L’interpretazione post-moderna prevalente dei rapporti tra i sessi è, come sappiamo, quella della vulgata femminista nella quale il maschio eterosessuale è sempre considerato un privilegiato oppressore, questa lettura è stata spesso sovrapposta a quella dell’oppressione esercitata dalle classi abbienti su quelle popolari, in una sorta di estensione della Lotta di Classe alla Lotta di Genere. Un’interpretazione dovuta fondamentalmente al femminismo americano, neanche di marca esplicitamente marxista, ma generalmente accettata nel mainstream. In realtà le due cose sono completamente differenti, anche per questo motivo preferisco usare nel seguito il termine Conflitto di Genere, piuttosto che Lotta di Genere o tra i generi. Che fosse così è stato, ad ogni modo, riconosciuto anche da una parte del femminismo, soprattutto da quello detto della differenza, che tuttavia non ha modificato l’idea che l’oppressore e il privilegiato è sempre l’appartenente al genere maschile.
La lotta di classe:
verticale, dal basso verso l’alto, si esprime spesso in
manifestazioni evidenti rivolte, più raramente rivoluzioni, o
dall’alto in basso, restaurazione, aumento dello sfruttamento del
lavoro, esiste dalla fine del cosiddetto “comunismo primitivo”
(ammesso che questo sia esistito, meglio dire da quando esiste una
struttura di classe) e in termini moderni si esplica anche attraverso
il controllo da parte di pochi dei mezzi di produzione necessari alla
base materiale dell’esistenza, a quella che a volte chiamiamo
struttura. I morti sul lavoro, molti ma di impatto mediatico
modesto, danno conto del sacrificio maschile che è intrinsecamente
legato alla struttura e quindi sono poco visibili, perché la
struttura non appare. Il nostro buon vivere è fondato sullo
sfruttamento soprattutto di uomini ed anche donne in molti casi; un
esempio è dato dal c.d. settore del delivery:
scrive Angelo Mastrandea ne l’Ultimo Miglio [1] “consegnare
ordini così frammentati e in poche ore ha costi altissimi: sociali
anzitutto, per lo sfruttamento dell’ultimo anello della catena,
magazzinieri e driver; ambientali…economici. […] La questione
riguarda l’intera economia e si rivesa a cascata lungo tutto il
sistema, radicando forme di abuso lavorativo in cui il sommerso
diventa la regola”.
Il conflitto di genere è orizzontale, l’attrito tra i generi è causato dalle differenza tra uomini e donne nelle aspirazioni della propria persona, nei pensieri in se diversi (un tempo molte donne aspiravano ad essere madri, ora molto meno, ma c’è ancora una mistica della maternità che si esplica nell’abuso della cosiddetta maternal preferenceche anche molte femministe apprezzano). Il conflitto di genere è interclassista, esiste da sempre a causa delle differenze fisiche che in passato hanno determinato la divisione del lavoro tra uomini e donne. Che vi sia sfruttamento o oppressione delle donne è uno dei dogmi del femminismo, ma di questo non si hanno tracce storiche evidenti (ultimamente è tornata di moda la parola patriarcato che per alcuni sembra condensare oppressione, sfruttamento e violenza in un unico termine, sebbene essa significhi originariamente tutt’altro). Oggi le tracce sono di natura culturale e si trovano nella sovrastruttura, nel discorso e nelle parola che non riflettono sempre la realtà delle cose. Gli omicidi del partner, sono il duale dei morti sul lavori, pochi ma elevati a emergenza nazionale per il grande risalto mediatico che si riverbera soprattutto nella sovrastruttura. Esso produce così linee guida e leggi contro la violenza di genere, ma anche quella che si chiama fiction: narrativa, cinema, in generale quella che chiamiamo Grande Narrazione Femminista la quale, come tutto ciò che è sovrastrutturale, fornisce un’immagine incompleta, quando non alterata, della realtà.
