L’inattualità di Francesco


Non mi piace commentare l’attualità, e cosa è più attuale della morte di un papa. Lo farò ricordando una delle cifre del suo pontificato, che non fu ‘progressista’ pure essendo moderno, e che fu inattuale pur nella continuità alla tradizione. D’altra parte c’è un solo modo di essere in una tradizione, sceglierla. E scegliere entro di essa cosa considerare attuale. Bergoglio nel 2015 pubblicò l’enciclica “Laudato sì”, esplicitamente ispirata a San Francesco. Nello stesso anno, ormai lontano da noi due lustri, nel mio blog ne feci un commento che qui riproduco senza modificare:

https://tempofertile.blogspot.com/2015/07/papa-francesco-laudato-si-enciclica.html?fbclid=IwY2xjawJzbh5leHRuA2FlbQIxMQABHiLSm-BxKEi84EgpSnFT11IyrW-lgdQFHLh3p_YG1hhckKLkvA8HC-L7z9y__aem_R2mDE4UjYzg15ZjH2kBj9g

Vi viene tematizzato il nodo costitutivo della modernità occidentale (allora sentivo meno la necessità di precisarlo) nella sua insopprimibile ambivalenza: la disponibilità a servire due padroni che descrivevo come “la ricerca della libertà e dell’emancipazione dell’uomo dai limiti della sua natura, sia -ed insieme- l’ambizione ad essere potere verso essa e verso l’uomo stesso”. Un’ambivalenza che il papa, in questo entro la tradizione e riscrivendone gli accenti, accusava senza esitazioni. E’ la medesima accusa che lo ha portato negli anni a prendere posizioni scomode sulle tante avventure dell’Occidente (ricordo la sua formula dell’ “abbaiare della Nato alle porte della Russia” come concausa della guerra). L’enciclica fu letta come ‘ecologista’, e lo era, ma era anche un’accusa alle ineguaglianze, alla frammentazione sociale, alla perdita di identità, all’isolamento del soggetto come effetto dello spirito della tecnica. Quindi, in questo seguendo la traccia del suo predecessore ma con diverso tono, mette sotto accusa l’intera impresa della tecnologia moderna nella misura in cui trasforma la natura in utilità e produce un “tremendo potere” in assenza di una “etica adeguatamente solida, una cultura ed una spiritualità che realmente gli diano un limite e lo contengano entro un lucido dominio di sé”. Francesco invitava quindi a “rallentare la marcia” e recuperare una “sana sobrietà” nella relazione con il mondo.

All’epoca avevo più riserve, ma di seguito vennero le dichiarazioni che per alcuni erano troppo ‘socialiste’ e che tanto rancore gli hanno procurato, fino ad oggi, negli ambienti della destra: la denuncia della dinamica del debito estero come strumento di controllo dei popoli (p.62); il ruolo della proprietà privata come destinataria di una “ipoteca sociale”, in quanto tutti i beni servono alla destinazione generale che Dio ha loro dato, e ciò esclude che possano essere a vantaggio solo di pochi (p.98); il “diritto naturale” di ognuno a possedere i propri mezzi di sussistenza e la sicurezza (p.98); l’ambiente come bene collettivo e l’obbligo di chi ne possiede una parte “di amministrarlo a vantaggio di tutti”; la necessità di rallentare un poco il passo e porre alcuni limiti ragionevoli, accettando “una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti” (p.172); quella di ridefinire il progresso; il riconoscere il lavoro come ambito del multiforme sviluppo personale, e di esercizio di creatività, proiezione del futuro, sviluppo delle capacità, esercizio dei valori, comunicazione con gli altri, persino “un atteggiamento di adorazione” (p.123). Dunque capire che “non si deve cercare di sostituire sempre più lavoro umano con il progresso tecnologico”, perché “così facendo l’umanità danneggerebbe se stessa”. Inoltre danneggia anche l’economia ed è “un pessimo affare per la società”. La coltivazione dei luoghi e della loro “identità originale” (p. 136); il recupero della grande ricchezza della spiritualità cristiana, per sviluppare una passione per la cura del mondo, una “mistica che ci animi”, sia sul piano individuale sia comunitario, capendo che “meno è di più”.

Si trattava, insomma, per Bergoglio di fare l’esperienza liberante della sobrietà vissuta con libertà e consapevolezza. Della intensità di una vita piena ed autentica, nella quale si ha bisogno di poco perché si vive molto (p. 193).

Fonte foto: da Google

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