. La sua è una non risposta, è stato solo ciarpame digitale.
      Per quanto riguarda Putin, l’intervista è stata rilasciata in un periodo dove l’anticomunismo la faceva da padrone e, per avere successo, si doveva fare buon viso a cattivo gioco. Ora la figura di Stalin è stata rivalutata, si vede chiaramente che è nato addirittura (pur se nel suo nazionalismo) con il mito di Stalin “vincitore” e vediamo ogni 9 maggio una parata piena di simboli e vessilli bolscevichi. Altro che anticomunismo viscerale.
      Quel che ha fatto Putin in materia interna e per quello che riguarda israele non ci e soprattutto non VI riguarda, dato che il punto nodale dell’imperialismo è l’esportazione del capitale che come ho provato è minimo, e come tu non sei riuscito a confutare (le chiacchiere vuote del KKE sono nulla come visto).
      Il messaggio è breve e la finirò qua, perchè solamente brevemente si può rispondere al nulla.
      P.s. se vuoi continuare a cercare di rispondermi, collega qualche dato macroeconomico sufficiente a dire che Cina e Russia siano esportatori di capitale, e che esso superi in modo abnorme l’esportazione di prodotti. Altrimenti cortesemente taci. Ho cose più importanti da fare che rispondere al nulla. O verrai logicamente ignorato. Le analisi si fanno dal punto di vista materialista ed economico come Marx e Lenin ci insegnano, non con le chiacchiere idealistiche e da bar del KKE che non aggiunge nessuna prova dell’esportazione di capitali e anzi, per cercare di muovere le orecchie, capovolge la dottrina leninista nelle sue analisi, come su ho provato.

    • Lorenzo Voroshilov Altobelli
      20 Luglio 2015 at 15:15

      Ah in ultimo Putin appoggia il Donbass e l’alleato Iraniano, oltre ad appoggiare Cina e, per esempio Korea del Nord…. come ampiamente documentato tramite azzeramento dei debiti coreani presso la Russia.