All’interno del contrasto
tra generi esiste oggi anche una divisione nel femminismo tra
differenza e il cosiddetto “gender”. Ancora una volta il
cosiddetto “Gender Trouble” [2] si fonda sul linguaggio e
sull’interpretazione che esso da della realtà: per cui il genere può
essere staccato dal sesso biologico. In questo modo la categoria
degli oppressi è stata estesa indefinitamente anche alle preferenze
sessuali (LGBT+) o persino agli animali (antispecismo). E’ da
rimarcare che questo contrasto è completamente interno al
femminismo, esso non modifica assolutamente il ruolo degli uomini
eterosessuali (e non solo se assumiamo il punto di vista delle
femministe della differenza) identificati come gli oppressori tout
court, specialmente se hanno tratti caucasici.
All’aumentare del
conflitto di genere, la lotta di classe passa in secondo piano per
ovvi motivi: interclassismo del primo, primato della sovrastruttura e
quindi i meccanismi alla base del dominio vengono cancellati. La
natura sovrastrutturale, per come esso si dispiega oggi, del
conflitto tra i generi, produce anche l’effetto di portare in primo
piano gli oggetti finali, le merci, come prodotti ultimi senza
considerare più la loro creazione per mezzo del lavoro. In questo
mondo immutabile del capitalismo avanzato, la struttura è nascosta e
prevale l’individuo con i suoi beni, da cui l’ossessione tutta
femminista del motto “il personale è politico”. Sulla base di
questa convinzione il femminismo ha abbandonato da tempo la lotta di
classe (se pure l’avesse mai adottata, sebbene è esistito ed esiste
ancora un femminismo che si ritiene marxista) poiché esso guarda ai
diritti individuali di un solo genere, nel caso
dell’intersezionalismo più identità minoritarie, in estremo anche
di un solo individuo, cristallizzato nell’individualismo neoliberale.
“Il sistema in lotta con se stesso”.
Nelle diverse culture che
hanno popolato e popolano questo pianeta vi sono molti esempi
studiati dagli antropologi che possono essere considerati come dei
toy model di società complesse come la nostra. Misandria e
misoginia sono due brutte parole, ma oggigiorno la prima è quasi
misconosciuta mentre della seconda si fa un uso quasi quotidiano in
omaggio al succitato conflitto di genere. Scrive l’antropologa
Mary Douglas [3]:
I Walbiri (Australia
centrale) vivono in un’aspra zona desertica e poiché sanno quali
difficoltà comporti la sopravvivenza della comunità stessa la loro
cultura si pone come obiettivo che tutti i membri devono lavorare e
abbiano cura di conciliare i loro bisogni con la loro perizia…
l’intera comunità è soggetta ad una rigida disciplina…la donna si
trova sotto il controllo del marito, il principio del dominio
maschile non dovrebbe far sorgere alcun problema…presso i Walbiri
sembra che accada proprio questo: feriscono o picchiano le loro donne
per il minimo lamento o negligenza…l’opinione pubblica non
rimprovera mai l’uomo che abbia imposto violentemente, magari con
conseguenze mortali, la propria autorità alla moglie. E’ perciò
impossibile per una donna aizzare un uomo contro l’altro: … gli
uomini sono perfettamente d’accordo su di un punto: non permettere
mai che i loro desideri sessuali procurino ad una singola donna un
potere di contrattazione o lo spazio per un intrigo amoroso.
I
Walbiri potrebbero essere presi come esempio di una società
strettamente misogina,
ma dobbiamo tenere conto delle particolari condizioni in cui vivono.
Qui ci interessano nella misura in cui il delitto compiuto da un uomo
su una donna di fatto è impunito e la totale assenza di libertà
sessuale. All’opposto vi sono esempi come quello dei Nuer:
Il matrimonio legale
dei Nuer (Sudan) è relativamente invulnerabile ai desideri dei
singoli partner. Si può permettere ai mariti e alle mogli di
separarsi e di vivere isolati senza modificare lo status legale del
loro matrimonio o dei figli della moglie. Le donne Nuer godono di una
condizione estremamente libera e indipendente: se una di loro resta
vedova, i fratelli del marito hanno il diritto di prenderla in
matrimonio levirato per allevare la prole in nome del marito morto,
ma se la donna non vuole accettare questa sistemazione essi non
possono forzarla; è libera di scegliersi gli amanti che vuole:
l’unica garanzia assicurata alla discendenza del marito morto è che
la prole, da chiunque sia stata generata, venga considerata come
affiliata a quel lignaggio da cui fu pagato il bestiame del
matrimonio originario.
