Lotta di Classe e Conflitto di Genere*


L’interpretazione post-moderna prevalente dei rapporti tra i sessi è, come sappiamo, quella della vulgata femminista nella quale il maschio eterosessuale è sempre considerato un privilegiato oppressore, questa lettura è stata spesso sovrapposta a quella dell’oppressione esercitata dalle classi abbienti su quelle popolari, in una sorta di estensione della Lotta di Classe alla Lotta di Genere. Un’interpretazione dovuta fondamentalmente al femminismo americano, neanche di marca esplicitamente marxista, ma generalmente accettata nel mainstream. In realtà le due cose sono completamente differenti, anche per questo motivo preferisco usare nel seguito il termine Conflitto di Genere, piuttosto che Lotta di Genere o tra i generi. Che fosse così è stato, ad ogni modo, riconosciuto anche da una parte del femminismo, soprattutto da quello detto della differenza, che tuttavia non ha modificato l’idea che l’oppressore e il privilegiato è sempre l’appartenente al genere maschile.

La lotta di classe: verticale, dal basso verso l’alto, si esprime spesso in manifestazioni evidenti rivolte, più raramente rivoluzioni, o dall’alto in basso, restaurazione, aumento dello sfruttamento del lavoro, esiste dalla fine del cosiddetto “comunismo primitivo” (ammesso che questo sia esistito, meglio dire da quando esiste una struttura di classe) e in termini moderni si esplica anche attraverso il controllo da parte di pochi dei mezzi di produzione necessari alla base materiale dell’esistenza, a quella che a volte chiamiamo struttura. I morti sul lavoro, molti ma di impatto mediatico modesto, danno conto del sacrificio maschile che è intrinsecamente legato alla struttura e quindi sono poco visibili, perché la struttura non appare. Il nostro buon vivere è fondato sullo sfruttamento soprattutto di uomini ed anche donne in molti casi; un esempio è dato dal c.d. settore del delivery: scrive Angelo Mastrandea ne l’Ultimo Miglio [1] “consegnare ordini così frammentati e in poche ore ha costi altissimi: sociali anzitutto, per lo sfruttamento dell’ultimo anello della catena, magazzinieri e driver; ambientali…economici. […] La questione riguarda l’intera economia e si rivesa a cascata lungo tutto il sistema, radicando forme di abuso lavorativo in cui il sommerso diventa la regola”.

Il conflitto di genere è orizzontale, l’attrito tra i generi è causato dalle differenza tra uomini e donne nelle aspirazioni della propria persona, nei pensieri in se diversi (un tempo molte donne aspiravano ad essere madri, ora molto meno, ma c’è ancora una mistica della maternità che si esplica nell’abuso della cosiddetta maternal preferenceche anche molte femministe apprezzano). Il conflitto di genere è interclassista, esiste da sempre a causa delle differenze fisiche che in passato hanno determinato la divisione del lavoro tra uomini e donne. Che vi sia sfruttamento o oppressione delle donne è uno dei dogmi del femminismo, ma di questo non si hanno tracce storiche evidenti (ultimamente è tornata di moda la parola patriarcato che per alcuni sembra condensare oppressione, sfruttamento e violenza in un unico termine, sebbene essa significhi originariamente tutt’altro). Oggi le tracce sono di natura culturale e si trovano nella sovrastruttura, nel discorso e nelle parola che non riflettono sempre la realtà delle cose. Gli omicidi del partner, sono il duale dei morti sul lavori, pochi ma elevati a emergenza nazionale per il grande risalto mediatico che si riverbera soprattutto nella sovrastruttura. Esso produce così linee guida e leggi contro la violenza di genere, ma anche quella che si chiama fiction: narrativa, cinema, in generale quella che chiamiamo Grande Narrazione Femminista la quale, come tutto ciò che è sovrastrutturale, fornisce un’immagine incompleta, quando non alterata, della realtà.

All’interno del contrasto tra generi esiste oggi anche una divisione nel femminismo tra differenza e il cosiddetto “gender”. Ancora una volta il cosiddetto “Gender Trouble” [2] si fonda sul linguaggio e sull’interpretazione che esso da della realtà: per cui il genere può essere staccato dal sesso biologico. In questo modo la categoria degli oppressi è stata estesa indefinitamente anche alle preferenze sessuali (LGBT+) o persino agli animali (antispecismo). E’ da rimarcare che questo contrasto è completamente interno al femminismo, esso non modifica assolutamente il ruolo degli uomini eterosessuali (e non solo se assumiamo il punto di vista delle femministe della differenza) identificati come gli oppressori tout court, specialmente se hanno tratti caucasici.