    • Fabrizio Marchi
      20 Luglio 2015 at 15:17

      Rispondo per me e non per gli altri, ovviamente.
      Ho l’impressione, caro Nikolas Boh, che tu proceda per la tua strada senza curarti degli altri e di ciò che scrivono. Ti inviterei allora a rileggere con più attenzione, onde evitare di perdere tempo e di farci passare per fessi.
      Che la Russia di Putin sia un paese capitalista e potenzialmente imperialista non c’è alcun dubbio. Così come non c’è alcun dubbio che l’imperialismo non si manifesti solo attraverso l’uso delle armi e l’occupazione militare ma anche e soprattutto attraverso l’ sfruttamento economico. E chi lo ha mai negato? Se è per questo anche la Cina è un paese capitalista, forse ancor più della Russia, però, va detto, che la Cina, al momento, sta intrattenendo relazioni economiche e commerciali, specie con i paesi africani (ma anche sudamericani) che non possono oggettivamente essere definite imperialiste. Lo saranno, forse, o molto probabilmente, un domani, ma al momento non lo sono.
      Ma ora non voglio aprire un dibattito sulla Cina che richiederebbe un capitolo a parte. L’oggetto del “contendere” è un altro. E cioè il presunto “rossobrunismo” di chi, in sostanza, non la pensa come te.
      Ti chiedi perché Putin sostenga la Siria e non sostenga altri movimenti o altri stati? Perché fa i suoi interessi di leader di una grande potenza capitalista. Lo sapevamo già. E allora? Ce lo dovevi venire a dire tu? Secondo te non lo sapevamo? Questo non toglie nulla al discorso che già ti ho fatto. E si che di esempi te ne ho portati. Saddam Hussein era forse un comunista? No, però lo abbiamo sostenuto contro l’aggressione USA. L’Iran e tutte le sue propaggini (anche se è improprio e scorretto definire Hezbollah una mera propaggine dell’Iran…)è forse un paese comunista? No, stesso discorso. E così via. Non difende la Corea del Nord? Ma la Corea del Nord (e io nutro dei dubbi sul carattere comunista della Corea del Nord che a me sembra più una monarchia assoluta che si traemette per via ereditaria, ma questo è un altro discorso che non voglio aprire…) è sotto la giurisdizione cinese, ti pare che Putin può andare a rompere i coglioni nel giardino di casa della Cina con la quale sta anche intensificando in maniera più che significativa i rapporti economici?
      Tu confondi un approccio alla politica che è quello (metodologicamente leninista, a mio modesto parere) di stabilire delle necessarie priorità, e quindi di individuare quello che è il dominio capitalista e imperialista principale e dominante (quello USA), con una sorta di contestuale adesione ideologica agli altri stati o blocchi capitalisti. Ma questa è un’operazione che fai tu, non certo il sottoscritto. Ora se la fai in buona fede, ti prego di prenderne atto onde evitare di perdere ulteriore tempo, se lo invece la fai in malafede, allora non vale neanche la pena insistere.
      Ora, il fatto di sostenere da un certo punto di vista, le ragioni della Russia rispetto al tentativo di accerchiarla da parte degli USA e dell’UE non significa nel modo più assoluto aderire al suo modello economico, politico e ideologico. Magari esplodesse il conflitto sociale in Russia, e magari esplodesse in Cina. Ma questo, per quanto mi riguarda, non ha assolutamente nulla a che vedere con quanto stavamo dicendo.
      Ho ribadito, con numerosissimi esempi, che la Sinistra e i comunisti hanno sostenuto da sempre movimenti che spesso poco o nulla avevano a che vedere con una concezione di classe, eppure sono stati sostenuti. Il movimento di liberazione nazionalista irlandese aveva addirittura al suo interno una forte componente dichiaratamente fascista, eppure è stato sostenuto. Mao Tse Tung si alleò con i nemici di classe del Kuomintang in funzione antigiapponese (a meno di pensare che Mao non fosse un comunista ma se è così allora io sono una giraffa…). Quanti altri esempi ti si deve portare per cercare di farti capire cosa voglio significare?
      La politica è una questione complessa, caro Nikolas Boh. Quello che mi sembra di vedere è che il tuo atteggiamento è quello di chi vorrebbe avere la pretesa di rappresentare la “giusta e corretta” linea leninista e rivoluzionaria. Ecco, a mio parere è esattamente il contrario. Tu del leninismo, stando alle tue parole, non hai capito proprio un bel nulla, e scusami per la sincerità, altrimenti non assumeresti un simile atteggiamento rispetto alle cose.
      In ogni caso, spero, per quanto mi riguarda, di essermi spiegato.
      P.S. su Pol Pot neanche entro nel merito per carità di patria…