O
ancora:
Le ragazze del Nayar
meridionale sono famose in India per la libertà sessuale di cui
godono: non viene loro riconosciuto alcun marito fisso; le donne
vivono in casa e possono intrattenere rapporti liberi con un gran
numero di uomini. La posizione castale di queste donne e dei loro
figli è assicurata ritualmente da una cerimonia prepuberale di nozze
sostitutive; l’uomo che interpreta la parte dello sposo rituale ha
egli stesso una parallela posizione castale e provvede alla paternità
rituale della prole della fanciulla…. a parte la precauzione (di
non dover toccare un uomo di casta inferiore) la sua vita è priva di
controlli…
Ma il
caso più interessate, che forse si avvicina alla complessità di una
società moderna, è quello dei Lele (Congo), in cui misoginia e
misandria erano entrambe praticate portato donne e uomini ad essere
due gruppi sociali di fatto distinti con aspirazioni e scopi
differenti:
Il caso dei Lele è un
esempio di sistema sociale che tende continuamente a cadere nelle
contraddizioni che i raggiri femminili creano ai danni della
supremazia maschile. Tutte le rivalità maschili si esprimono nella
competizione per le mogli: un uomo senza moglie si trova all’ultimo
gradino della scala sociale; con una moglie comincia ad essere
qualcuno generando dei figli e acquisendo così un titolo per entrare
a far parte delle associazioni per il culto che sono remunerative; se
gli nasce una figlia può iniziare a rivendicare i servigi di un
genero…la poligamia di per sé esaspera la competizione per le
mogli…tutta la loro vita sociale era prevalentemente regolata da
un’istituzione secondo la quale i compensi venivano pagati col
trasferimento dei diritti sulle donne. Conseguenza diretta era che le
donne erano trattate, da un certo punto di vista, come una sorta di
denaro contante col quale gli uomini reclamavano e saldavano il
pagamento di debiti che stringevano tra loro. I debiti che gli uomini
avevano accumulato erano così ingenti che essi potevano rivendicare
i diritti sulle figlie che sarebbero nate generazioni e generazioni
dopo: un uomo che non avesse alcun diritto sulle donne da trasferire
si trovava in una posizione difficile quanto quella di un uomo
d’affari privo del conto in banca. Da un punto di vista maschile le
donne erano gli oggetti più desiderabili che la loro cultura potesse
offrire…
Tutto
a favore del dominio maschile allora?
Una ragazzina Lele
veniva educata a fare la civetta; fin dall’infanzia era circondata da
attenzioni affettuose, petulanti, galanti. Il suo promesso sposo non
riusciva mai ad avere su di lei niente più che un limitatissimo
controllo; aveva si il diritto di castigarla, ma se lo faceva con
troppa violenza, e soprattutto se perdeva il suo amore, la ragazza
poteva sempre trovare un pretesto per convincere i fratelli che il
marito la trascurava. … Dal momento che gli uomini erano in
competizione tra loro per le donne, c’era sempre la possibilità per
queste ultime di intessere raggiri e intrighi; non mancavano
speranzosi seduttori, e nessuna donna dubitava di potersi prendere un
altro marito se le faceva piacere. Un marito le cui mogli restassero
fedeli fino alla mezza età, non doveva mai trascurare né la moglie
né sua madre; le relazioni maritali erano regolate da un’etichetta
piuttosto complicata che prevedeva mille occasioni in cui il marito
doveva offrire alla moglie dei doni più o meno importanti. … Se si
veniva a sapere che una donna era insoddisfatta della sua vita,
veniva subito corteggiata, e le si aprivano molte strade per decidere
di troncare il suo matrimonio.