All’aumentare del conflitto di genere, la lotta di classe passa in secondo piano per ovvi motivi: interclassismo del primo, primato della sovrastruttura e quindi i meccanismi alla base del dominio vengono cancellati. La natura sovrastrutturale, per come esso si dispiega oggi, del conflitto tra i generi, produce anche l’effetto di portare in primo piano gli oggetti finali, le merci, come prodotti ultimi senza considerare più la loro creazione per mezzo del lavoro. In questo mondo immutabile del capitalismo avanzato, la struttura è nascosta e prevale l’individuo con i suoi beni, da cui l’ossessione tutta femminista del motto “il personale è politico”. Sulla base di questa convinzione il femminismo ha abbandonato da tempo la lotta di classe (se pure l’avesse mai adottata, sebbene è esistito ed esiste ancora un femminismo che si ritiene marxista) poiché esso guarda ai diritti individuali di un solo genere, nel caso dell’intersezionalismo più identità minoritarie, in estremo anche di un solo individuo, cristallizzato nell’individualismo neoliberale.

Il sistema in lotta con se stesso”.

Nelle diverse culture che hanno popolato e popolano questo pianeta vi sono molti esempi studiati dagli antropologi che possono essere considerati come dei toy model di società complesse come la nostra. Misandria e misoginia sono due brutte parole, ma oggigiorno la prima è quasi misconosciuta mentre della seconda si fa un uso quasi quotidiano in omaggio al succitato conflitto di genere. Scrive l’antropologa Mary Douglas [3]:

I Walbiri (Australia centrale) vivono in un’aspra zona desertica e poiché sanno quali difficoltà comporti la sopravvivenza della comunità stessa la loro cultura si pone come obiettivo che tutti i membri devono lavorare e abbiano cura di conciliare i loro bisogni con la loro perizia… l’intera comunità è soggetta ad una rigida disciplina…la donna si trova sotto il controllo del marito, il principio del dominio maschile non dovrebbe far sorgere alcun problema…presso i Walbiri sembra che accada proprio questo: feriscono o picchiano le loro donne per il minimo lamento o negligenza…l’opinione pubblica non rimprovera mai l’uomo che abbia imposto violentemente, magari con conseguenze mortali, la propria autorità alla moglie. E’ perciò impossibile per una donna aizzare un uomo contro l’altro: … gli uomini sono perfettamente d’accordo su di un punto: non permettere mai che i loro desideri sessuali procurino ad una singola donna un potere di contrattazione o lo spazio per un intrigo amoroso.

I Walbiri potrebbero essere presi come esempio di una società strettamente misogina, ma dobbiamo tenere conto delle particolari condizioni in cui vivono. Qui ci interessano nella misura in cui il delitto compiuto da un uomo su una donna di fatto è impunito e la totale assenza di libertà sessuale. All’opposto vi sono esempi come quello dei Nuer:

Il matrimonio legale dei Nuer (Sudan) è relativamente invulnerabile ai desideri dei singoli partner. Si può permettere ai mariti e alle mogli di separarsi e di vivere isolati senza modificare lo status legale del loro matrimonio o dei figli della moglie. Le donne Nuer godono di una condizione estremamente libera e indipendente: se una di loro resta vedova, i fratelli del marito hanno il diritto di prenderla in matrimonio levirato per allevare la prole in nome del marito morto, ma se la donna non vuole accettare questa sistemazione essi non possono forzarla; è libera di scegliersi gli amanti che vuole: l’unica garanzia assicurata alla discendenza del marito morto è che la prole, da chiunque sia stata generata, venga considerata come affiliata a quel lignaggio da cui fu pagato il bestiame del matrimonio originario.