    • Francesco Alarico della Scala
      20 Luglio 2015 at 22:16

      Caro Nikolas Boh (Renzi), vedo che hai “dribblato” tutte le questioni poste dalla mia critica. Io non ho mai affermato che la Russia non fosse un paese imperialista (la qual cosa dev’essere stabilita mediante l’analisi economica) ed ho anzi assunto come valida la tua tesi di partenza, secondo cui i BRICS sono imperialisti, per dimostrarti come le conclusioni che ne trai non reggono neppure in quel caso, giacché il movimento comunista internazionale ha sempre appoggiato quei paesi imperialisti che conservavano tuttavia le libertà democratico-borghesi e il rispetto della sovranità nazionale in contrapposizione a quelli, come la Germania hitleriana e gli USA (coi rispettivi satelliti), che sopprimo la stessa democrazia borghese, divenuta troppo angusta per soddisfare gli interessi del capitale finanziario, e calpestano l’indipendenza degli altri popoli o svendono quella del proprio. Dimitrov, Stalin, Ždanov, Brežnev e Suslov sono stati estremamente chiari in proposito.
      Sulla legislazione in materia di lavoro introdotta da Putin ti risponde D. Jakusev del KPRF: «Naturalmente, con Putin è stato varato il “Codice del lavoro”, è iniziata la riforma pensionistica, si sono ridotte l’istruzione e l’assistenza sanitaria gratuite. Perché Putin è pur sempre un presidente borghese, che non promette a nessuno il socialismo. E poi, tutto l’attacco di Putin ai diritti sociali fino ad ora si è limitato alla sanzione giuridica di ciò che è già stato perso “de facto”, e perciò non viene avvertito dal popolo come una riduzione di diritti. Ad esempio, negli anni ’90 avevano semplicemente smesso di finanziare la sanità e l’istruzione: per anni non hanno pagato i salari, non c’erano le attrezzature, i mezzi per le riparazioni, ecc. Oggi si parla di assicurazione sanitaria che, nonostante tutto, è pur meglio che mandare tutto alla malora (dal momento che per i ricchi non cambierebbe nulla, disponendo essi di cliniche carissime). E se anche Putin fosse un convinto comunista, tuttavia dovrebbe ugualmente dare alla società delle leggi borghesi, per adattare la legislazione alla nuova realtà delle cose. E poi non va dimenticato che in Russia fino ad ora semplicemente non abbiamo avuto un’ala sinistra organizzata, un forte movimento comunista ed operaio. Ciò significa che nella società non ci sono sostegni, non diciamo per progetti socialisti, ma neppure per quelli sociali» (http://www.resistenze.org/sito/te/po/ru/poru4c13.htm).
      Siccome citi la Corea del Nord, vorrei farti notare la sua stretta alleanza con la Siria, in cui tutt’oggi operano consiglieri militari coreani e che viene rifornita di armamenti dalla RPDC; il tutto è documentato nel seguente articolo: http://www.eurasia-rivista.org/storia-dellasse-siria-corea-del-nord/19885/. Colgono l’occasione per sottolineare che i dirigenti del Partito del Lavoro di Corea, oggi il distaccamento più avanzato del movimento comunista mondiale (sulla Corea, come si vede, non condivido l’opinione del compagno Fabrizio), hanno evidenziato i punti enumerati prima (necessità di difendere la sovranità nazionale e la democrazia anche in paesi non socialisti, ecc.) con enfasi ancor maggiore. Vogliamo inoltre parlare dell’odierna riforma economica nella RPDC, avviata su scala nazionale il 30 maggio 2014, ispirata alle tesi dell’economista Ri Ki Song che riprende e sviluppa la posizione di Liberman? Il KKE, che nella Risoluzione sul socialismo approvata dal suo XVIII Congresso (§§ 18-20) ha condannato la riforma economica sovietica del 1965, naturalmente tace in merito, perché la sua linea e quella dei suoi seguaci in Italia contraddice quella del movimento operaio internazionale e dei paesi socialisti anche su questo punto.
      E veniamo a Pol Pot. Ne “Il piano quadriennale del partito per edificare il socialismo in tutti i campi” si legge: «Di norma la gente mangia qualunque cosa le piaccia, compra qualunque cosa le piaccia mangiare, fintanto che dispone del denaro. Così soltanto chi ha il denaro è libero di comprare qualunque cosa gli piaccia mangiare. Al momento nella parte socialista del mondo si è posto il problema che un’enfasi troppo forte sulla collettivizzazione conduce alla scomparsa del sostentamento individuale o familiare. Ecco perché consentono una certa privatezza ed usano ancora il denaro. Come vediamo, questo cammino non reprime completamente i capitalisti. Hanno già il socialismo come base ma non si sono ripuliti dalla struttura capitalistica: la Cina e la Corea sono degli esempi. Qui non menzioniamo i revisionisti. All’interno di questo gruppo è in corso il quotidiano rafforzamento e l’espansione della base dei capitalisti e dei settori privati in ogni aspetto. Finché esiste il sistema capitalista esso si rafforzerà ed espanderà e diverrà un ostacolo alla rivoluzione socialista.
      Per quanto ci riguarda, noi organizziamo completamente il consumo collettivo dei pasti. Il consumo dei pasti e delle bevande viene collettivizzato. Anche il dessert viene preparato collettivamente…» (Pol Pot pianifica il futuro. Documenti direttivi confidenziali dalla Kampuchea democratica, 1976-77, Southeast Asia Studies, 1988, p. 107).
      Che cosa c’entra tutto questo col marxismo-leninismo? Che attinenza ha questa “collettivizzazione dei pasti” con la socializzazione dei mezzi di produzione? Documenti come questo non furono resi pubblici dal regime dei khmer rossi, perché sarebbero incorsi nella condanna unanime dei partiti comunisti degli altri paesi. Quando finalmente emerse la verità su Pol Pot anche i comunisti coreani, che pure sulle prime l’avevano sostenuto, mutarono radicalmente il proprio giudizio; nella sua intervista col quotidiano “l’Opinione” del 26-27 gennaio 2010 il presidente della KFA Alejandro Cao de Benós, interpellato da Enzo Reale sui leader comunisti del passato fra cui Pol Pot, rispose: «Non voglio parlare di Pol Pot, fu una tragedia e nient’altro».
      Ecco il primo episodio delle ostilità tra Vietnam e Cambogia: «Immediatamente dopo la liberazione della Cambogia, a partire dal 1º maggio 1975, le forze armate cambogiane cominciarono a violare il territorio del VIet-Nam in diverse località della zona di frontiera da Ha Tien a Tay Ninh. Il 4 maggio esse sbarcarono sull’isola di Tho Chu, massacrando numerose persone e sequestrando 515 abitanti dei quali non si hanno notizie fino a questo momento.
      Costrette alla legittima difesa, le forze armate regionali vietnamite scacciarono gli aggressori dall’isola di Tho Chu. In seguito i dirigenti cambogiani riconobbero il loro torto, attribuendo alla “non conoscenza dei luoghi” da parte dell’esercito cambogiano il “doloroso e sanguinoso scontro”» (AA.VV., Cina, Viet Nam, Cambogia: all’origine dei conflitti, Editrice Aurora, 1979, p. 33).
      Il nazionalismo (nella sua accezione deteriore) non implica necessariamente la difesa della tradizione religiosa e delle vecchie abitudini. Come dimostrano i casi di Mao Tse-tung (negli anni ’60-’70) e di Pol Pot, esso si esprime anzitutto nella promozione degli interessi egoistici del proprio paese, che spesso ricalcano i propositi espansionistici delle vecchie classi dominanti, a detrimento degli interessi internazionali del socialismo.

