Proprio ieri abbiamo pubblicato questo interessante e condivisibile articolo della nostra amica psichiatra e collaboratrice, Rita Chiavoni: https://www.linterferenza.info/attpol/fare-i-conti-con-i-suicidi-e-con-quanto-li-determina/
Tutto molto interessante e condivisibile, come ripeto, però…
C’è un però che non poteva sfuggire alla nostra osservazione. Un dato eclatante, addirittura clamoroso, e cioè il fatto che nell’ 80% circa dei casi a suicidarsi sono uomini (maschi). La percentuale arriva a toccare punte del 95% e anche più in caso di suicidio per ragioni economiche: http://www.uominibeta.org/articoli/italia-2013-il-suicidio-ai-tempi-dellipercapitalismo/ (le percentuali sono più o meno le stesse in tutto il mondo occidentale; non mi sono ancora documentato per quanto riguarda il resto del globo )
Ergo, possiamo ragionevolmente e realisticamente affermare che il suicido è una “pratica” quasi esclusivamente maschile. Se prendessimo per buona la narrazione femminista, ne dovremmo necessariamente concludere che gli oppressori sono decisamente più infelici degli oppressi, anzi delle oppresse. Chissà, forse per un senso di colpa che rende insopportabile la loro esistenza. Mi sento però di escludere questa ipotesi perché non si è mai visto nella storia un proprietario di schiavi suicidarsi per senso di colpa, né qualsiasi altro soggetto collocato in una posizione di dominio rispetto ad altri soggetti. E questo per la semplice ragione che il senso di colpa colpisce gli innocenti (e per questo è stato concepito…), non certo i colpevoli (tranne rari casi..). Il colpevole, in quanto tale, ha la “coscienza sporca”, come si suol dire, di conseguenza se ne infischia altamente del senso di colpa, semplicemente perché neanche lo percepisce, non arriva alla sua percezione coscienziale (altrimenti non agirebbe come agisce…). E’ colui che è dotato di coscienza (necessariamente infelice) che ne viene colpito.
Ergo, la questione è un’altra.
Ora, sarebbe interessante aprire una duplice riflessione. La prima per capire cosa spinge tante persone a togliersi la vita. La seconda per capire le ragioni in base alle quali a prendere questa drammatica decisione, meglio sarebbe dire, ad essere vittime di questa tragedia, sono quasi del tutto uomini. Personalmente ho le mie risposte ma scelgo in questo caso di non addentrarmi nel merito. Ci vorrebbe troppo tempo e l’argomento, per la sua importanza, merita un’analisi ad hoc che non mancherò prossimamente di sottoporvi.
Per il momento, ciò che voglio evidenziare è come questo dato, che in condizioni “normali” (cioè non in una specie di società orwelliana come quella in cui ormai siamo…), balzerebbe immediatamente agli occhi non solo di un esperto o di un “addetto ai lavori” (sia esso un sociologo, uno statistico o uno psichiatra) ma di una qualsiasi persona “normale” dotata di semplice buon senso, non venga neanche preso in considerazione. Non si può neanche dire che venga occultato, perché la rimozione del dato avviene ancora più a monte, ancor prima del suo occultamento. Ciò significa che questa operazione di rimozione è stata recepita ed elaborata a livello inconscio. E’ penetrata cioè nella sfera interiore degli individui, al punto tale che questi non sono neanche più in grado di pensare quello stesso dato. Le loro strutture psichiche lo hanno già cancellato, come si fa con un file.
Anche e soprattutto questo è il capolavoro di questo sistema, capace come è di controllare e manipolare la sfera psichica e l’inconscio delle persone. Con buona pace di quei compagni e di quegli amici che si ostinano a considerare la sfera psichica come una sovrastruttura.
Solo in questo modo, infatti, si può spiegare la ragione per la quale una persona intelligente, qualificata, attenta e scrupolosa nell’osservare i fenomeni psicologici e sociali (oltre che in assoluta buona fede), come la nostra amica Rita Chiavoni, si “dimentichi” di segnalare, nell’ambito di una riflessione di questo genere, un dato così clamorosamente evidente.
Ribadisco che non si tratta di un fatto personale, soggettivo. La sua “dimenticanza” è la dimenticanza di tutti. Vi risulta forse che qualcuno, sia esso giornalista, politico, economista, sociologo, psicologo,tuttologo o frequentatore di salotti per professione e via discorrendo, abbia mai anche solo accennato a questa questione? E qualcuno di voi che avrà la ventura di leggere questo articolo, sempre se siamo onesti, ci ha mai riflettuto?
Le domande presuppongono una risposta, ma anche in questo caso, socraticamente, lascerò che ciascuno di voi provi a darsela. Con una necessaria e pur dolorosa (per chi vuole continuare a credere negli asini che volano…) postilla. A parti invertite, se il suicidio fosse un fenomeno quasi esclusivamente al femminile, ci sarebbe lo stesso oblio, la stessa rimozione del fenomeno?
So già che Rita, conoscendola, dopo aver letto questo articolo, mi darà del birichino, in fondo a ragione. Ma questo giornale non è stato concepito per rassicurare bensì proprio per prendere di petto la realtà vera delle cose, anche e soprattutto quella nascosta. E quella realtà nascosta, cioè la verità (e i numeri non sono un’opinione…), non è mai rassicurante.
Mi scuso per il titolo, non c’è nessuna presunzione, vi assicuro, da parte mia. Solo che proprio non me ne veniva in mente un altro in grado di esprimere al meglio ciò che volevo significare. Mi affido all’intelligenza e allo spirito politicamente scorretto dei nostri lettori e delle nostre lettrici.
P.S. in fondo poi, chi vuole, può sempre leggersi la Repubblica o il Corsera o qualsiasi altro organo di disinformazione di massa preposto allo spappolamento delle menti e delle coscienze, mica è obbligato a leggere L’Interferenza…