Molti di loro sono certamente passati dal Niger, Terra di Mezzo. Li abbiamo
incontrati e poi dimenticati. Erano accompagnati da uno o entrambi i genitori
oppure confusi tra fratelli, amici e conoscenti d’occasione. Hanno attraversato
non so come il deserto e, per gli strani sentieri del destino, sono riusciti ad
imbarcarsi e tentare il Mare di Mezzo, il Mediterraneo. Secondo l’ultimo
rapporto dell’agenzia onusiana per la protezione dell’infanzia, l’UNICEF, in
dieci anni circa 3500 bambini hanno perso la vita nel mare, sulla rotta del
Mediterraneo centrale. Questa porzione di mare è riconosciuta come la frontiera
più mortale del mondo.
Ciò significa, sempre per il rapporto citato, che in questi ultimi 10 anni
ogni giorno un bambino è scomparso nel mare. Mancava perfino la mano di uno dei
genitori a dare l’ultimo aiuto. Sette bambini su dieci che hanno effettuato la
traversata viaggiavano soli. Quanti sono giunti sull’altra riva e interrogati
hanno confessato che, durante il viaggio, molti di loro hanno sofferto violenze
fisiche e altri sono stati arbitrariamente detenuti. Sono fuggiti da guerre,
conflitti, violenze, miseria e soprattutto l’abbandono di una parte d’Africa
che ha tradito e venduto il loro futuro ai commercianti di vite umane. I
bambini fanno parte delle oltre 20 mila persone morte o disperse nel corso degli
ultimi dieci anni nello stesso Mare.
L’isola dei bambini si è creata da sè, come per caso, un giorno feriale di
un anno che nessuno ricorda. Il numero dei piccoli migranti mai arrivati
aumentava al quotidiano e si rese necessario, col tempo, organizzare la vita
della colonia e far sentire i nuovi arrivati come a casa loro. All’inizio non è
stato facile perchè i bambini cercavano di imitare quello che ricordavano della
società dei grandi. Armi, guerre, muri come frontiere e parole armate
generatrici di violenza e divisione. Si organizzò dunque una prima assemblea
consultativa aperta a tutti i residenti senza distinzione. Si decise
all’unanimità che l’isola sarebbe stata guidata senza più tener conto del
sistema creato dai grandi.
Inventarono strade, cortili, piazze, giochi e feste. Alcuni dei più grandi
che già avevano imparato un mestiere si industriarono a trasmettere ad altri il
loro sapere. Le bambine più grandi organizzavano la cucina, la cura dei più
piccoli e rallegravano la vita dell’isola con canti e danze improvvisate.
L’isola dei bambini mai arrivati era anch’essa migrante e, in realtà, non
andava da nessuna parte. Si muoveva, invisibile o visibile secondo le stagioni
e, come esse, mutevole nei colori e nella forma. Quando, da lontano, spuntava
un’imbarcazione i bambini migranti innalzavano una bandiera inesistente e
accendevano fuochi sperando che il fumo avrebbe segnalato la loro presenza.
L’isola è ben là fino a tutt’oggi e continua a ricevere nuovi ospiti ai
quali viene chiesto il nome, l’età e il Paese di origine. Nel caso di neonati i
nomi sono scelti a seconda dei giorni di sole, di pioggia e di vento. Non c’è
una rotta prestabilita perchè l’isola inventa ogni giorno nuovi orizzonti e c’è
chi giura d’averla vista passare ma c’era nebbia quel giorno. Alcuni dei primi
residenti immaginano che un giorno l’isola dei bambini si trasformerà in un
continente che avrà dimenticato per sempre l’arte della guerra.
Mauro Armanino, Niamey, 25 aprile 2025
Fonte foto: Il Fatto Quotidiano (da Google)