  5. armando
    20 Luglio 2015 at 12:47

    In questo momento l’unico internazionalismo esistente è quello del capitale. E’ un fatto, non un’opinione. Un altro “internazionalismo” sarebbe quello delle moltitudini di Toni Negri, però non certo “proletario” ma, semmai, “sottoproletario” (e non mi dilungo su come Marx considrava il Lumpenproletariat). Scrivo sarebbe perchè ovviamente non ha nessunissima possibilità di dar luogo a un vero moviemento organizzato e con una chiara strategia. Al contrario, si risolve in un appoggio di fatto all’espansione dell’Impero, nel presupposto che tale espansione crei le condizioni per la rivoluzione e il comunismo.
    Passano i decenni, ma il dibattito interno alla residuale area marxista è sempre lo stesso. Quello fra il sogno romantico del trotkismo e della rivoluzione permanente e quello realistico della considerazione delle situazioni storiche concrete.
    Sono stato in gioventù marxista-leninista. Ora non lo sono più per ragioni che non sto a dire, tuttavia ciò non significa rinnegare tutto quanto, che sarebbe un’abiura ideologica (o meglio teologica, come il cristiano che diventa ateo e dice peste e corna della sua fede precedente, in tal modo dandosi dello stupido). Vi dirò che, dopo del tempo, sono arrivato anche a rivalutare alcuni (e sottolineo alcuni) tratti di Stalin, non come persona ma come leader che ha impedito la dissoluzione di ogni forma dello stato, ma soprattutto della cultura e della società russa, posto che, hegelaniamente, la rivoluzione non significa negazione di ogni forma del passato come il “male, ma semmai il suo superamento/conservazione in una sintesi superiore.
    Lo dico da ex, ma la discussione sulla natura della Russia attuale è paradigmatica in tal senso, perchè fa emergere con chiarezza le differenze fra i due campi. Inutile vi dica quale mi sembra quello che può incidere sulla realtà e proprio dal punto di vista di una sinistra marxista. Sarebbe come se si inneggiasse alle rivoluzioni colorate come un esempio di internazionalismo delle masse. . Qualcuno in effetti lo fa! Si guardi chi è e si capirà molto della situazione attuale.

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