O ancora:

Le ragazze del Nayar meridionale sono famose in India per la libertà sessuale di cui godono: non viene loro riconosciuto alcun marito fisso; le donne vivono in casa e possono intrattenere rapporti liberi con un gran numero di uomini. La posizione castale di queste donne e dei loro figli è assicurata ritualmente da una cerimonia prepuberale di nozze sostitutive; l’uomo che interpreta la parte dello sposo rituale ha egli stesso una parallela posizione castale e provvede alla paternità rituale della prole della fanciulla…. a parte la precauzione (di non dover toccare un uomo di casta inferiore) la sua vita è priva di controlli…

Ma il caso più interessate, che forse si avvicina alla complessità di una società moderna, è quello dei Lele (Congo), in cui misoginia e misandria erano entrambe praticate portato donne e uomini ad essere due gruppi sociali di fatto distinti con aspirazioni e scopi differenti:

Il caso dei Lele è un esempio di sistema sociale che tende continuamente a cadere nelle contraddizioni che i raggiri femminili creano ai danni della supremazia maschile. Tutte le rivalità maschili si esprimono nella competizione per le mogli: un uomo senza moglie si trova all’ultimo gradino della scala sociale; con una moglie comincia ad essere qualcuno generando dei figli e acquisendo così un titolo per entrare a far parte delle associazioni per il culto che sono remunerative; se gli nasce una figlia può iniziare a rivendicare i servigi di un genero…la poligamia di per sé esaspera la competizione per le mogli…tutta la loro vita sociale era prevalentemente regolata da un’istituzione secondo la quale i compensi venivano pagati col trasferimento dei diritti sulle donne. Conseguenza diretta era che le donne erano trattate, da un certo punto di vista, come una sorta di denaro contante col quale gli uomini reclamavano e saldavano il pagamento di debiti che stringevano tra loro. I debiti che gli uomini avevano accumulato erano così ingenti che essi potevano rivendicare i diritti sulle figlie che sarebbero nate generazioni e generazioni dopo: un uomo che non avesse alcun diritto sulle donne da trasferire si trovava in una posizione difficile quanto quella di un uomo d’affari privo del conto in banca. Da un punto di vista maschile le donne erano gli oggetti più desiderabili che la loro cultura potesse offrire…

Tutto a favore del dominio maschile allora?

Una ragazzina Lele veniva educata a fare la civetta; fin dall’infanzia era circondata da attenzioni affettuose, petulanti, galanti. Il suo promesso sposo non riusciva mai ad avere su di lei niente più che un limitatissimo controllo; aveva si il diritto di castigarla, ma se lo faceva con troppa violenza, e soprattutto se perdeva il suo amore, la ragazza poteva sempre trovare un pretesto per convincere i fratelli che il marito la trascurava. … Dal momento che gli uomini erano in competizione tra loro per le donne, c’era sempre la possibilità per queste ultime di intessere raggiri e intrighi; non mancavano speranzosi seduttori, e nessuna donna dubitava di potersi prendere un altro marito se le faceva piacere. Un marito le cui mogli restassero fedeli fino alla mezza età, non doveva mai trascurare né la moglie né sua madre; le relazioni maritali erano regolate da un’etichetta piuttosto complicata che prevedeva mille occasioni in cui il marito doveva offrire alla moglie dei doni più o meno importanti. … Se si veniva a sapere che una donna era insoddisfatta della sua vita, veniva subito corteggiata, e le si aprivano molte strade per decidere di troncare il suo matrimonio.

…gli uomini Lele erano angosciati dai loro rapporti con le donne; benché essi pensassero alle donne come dei tesori desiderabili, ne parlavano anche come di esseri indegni, cani o, peggio ancora, intrattabili, ignoranti, petulanti e infide. Dal punto di vista sociale le donne erano veramente così: non avevano il minimo interesse per il mondo degli uomini in cui insieme alle loro figlie venivano scambiate come delle pedine nei giochi di prestigio maschili, e sfruttavano abilmente le opportunità che si offrivano loro. Se si mettevano d’accordo, madre e figlia insieme potevano mandare all’aria qualsiasi piano che non fosse di loro gradimento. Ragion per cui gli uomini alla fine dovevano affermare la loro vantata supremazia ricorrendo a vizi, allettamenti e adulazioni; e quanto parlavano con le donne usavano uno speciale tono carezzevole di voce.

…Gli uomini e le donne sono separati come se appartenessero a sfere distinte e reciprocamente ostili; ne deriva inevitabilmente un antagonismo sessuale, e ciò si esprime nel concetto che ciascun sesso comporti un pericolo per l’altro.