…gli uomini Lele
erano angosciati dai loro rapporti con le donne; benché essi
pensassero alle donne come dei tesori desiderabili, ne parlavano
anche come di esseri indegni, cani o, peggio ancora, intrattabili,
ignoranti, petulanti e infide. Dal punto di vista sociale le donne
erano veramente così: non avevano il minimo interesse per il mondo
degli uomini in cui insieme alle loro figlie venivano scambiate come
delle pedine nei giochi di prestigio maschili, e sfruttavano
abilmente le opportunità che si offrivano loro. Se si mettevano
d’accordo, madre e figlia insieme potevano mandare all’aria qualsiasi
piano che non fosse di loro gradimento. Ragion per cui gli uomini
alla fine dovevano affermare la loro vantata supremazia ricorrendo a
vizi, allettamenti e adulazioni; e quanto parlavano con le donne
usavano uno speciale tono carezzevole di voce.
…Gli uomini e le
donne sono separati come se appartenessero a sfere distinte e
reciprocamente ostili; ne deriva inevitabilmente un antagonismo
sessuale, e ciò si esprime nel concetto che ciascun sesso comporti
un pericolo per l’altro.
Anche
se la nostra è una società indubbiamente più complessa in questi
modelli ‘giocattolo’ possiamo identificare alcune tendenze che ci
sono immediatamente familiari:
Certamente
oggi usare violenza o uccidere una donna è un fatto estremamente
sanzionato socialmente e legalmente, tanto che è stato chiesta da
diversi politici l’applicazione dell’ergastolo per tutti gli omicidi
del partner affettivo o sessuale (quelli che con termine impreciso e
maldefinito vengono dalla stampa mainstream detti ‘femminicidi’
generando confusione con omicidi che non hanno nulla a che fare con
la volontà di un uomo di punire la donna per motivi legati alla loro
relazione [4]). Ma che dire del viceversa? E’ già noto da diverse
ricerche che se una donna picchia un uomo non è ritenuto un fatto
grave, anzi qualcuno si spinge anche a ‘tifare’ per la donna, anche
quando la donna uccide è sempre per un motivo valido “subiva
violenza” “era stata tradita” “lui voleva rovinarla” sono
alcune e non tutte le frasi che si sentono in queste circostanze.
Peraltro di recente la Procura di Tivoli ha prodotto delle Linee
Guida in cui gli uomini nei confronti delle donne sono assimilati
alla “criminalità organizzata”, quindi è necessario combattere
il maschio (bianco, eterosessuale) con Tribunali Speciali (come è
attualmente in Spagna) [5]. Da una stima delle donne condannate si
evince che 1 sola su 10 di loro sconta la pena in carcere, mentre 6
uomini su 10 finiscono in galera (Paese Roma, Rita Fadda [6]). Un
ragazzo che ha ucciso il padre con 34 coltellate perché era violento
verso la madre è stato recentemente assolto. Sembra che ci stiamo
avviando verso un’inversione del caso Walbiri: uccidere un uomo da
parte di una donna (o ucciderlo su ‘commissione’) potrebbe non essere
più un reato. Questo spiega anche che certi meccanismi di potere,
soprattutto in ambito legale e sociale quindi sovrastrutturale, sono
stati fatti propri dalle donne stesse e da una pletora di loro
difensori, che agiscono un po’ per interesse un po’ per
subordinazione, tutt’altro che l’ipotetica esistenza del
patriarcato.
Riguardo
ai casi delle donne Nuer o del Nayar sembra che la maggiore reale
libertà sessuale dipenda strettamente dalla separazione della
filiazione dal partner sessuale. La filiazione è affare di padri,
anche putativi o legali, non sembra appartenere propriamente alla
sfera femminile per queste donne. E’ sorprendente che questo
sembrerebbe essere esattamente l’opposto del principio della Maternal
Preference del quale tanto femminismo ha preso le difese fin
dall’epoca degli anni 80 del secolo scorso quando Warren Farrell
lascio il movimento femminista perché si opponeva al fatto che le
donne reclamassero l’affido esclusivo dei figli.
