Nonostante la vittoria del NO la Grecia non sembra intenzionata a uscire dall’Euro, e nemmeno l’Europa ha interesse a perdere lo Stato ellenico. Troppe controindicazioni e pochi vantaggi. L’unico a guadagnarci dal Grexit sarebbe Putin.
ASPETTA E SPERA (NEL REFERENDUM). Sono stati mesi concitati per la Grecia, vissuti sull’onda delle trattative tra Tsipras e l’Europa alla ricerca di un piano di salvataggio per il Paese ellenico. Continui incontri, dichiarazioni dei leader europei e indiscrezioni sui giornali, un accordo presentato come sempre più vicino, ma non ancora siglato. Troppo tempo sprecato in inutili “tira e molla” da entrambe le parti. E allora siamo passati dall’ottimismo iniziale per un lieto fine delle trattative alla cartolina ateniese di lunedì, con i suoi centinaia di pensionati in fila davanti agli istituti di credito per ritirare le loro pensioni, nella speranza che non siano le ultime erogate dallo Stato. I negoziati per il momento sono stati interrotti. Prima il fatidico referendum. I Greci sono stati chiamati a votare SI o NO, non per rimanere oppure uscire dall’Euro, ma semplicemente per scegliere la linea di negoziazione da seguire con la troika. Questa è stata l’ennesima mossa sorprendente quanto scaltra da parte di Tsipras: lasciare al popolo la facoltà di non decidere. Infatti i greci difficilmente influenzeranno in maniera radicale le prospettive del loro Paese. D’altronde era lecito aspettarsi questo dai dirigenti politici greci, cioè del paese dove è nata la democrazia. Chi la crea la sa anche usare, così da cedere il testimone al “demos” nel momento più propizio. Ma questa scelta (il referendum) avrà un’utilità: rimischiare le carte in gioco serve per spaventare un po’ l’Europa e, conseguentemente, convincerla ad essere meno intransigente del solito nelle sue posizioni di austerity. Nonostante la vittoria del NO, difficilmente Tsipras si giocherà la carta “Grexit”, anche se è stato uno dei punti forti della sua campagna elettorale. Il leader di Syriza conosce molto bene le insidie che si nascondono al di fuori dell’Euro e dell’Europa. Battere il pugno sul tavolo delle trattative non significa alzarsi e uscire.
I GRECI NON PENSANO ALLA DRACMA. In fondo l’esecutivo di Syriza, al di là del referendum, non ha intenzione di tornare alla vecchia moneta greca: la dracma. Troppi rischi. Troppe incertezze. Pochi vantaggi. Uscire dall’euro significa automaticamente mandare in default lo Stato. Lo scenario che si aprirebbe dopo è il seguente: la Bce sospende l’erogazione di liquidità che è stata concessa fino ad ora per far fronte alla situazione di emergenza. Lo Stato poi non sarà più in grado di pagare gli stipendi dei suoi dipendenti, che costituiscono la gran parte dei lavoratori in Grecia. I cittadini, subito dopo l’annuncio del Grexit, si riverserebbero in banca per ritirare i propri soldi, mandando letteralmente in tilt il sistema bancario. Ed ecco che si ripeterebbero nuovamente le tragiche scene di quest’ultima settimana, che mostrano un Paese sempre più allo sbando. L’unico effetto positivo del default è la svalutazione della moneta, che darebbe la possibilità allo Stato greco non tanto di aumentare il suo export ( la Grecia è quasi priva di industrie e risorse energetiche) quanto di accrescere in maniera esponenziale il settore turistico, offrendo ai visitatori prezzi molto più bassi rispetto agli altri Paesi europei.
Inoltre paradossalmente non esiste un modo per uscire dalla zona euro. Mi spiego meglio. Quando nel 92 a Maastricht vennero siglati i Trattati a favore di una moneta unica fu pensato solamente il processo di adesione all’euro, e non invece un percorso istituzionalmente valido per tornare alla propria valuta nazionale. In sostanza la zona euro è stata pensata come una porta unilaterale dalla quale si entra ma non si conosce la via per uscirne. Nella remota ipotesi di un Grexit questo costituirebbe un problema giuridico ma non impedirebbe il ritorno alla dracma. Ovviamente nessuno Stato è costretto a mantenere l’euro, per i greci sarà solamente necessario intraprendere strade mai battute.
EFFETTO DOMINO O EFFETTO RIMORCHIO?. Quando lunedì inizieranno nuovamente le trattative con i greci l’Europa dovrà decidere quale linea di negoziati intraprendere.
La posta in gioco è alta. Tsipras in questi cinque mesi è stato intransigente: no all’austerity. La Grecia non è assolutamente intenzionata a perdere la propria sovranità politica per i prossimi anni e a varare leggi che penalizzerebbero le fasce più deboli della popolazione. E’ importante stabilizzare l’economia, ma non a patto di riforme “lacrime e sangue” ( e noi italiani ne sappiamo qualcosa in merito…). La troika probabilmente sarà più accondiscendente alle richieste greche perché anche loro non hanno interesse a far uscire la Grecia dall’Euro, essendo coscienti dell’effetto domino. Il Grexit non costituirebbe un problema economico per l’Europa. Lo stato ellenico non è assolutamente indispensabile, alla luce della sua debolezza, causata da 40 anni di sprechi e corruzione. Ma se la Grecia ora abbandonasse la nave europea aprirebbe una strada fin ad ora inesplorata e, al ripresentarsi di un’altra crisi, paesi in difficoltà come l’Irlanda, il Portogallo e la Spagna potrebbero optare per la stessa scelta. E a quel punto potremmo salutare quel sogno europeo coltivato in seguito alla seconda guerra mondiale. L’Europa quindi è ben intenzionata a non farsi sfuggire il popolo greco. Se l’effetto non è domino, allora è rimorchio: gli stati europei si troveranno nella condizione di dover trainare per un lungo periodo la Grecia. E dovranno fornire ingenti quantità di denaro per risollevare la sua economia. Uno sforzo non indifferente, ma sicuramente il male minore (per i burocrati dell’Eurozona).
DIETRO AL PARTENONE L’OMBRA DI PUTIN. Se le trattative tra la troika e la Grecia fallissero, lo Stato ellenico potrebbe decidere di rivolgersi alla Russia per finanziare il proprio debito. Putin, già diverso tempo fa, si era reso disponibile a fornire aiuti ai greci. L’ex Kgb ha molto da guadagnare e poco da perdere: in cambio di un esborso economico potrebbe crearsi un’importante zona di influenza nel cuore dell’Europa. E senza alcuna guerra. Questo scenario costituirebbe un terribile fallimento per la geopolitica europea e americana. Con il nemico in casa come ai tempi della Guerra Fredda salirebbero ulteriormente le tensioni tra Mosca e Bruxelles e soprattutto Washington, che tutto vorrebbe tranne che un’ espansione degli interessi e dell’influenza russa, specie nel cuore dell’Europa.