Anche se la nostra è una società indubbiamente più complessa in questi modelli ‘giocattolo’ possiamo identificare alcune tendenze che ci sono immediatamente familiari:

Certamente oggi usare violenza o uccidere una donna è un fatto estremamente sanzionato socialmente e legalmente, tanto che è stato chiesta da diversi politici l’applicazione dell’ergastolo per tutti gli omicidi del partner affettivo o sessuale (quelli che con termine impreciso e maldefinito vengono dalla stampa mainstream detti ‘femminicidi’ generando confusione con omicidi che non hanno nulla a che fare con la volontà di un uomo di punire la donna per motivi legati alla loro relazione [4]). Ma che dire del viceversa? E’ già noto da diverse ricerche che se una donna picchia un uomo non è ritenuto un fatto grave, anzi qualcuno si spinge anche a ‘tifare’ per la donna, anche quando la donna uccide è sempre per un motivo valido “subiva violenza” “era stata tradita” “lui voleva rovinarla” sono alcune e non tutte le frasi che si sentono in queste circostanze. Peraltro di recente la Procura di Tivoli ha prodotto delle Linee Guida in cui gli uomini nei confronti delle donne sono assimilati alla “criminalità organizzata”, quindi è necessario combattere il maschio (bianco, eterosessuale) con Tribunali Speciali (come è attualmente in Spagna) [5]. Da una stima delle donne condannate si evince che 1 sola su 10 di loro sconta la pena in carcere, mentre 6 uomini su 10 finiscono in galera (Paese Roma, Rita Fadda [6]). Un ragazzo che ha ucciso il padre con 34 coltellate perché era violento verso la madre è stato recentemente assolto. Sembra che ci stiamo avviando verso un’inversione del caso Walbiri: uccidere un uomo da parte di una donna (o ucciderlo su ‘commissione’) potrebbe non essere più un reato. Questo spiega anche che certi meccanismi di potere, soprattutto in ambito legale e sociale quindi sovrastrutturale, sono stati fatti propri dalle donne stesse e da una pletora di loro difensori, che agiscono un po’ per interesse un po’ per subordinazione, tutt’altro che l’ipotetica esistenza del patriarcato.

Riguardo ai casi delle donne Nuer o del Nayar sembra che la maggiore reale libertà sessuale dipenda strettamente dalla separazione della filiazione dal partner sessuale. La filiazione è affare di padri, anche putativi o legali, non sembra appartenere propriamente alla sfera femminile per queste donne. E’ sorprendente che questo sembrerebbe essere esattamente l’opposto del principio della Maternal Preference del quale tanto femminismo ha preso le difese fin dall’epoca degli anni 80 del secolo scorso quando Warren Farrell lascio il movimento femminista perché si opponeva al fatto che le donne reclamassero l’affido esclusivo dei figli.

Infine il caso dei Lele, anche se le donne non sono denaro nella nostra società (anche se sicuramente fanno parte dello status in certi ambienti) non sì può non notare una certa analogia con l’estremo pompaggio a tutti i livelli mediatici delle donne come superiori, intoccabili, alle quali parlare con calma senza fare mansplaining in modo politicamente corretto con la minaccia anche di essere querelati per stalking, donne che non hanno il minimo interesse per le azioni e i desideri degli uomini, e il rapporto può esitare nell’infedeltà in caso di mancanza di cure e attenzioni. Il risultato netto è una spaccatura sociale profonda, che rende impossibile, nei Lele come nelle nostre società avanzate, recuperare chi ha perso, colui che non ha una compagna ed è spesso destinato ad affondare nella scala sociale. Peraltro questo significa che la struttura è immutabile? Come scrive molto bene Martin Van Creveld [7]: Se non ci fossero state le donne, che nella realtà e nell’immaginazione, chiedevano ai loro uomini protezione, li incoraggiavano alla partenza, pregavano per loro durante la battaglia, attendevano il loro ritorno, abbracciavano i vincitori, consolavano gli sconfitti, curavano i feriti, piangevano i morti e fungevano (in un modo o in un altro) da bottino, la guerra sarebbe stata senza senso e persino impossibile, e se sostituite la parola guerra anche con qualcosa di più moderato come rivolta si vede che questa è inattuabile, figuriamoci avere qualcosa di più come una società giusta. Il sistema come scrive la Douglas all’inizio del capitolo dove descrive questi esempi è “in lotta con se stesso” ma il conflitto è di genere, non è, e non sarà mai lotta di classe.