Infine il caso dei Lele, anche se le donne non sono denaro nella nostra società (anche se sicuramente fanno parte dello status in certi ambienti) non sì può non notare una certa analogia con l’estremo pompaggio a tutti i livelli mediatici delle donne come superiori, intoccabili, alle quali parlare con calma senza fare mansplaining in modo politicamente corretto con la minaccia anche di essere querelati per stalking, donne che non hanno il minimo interesse per le azioni e i desideri degli uomini, e il rapporto può esitare nell’infedeltà in caso di mancanza di cure e attenzioni. Il risultato netto è una spaccatura sociale profonda, che rende impossibile, nei Lele come nelle nostre società avanzate, recuperare chi ha perso, colui che non ha una compagna ed è spesso destinato ad affondare nella scala sociale. Peraltro questo significa che la struttura è immutabile? Come scrive molto bene Martin Van Creveld [7]: Se non ci fossero state le donne, che nella realtà e nell’immaginazione, chiedevano ai loro uomini protezione, li incoraggiavano alla partenza, pregavano per loro durante la battaglia, attendevano il loro ritorno, abbracciavano i vincitori, consolavano gli sconfitti, curavano i feriti, piangevano i morti e fungevano (in un modo o in un altro) da bottino, la guerra sarebbe stata senza senso e persino impossibile, e se sostituite la parola guerra anche con qualcosa di più moderato come rivolta si vede che questa è inattuabile, figuriamoci avere qualcosa di più come una società giusta. Il sistema come scrive la Douglas all’inizio del capitolo dove descrive questi esempi è “in lotta con se stesso” ma il conflitto è di genere, non è, e non sarà mai lotta di classe.
Il nodo della famiglia
Gli esempi fatti dalla
Douglas delle relazioni tra i sessi richiamavano tutta una serie di
modelli familiari anche molto diversi tra loro. La famiglia, comunque
si strutturi, è sempre stata considerata in sociologia l’unità di
base dei sistemi sociali. Abbiamo avuto decine di tipi di famiglia
tutti più o meno funzionali o disfunzionali a seconda delle
circostanze storiche, economiche e culturali, quello che è certo è
che nella famiglia prevalentemente vi sono uomini e donne con figli,
e che quindi essa è spesso il luogo di elezione del conflitto di
genere, tanto che alcuni sostenitori della queer theory si sono
spinti fino a sperare nella sua dissoluzione. Oggigiorno assistiamo
alla crisi della cosiddetta “famiglia nucleare borghese” nata
all’incirca all’epoca della rivoluzione francese. Questa famiglia era
formata dall’unione di una donna e un uomo con i propri figli. E’
importante capire che all’inizio la famiglia nucleare borghese
era un modello familiare nuovo che lavorava fondamentalmente
in funzione dell’ascesa sociale dei propri figli, fino agli anni 80
del secolo scorso è stato praticamente così. Possiamo leggere
qualche estratto dalle lettere del generale Bouêt de Martange,
aiutante di campo del principe di Sassonia come prototipo del padre
borghese (de Martange era benestante ma non certo ricco): “Alla
moglie Martange scrive «mia cara mamma» o «cara amica»,
«bambina mia», «piccina mia», si compiace di
chiamarla come la chiamano i suoi figli: mamma. Le figlie sono
ricordate coi loro diminutivi: Minette, Coco. Il padre lontano si fa
tenere al corrente dei minimi dettagli della vita quotidiana che
prende molto sul serio: «ti prego di dare una sgridatina alla
signorina Minette per lo scarso pensiero di scrivermi che si è data
finora» « per me è proprio una festa raggiungerti nel
nostro povero piccolo regno, e niente mi sarà più caro che
occuparmi di sistemare la tua camera..». In questa
corrispondenza tengono gran posto i problemi relativi alla salute e
all’igiene: «Se non avessi notizie della salute tua e delle
figliolette mi ridurrei proprio in uno stato pietoso» Si parla
anche molto dell’educazione dei bambini riconoscendone
l’importanza: «Soprattutto ti raccomando di provvedere senza
perdere un minuto all’educazione; raddoppia o triplica le lezioni
quotidiane… le bambine imparino a comportarsi come si deve e a
muoversi con garbo» «… se non mi restasse altro, venderei
l’ultima camicia per vedere i miei figli al livello degli altri
ragazzi… penso unicamente a rimettere in sesto i miei mezzi per
assicurare loro la felicità»” [8].
