Lo dico con tutto il rispetto e l’umiltà. Bergoglio è un Papa straordinario, lascerà un’impronta storica nella Chiesa, è un vero innovatore, sia dal punto di vista organizzativo che teologico. Ha riconnesso con la società, con altre confessioni religiose, con le pulsioni di giustizia del grande bacino sofferente dell’umanità povera, persino con il pensiero scientifico e razionalistico (l’abbandono del miracolismo è un fatto di enorme importanza intellettuale; chissà, forse un giorno la Chiesa arriverà ad ammettere che la saga dell’uomo che camminava sulle acque e resuscitava i morti va intesa in senso metaforico e simbolico, e non letterale, come tutti i grandi miti religiosi dell’umanità). Ha scosso una Chiesa che appariva chiusa, sulla difensiva, reazionaria, in crisi di vocazioni. Chapeau.
La sua enciclica, e direi anche il suo esempio di pontificato ed il suo modello umano ne fanno un grande alleato di chi, da varie posizioni,cerca di recuperare spazi per una maggiore giustizia sociale, un maggiore ruolo del lavoro rispetto al capitale, specie quello finanziario, modelli di sviluppo più equilibrati sotto tutti i punti di vista.
Detto questo, evidentemente il pensiero sociale espresso da Bergoglio, fatto di decrescismo, tradizionalismo sociale, mondialismo politico, che male intende il rapporto fra lavoro e innovazione tecnologica, non può essere la base per la ricostruzione di un pensiero socialista moderno, che al più può trovarvi punti di contatto e di interlocuzione, ed una base comune che aspira a modelli più equilibrati, umani e giusti. Più di tanto la Chiesa ufficiale non può spingersi, ed è già tantissimo, perché quello dell’enciclica di Francesco è comunque un pensiero più profondo sul futuro dell’uomo e del mondo rispetto al liberalsocialismo, ed anche rispetto all’ecologismo compatibile con i modelli di sviluppo capitalistico.
I limiti sono in un’idea decrescista, anche se elaborata in termini moderati (non esclude infatti la possibilità di trovare forme alternative di crescita, nei settori emergenti della green economy e delle nuove tecnologie) che, come tutti i decrescismi, a partire da quello di Latouche, non fai conti con l’analisi di classe (l’enciclica Populorum Progressio di Paolo VI è senz’altro più avanzata in termini di analisi sociale) per cui, in vigenza di rapporti sociali di sfruttamento, la decrescita non fa che aumentare le distanze sociali e le diseguaglianze distributive.
L’assenza di analisi sociale impedisce di comprendere in modo chiaro il rapporto fra lavoro e progresso tecnico, per cui ci si limita ad un appello tradizionalistico, luddista, di non sostituire il lavoro umano con le macchine, accompagnato da una altrettanto tradizionalistica etica del lavoro (ma nel giardino dell’Eden gli uomini, vicini a Dio, non erano liberi dal lavoro? Il lavorare con sudore non è una condanna divina per l’hybris di Adamo ed Eva?) anziché, come sarebbe più corretto, dirigere l’innovazione di processo verso forme di liberazione dal lavoro e dal suo sfruttamento, per aprire una nuova fase per l’umanità, non più incatenata all’onere di produrre.
E per finire c’è un un pensiero incompleto sulla globalizzazione (criticandone la finanziarizzazione, ma richiamando l’idea, assurda, di un governo mondiale delle compatibilità ambientali, quando la stessa enciclica riconosce i fallimenti plurimi degli accordi internazionali ,e cita, come buone pratiche, modelli di produzione rispettosi dell’ambiente che si creano sulla scala delle comunità locali).
Quello che vorrei dire è che Laudato Sii non ci toglie le castagne dal fuoco, non ci esime dalla fatica di elaborare un pensiero di sinistra sul mondo. Ci restituisce un interlocutore. Tutto qui. Ed è moltissimo.