Il nodo della famiglia

Gli esempi fatti dalla Douglas delle relazioni tra i sessi richiamavano tutta una serie di modelli familiari anche molto diversi tra loro. La famiglia, comunque si strutturi, è sempre stata considerata in sociologia l’unità di base dei sistemi sociali. Abbiamo avuto decine di tipi di famiglia tutti più o meno funzionali o disfunzionali a seconda delle circostanze storiche, economiche e culturali, quello che è certo è che nella famiglia prevalentemente vi sono uomini e donne con figli, e che quindi essa è spesso il luogo di elezione del conflitto di genere, tanto che alcuni sostenitori della queer theory si sono spinti fino a sperare nella sua dissoluzione. Oggigiorno assistiamo alla crisi della cosiddetta “famiglia nucleare borghese” nata all’incirca all’epoca della rivoluzione francese. Questa famiglia era formata dall’unione di una donna e un uomo con i propri figli. E’ importante capire che all’inizio la famiglia nucleare borghese era un modello familiare nuovo che lavorava fondamentalmente in funzione dell’ascesa sociale dei propri figli, fino agli anni 80 del secolo scorso è stato praticamente così. Possiamo leggere qualche estratto dalle lettere del generale Bouêt de Martange, aiutante di campo del principe di Sassonia come prototipo del padre borghese (de Martange era benestante ma non certo ricco): “Alla moglie Martange scrive «mia cara mamma» o «cara amica», «bambina mia», «piccina mia», si compiace di chiamarla come la chiamano i suoi figli: mamma. Le figlie sono ricordate coi loro diminutivi: Minette, Coco. Il padre lontano si fa tenere al corrente dei minimi dettagli della vita quotidiana che prende molto sul serio: «ti prego di dare una sgridatina alla signorina Minette per lo scarso pensiero di scrivermi che si è data finora» « per me è proprio una festa raggiungerti nel nostro povero piccolo regno, e niente mi sarà più caro che occuparmi di sistemare la tua camera..». In questa corrispondenza tengono gran posto i problemi relativi alla salute e all’igiene: «Se non avessi notizie della salute tua e delle figliolette mi ridurrei proprio in uno stato pietoso» Si parla anche molto dell’educazione dei bambini riconoscendone l’importanza: «Soprattutto ti raccomando di provvedere senza perdere un minuto all’educazione; raddoppia o triplica le lezioni quotidiane… le bambine imparino a comportarsi come si deve e a muoversi con garbo» «… se non mi restasse altro, venderei l’ultima camicia per vedere i miei figli al livello degli altri ragazzi… penso unicamente a rimettere in sesto i miei mezzi per assicurare loro la felicità»” [8].

Che la crisi esiste è evidente dal calo dei matrimoni, al grande numero di separazioni e divorzi, dall’indice di natalità tra i più bassi del mondo (alla pari con molti altri paesi occidentali e non). Spesso si parla oggi di famiglie queer che è un modo di rappresentarsi dei rapporti che nella realtà sono sempre esistiti come clan, la relazione tra allievo e maestro, le grandi famiglie allargate ad esempio come nelle cascine [9]. Ma piuttosto che andare verso un superamento della famiglia nucleare borghese in vista di una nuova socialità, sembra che il capitalismo avanzato spinga verso strutture sempre più ridotte maternal preference (donne con figli favorite nelle separazioni), uomini soli non per loro scelta (incel), sostituzione dei figli con animali da compagnia (antispecismo). L’atomizzazione sociale sfavorisce le economie di scala e quindi incrementa gli utili, è ovvio che il capitale non può che essere favorevole ad una maggiore dispersione dei consumatori. L’introduzione di una nuova categoria il “single” già dall’ultimo decennio del secolo scorso ormai è definitivamente acquisita in campo sociale tanto che esiste un mercato di prodotti “per i single”. Ma le conseguenze di questa atomizzazione, che coincide anche con la precarizzazione del lavoro, ha influenza anche sulle rivendicazioni di classe: il proletariato non esiste più, ma il rider, il driver, la colf o la badante l’hanno sostituito con meno relazioni sociali, meno forza rivendicativa, monadi che sono separate le une dalle altre. Le difficoltà sul lavoro si riverberano sulle famiglie che divengono fragili, o anche impossibili da formare in una situazione precaria. Questo fatto espone a sua volta a rendere fragile la relazione tra i generi creando le condizioni per l’esercizio della violenza tra partner. D’altra parte le sirene della società affluente inducono tutti, anche chi è al limite della sussistenza, a consumare compulsivamente, illimitatamente. Fenomeno che possiamo far rientrare nella sostanziale eliminazione (evaporazione) del padre: colui che lancia nel mondo, ma allo stesso tempo colui che insegna l’esistenza del limite [10]. E’ bene precisare che qui padre ha accezione di ruolo sociale più che meramente biologica. Oggi preoccupazioni come quelle del generale de Martange divengono sempre più rare, si è diffuso un modello familiare borghese terminale di padri deboli, incapaci di parlare ai figli, demoliti da un anti-autoritarismo che ne ha distrutto anche l’autorevolezza. La struttura, o, meglio, la lotta di classe dall’alto verso il basso contribuisce alla precarietà citata sopra, tanto che oggigiorno dei circa 4000 suicidi ogni anno l’80% sono uomini, e una buona fetta sono anche padri separati. Eppure, qui tocchiamo nuovamente con mano l’effetto delle narrazioni sovrastrutturali, legate al conflitto di genere, noi vivremmo ancora in una società patriarcale secondo il femminismo.