Che la crisi esiste è
evidente dal calo dei matrimoni, al grande numero di separazioni e
divorzi, dall’indice di natalità tra i più bassi del mondo (alla
pari con molti altri paesi occidentali e non). Spesso si parla oggi
di famiglie queer che è un modo di rappresentarsi dei
rapporti che nella realtà sono sempre esistiti come clan, la
relazione tra allievo e maestro, le grandi famiglie allargate ad
esempio come nelle cascine [9]. Ma piuttosto che andare verso un
superamento della famiglia nucleare borghese in vista di una nuova
socialità, sembra che il capitalismo avanzato spinga verso strutture
sempre più ridotte maternal preference (donne con figli favorite
nelle separazioni), uomini soli non per loro scelta (incel),
sostituzione dei figli con animali da compagnia (antispecismo).
L’atomizzazione sociale sfavorisce le economie di scala e quindi
incrementa gli utili, è ovvio che il capitale non può che essere
favorevole ad una maggiore dispersione dei consumatori.
L’introduzione di una nuova categoria il “single” già
dall’ultimo decennio del secolo scorso ormai è definitivamente
acquisita in campo sociale tanto che esiste un mercato di prodotti
“per i single”. Ma le conseguenze di questa atomizzazione, che
coincide anche con la precarizzazione del lavoro, ha influenza anche
sulle rivendicazioni di classe: il proletariato non esiste più, ma
il rider, il driver, la colf o la badante
l’hanno sostituito con meno relazioni sociali, meno forza
rivendicativa, monadi che sono separate le une dalle altre. Le
difficoltà sul lavoro si riverberano sulle famiglie che divengono
fragili, o anche impossibili da formare in una situazione precaria.
Questo fatto espone a sua volta a rendere fragile la relazione tra i
generi creando le condizioni per l’esercizio della violenza tra
partner. D’altra parte le sirene della società affluente inducono
tutti, anche chi è al limite della sussistenza, a consumare
compulsivamente, illimitatamente. Fenomeno che possiamo far rientrare
nella sostanziale eliminazione (evaporazione) del padre: colui
che lancia nel mondo, ma allo stesso tempo colui che insegna
l’esistenza del limite [10]. E’ bene precisare che qui padre ha
accezione di ruolo sociale più che meramente biologica. Oggi
preoccupazioni come quelle del generale de Martange divengono sempre
più rare, si è diffuso un modello familiare borghese terminale di
padri deboli, incapaci di parlare ai figli, demoliti da un
anti-autoritarismo che ne ha distrutto anche l’autorevolezza. La
struttura, o, meglio, la lotta di classe dall’alto verso il basso
contribuisce alla precarietà citata sopra, tanto che oggigiorno dei
circa 4000 suicidi ogni anno l’80% sono uomini, e una buona fetta
sono anche padri separati. Eppure, qui tocchiamo nuovamente con mano
l’effetto delle narrazioni sovrastrutturali, legate al conflitto
di genere, noi vivremmo ancora in una società patriarcale
secondo il femminismo.
In questa situazione un regresso nell’ambito dell’affido condiviso dei figli era anche prevedibile: l’Italia è, con l’Ungheria, l’unico paese europeo in cui viene misurato una diminuzione della quota di Affido Condiviso, nonostante una percentuale già altissima di Affido di fatto Monogenitoriale se si va a vedere il tempo passato da ciascun genitore con i figli quando separati [11]. Non è sorprendente, in vista di quanto detto sopra, come il genitore prevalente sia sempre la madre. La Maternal Preference ha dei costi sociali che a lungo andare il paese Italia rischia di pagare, l’occuparsi a tempo pieno dei figli riduce il numero delle donne lavoratrici cosa che un paese moderno non può permettersi (persino tra i Talebani in Afghanistan ci si sta rendendo conto che le donne non possono stare solo a casa), il numero particolarmente basso di donne occupate rispetto ad altri paesi europei si riflette poi nella differenza media degli stipendi maschili e femminili, strombazzata ai quattro venti come gender gap ma che, a parità di mansioni, è inesistente per ragioni legislative [12].