In questa situazione un regresso nell’ambito dell’affido condiviso dei figli era anche prevedibile: l’Italia è, con l’Ungheria, l’unico paese europeo in cui viene misurato una diminuzione della quota di Affido Condiviso, nonostante una percentuale già altissima di Affido di fatto Monogenitoriale se si va a vedere il tempo passato da ciascun genitore con i figli quando separati [11]. Non è sorprendente, in vista di quanto detto sopra, come il genitore prevalente sia sempre la madre. La Maternal Preference ha dei costi sociali che a lungo andare il paese Italia rischia di pagare, l’occuparsi a tempo pieno dei figli riduce il numero delle donne lavoratrici cosa che un paese moderno non può permettersi (persino tra i Talebani in Afghanistan ci si sta rendendo conto che le donne non possono stare solo a casa), il numero particolarmente basso di donne occupate rispetto ad altri paesi europei si riflette poi nella differenza media degli stipendi maschili e femminili, strombazzata ai quattro venti come gender gap ma che, a parità di mansioni, è inesistente per ragioni legislative [12].

*Contributo per la conferenza Una Lettura Alternativa della Questione di Genere, 15 marzo 2025, Centro per lo Scautismo, Roma.

[1] Dal 1° risvolto di copertina de L’Ultimo Miglio di Angelo Mastrandrea, Manni 2021.

[2] Gender Trouble è il titolo del famoso libro di Judith Butler (1990) che è considerato l’inizio della Queer Theory, più volgarmente detta teoria del “gender” che ha un’accezione più ampia e nella quale rientrano anche i contributi di altre femministe.

[3] Mary Douglas, Purezza e Pericolo, Il Mulino, 1975.

[4] Rita Fadda e Giacomo Rotoli, La grande mistificazione dei femminicidi, L’Interferenza, 26 novembre 2024.

[5] Questa linea di pensiero è esattamente la stessa che ha portato il 7 marzo 2025 il governo a lanciare una proposta di legge per il c.d. Reato di femminicidio. A quanto sembra gli estensori della proposta di legge sembra si siano direttamente ispirati alle linee guida della Procura di Tivoli e a quelle più recenti del Ministero delle Pari Opportunità e della Famiglia. Per le linee guida vedere: Lo Stato di Diritto si è fermato a Tivoli , La Fionda, 4 marzo 2025.

[6] Rita Fadda, Uomo sei colpevole fino a prova contraria, Paese Roma 11 gennaio 2025.

[7] Martin Van Creveld, Le donne e la guerra, Libreria Editrice Goriziana 2001.

[8] Philippe Ariès, Padri e figli nell’Europa medioevale e moderna, Laterza 1975.

[9] Giacomo Rotoli, Gens Murgia, L’Interferenza, 31 agosto 2023.

[10] Sull’evaporazione del padre esistono diversi libri mi limito a citare: Il padre. L’assente inaccettabile, di Claudio Risé (2009) e Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna, di Massimo Recalcati (2011).

[11] Mia Hakovirta, Daniel R. Meyer, Milla Salin, Eija Lindroos, Mari Haapanen, Joint physical custody of children in Europe: A growing phenomenon, Demographic Research: Volume 49, Article 18, 479–492, https://www.demographic-research.org/articles/volume/49/18.

[12] Per legge in Italia non può esistere una persona che sia pagata meno o più di un’altra a parità di mansioni. Quello che si può affermare è che esiste solo un marginale effetto temporaneo attribuibile, nel settore privato (in quello pubblico il gender gap è zero), ai c.d. superminimi, ma nemmeno questa è una giustificazione poiché nessun datore di lavoro darebbe dei superminimi gratuitamente senza ricevere del lavoro supplementare in cambio. Che poi gli uomini siano più propensi a chiederli è perché promettono e svolgono un maggior lavoro (a detrimento di altro ovviamente come la famiglia o il tempo libero) è un fatto che probabilmente ha ragioni biologiche, per cui si potrebbero verificare anche casi in cui a parità di mansioni poi l’uomo magari non produce quanto promesso al datore di lavoro, ma sono casi che evidentemente sono al limite dell’illegalità o sono palesemente illegali e non è detto che siano a danno solo delle donne. Il cosiddetto gender gap, scevro dai calcoli “artificiali” di indicatori come il WEF Gender Gap Report che sono calcolati spesso in modo arbitrario, risulta semplicemente dal monte di tutti gli stipendi maschili e femminili divisi per il numero dei lavoratori. Lavorando le donne, specialmente in Italia, notevolmente di meno e usufruendo del part-time in misura maggiore rispetto ad altri paesi europei, il risultato è che vi è nella media una differenza di stipendio che a secondo di come si calcola va dai 20 ai 4 punti percentuali.

Immagine da Google

2 commenti per “Lotta di Classe e Conflitto di Genere*

  1. Ros* lux
    17 Marzo 2025 at 11:30

    Questo testo, per quanto molto interessante,rimane all’interno della logica del conflitto di genere,che va a mio parere rifiutata, bisognerebbe invece rispondere alla logica del conflitto di genere con una nuova lotta di classe intragenere,mettendo a fuoco il carattere classista anticomunista del neofemminismo, riprendendo la lotta per la giornata lavorativa legale di 8 ore,che è stata rimossa attraverso la diffusione dell’ideologia neofemminista,mentre in realtà è tornata attuale (Dlgs 66 del 2003).

    L:8 marzo da data simbolica dello sciopero per la giornata lavorativa legale di 8 ore è diventato la giornata per rivendicare più ore di lavoro per le donne,con il pretesto del cosiddetto Gender Pay Gap…In vigenza della giornata lavorativa legale di 13 ore …il neofemminismo è il Socialismo degli imbecilli. https://www.quotidianosanita.it/m/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=38103
    Undici ore di riposo giornaliero. Più facile a dirsi che a farsi

    Ecco allora che lo spettro dei turni di 12 ore si fa strada. Turni non consentiti nell’Italia degli anni venti del novecento diventano la soluzione dei problemi. L’utilizzo stravolto dell’istituto della pronta disponibilità trova oggi spazio.
    Tutto questo è il frutto nefasto del blocco del personale che perdura da troppi anni e la pessima soluzione del non finanziamento per le assunzioni promesse nella legge di stabilità 2016 non potrà che aggravare la situazione.
    Solo un cospicuo numero di assunzioni di personale sanitario possono risolvere seriamente il problema.

    • Giacomo
      17 Marzo 2025 at 15:28

      Sono d’accordo con te… ovviamente. Ma la lotta di classe dovrebbe riemergere, finché si continua a gridare al conflitto tra generi non se ne esce. Quello che dici è molto giusto ma riguarda appunto la struttura nascosta della riproduzione, che appare invisibile mentre dobbiamo celebrare una morte per ‘omicidio del partner’ con cortei di centinaia di migliaia di persone che persino rende irrilevanti le distinzioni pro o contro Ucraina di sabato scorso (mi riferisco al caso Cecchettin ovviamente).
      Il conflitto di genere dovrebbe rientrare nella sfera personale, perché come appunto mostrano gli esempi citati sono tanti e diversi i modi di approcciarlo che non può emergere nulla che possa avere un valore di lotta, eccetto quei casi in cui la società deve punire gli eccessi con il codice penale dato per scontato che vale una condizione di eguaglianza ormai irrinunciabile tra uomini e donne.

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