*Contributo per la
conferenza Una Lettura Alternativa della Questione di Genere,
15 marzo 2025, Centro per lo Scautismo, Roma.
[1] Dal 1° risvolto di
copertina de L’Ultimo Miglio di Angelo Mastrandrea, Manni
2021.
[2] Gender Trouble
è il titolo del famoso libro di Judith Butler (1990) che è
considerato l’inizio della Queer Theory, più volgarmente detta
teoria del “gender” che ha un’accezione più ampia e nella quale
rientrano anche i contributi di altre femministe.
[3] Mary Douglas, Purezza
e Pericolo, Il Mulino, 1975.
[4] Rita Fadda e Giacomo Rotoli, La grande mistificazione dei femminicidi, L’Interferenza, 26 novembre 2024.
[5] Questa linea di pensiero è esattamente la stessa che ha portato il 7 marzo 2025 il governo a lanciare una proposta di legge per il c.d. Reato di femminicidio. A quanto sembra gli estensori della proposta di legge sembra si siano direttamente ispirati alle linee guida della Procura di Tivoli e a quelle più recenti del Ministero delle Pari Opportunità e della Famiglia. Per le linee guida vedere: Lo Stato di Diritto si è fermato a Tivoli , La Fionda, 4 marzo 2025.
[6] Rita Fadda, Uomo sei colpevole fino a prova contraria, Paese Roma 11 gennaio 2025.
[7] Martin Van Creveld,
Le donne e la guerra, Libreria Editrice Goriziana 2001.
[8] Philippe Ariès,
Padri e figli nell’Europa medioevale e moderna,
Laterza 1975.
[9] Giacomo Rotoli, Gens Murgia, L’Interferenza, 31 agosto 2023.
[10] Sull’evaporazione
del padre esistono diversi libri mi limito a citare: Il
padre. L’assente inaccettabile, di
Claudio Risé (2009) e Cosa resta del padre?
La paternità nell’epoca ipermoderna,
di Massimo Recalcati (2011).
[11] Mia
Hakovirta, Daniel R. Meyer, Milla Salin, Eija Lindroos, Mari
Haapanen, Joint physical custody of children in Europe: A growing
phenomenon, Demographic
Research:
Volume 49, Article 18, 479–492,
https://www.demographic-research.org/articles/volume/49/18.
[12] Per legge in Italia non può esistere una persona che sia pagata meno o più di un’altra a parità di mansioni. Quello che si può affermare è che esiste solo un marginale effetto temporaneo attribuibile, nel settore privato (in quello pubblico il gender gap è zero), ai c.d. superminimi, ma nemmeno questa è una giustificazione poiché nessun datore di lavoro darebbe dei superminimi gratuitamente senza ricevere del lavoro supplementare in cambio. Che poi gli uomini siano più propensi a chiederli è perché promettono e svolgono un maggior lavoro (a detrimento di altro ovviamente come la famiglia o il tempo libero) è un fatto che probabilmente ha ragioni biologiche, per cui si potrebbero verificare anche casi in cui a parità di mansioni poi l’uomo magari non produce quanto promesso al datore di lavoro, ma sono casi che evidentemente sono al limite dell’illegalità o sono palesemente illegali e non è detto che siano a danno solo delle donne. Il cosiddetto gender gap, scevro dai calcoli “artificiali” di indicatori come il WEF Gender Gap Report che sono calcolati spesso in modo arbitrario, risulta semplicemente dal monte di tutti gli stipendi maschili e femminili divisi per il numero dei lavoratori. Lavorando le donne, specialmente in Italia, notevolmente di meno e usufruendo del part-time in misura maggiore rispetto ad altri paesi europei, il risultato è che vi è nella media una differenza di stipendio che a secondo di come si calcola va dai 20 ai 4 punti percentuali.
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