L’abdicazione di Ocalan: dove va il separatismo curdo?


Nel 2005, Ocalan, detenuto da decenni nella base militare turca di Imrali, denunciò il pericolo della nascita di un sionismo curdo, ciò che avrebbe portato (per dirla con Khamenei) alla balcanizzazione dell’area per mano “d’una seconda Israele”. Il mondo panarabo, alleato dell’Asse della Resistenza sciita, individuò in quell’area di conflitto – Liberazione nazionale Vs separatismo etnico – una priorità, permettendo l’intervento a Gaza, Libano e Siria delle Brigate al Quds del Generale Qasem Soleimani.

Nel 2012, quando la dottrina della “guerra eterna” venne estesa alla Siria baathista attraverso la sovversione fondamentalista sunnita, il leader curdo chiese al PKK di combattere a fianco dell’Esercito Arabo Siriano: nato fra la fine degli anni ’70 ed i primi anni ’80, il “Partito dei lavoratori del Kurdistan” aderì al marxismo filo-sovietico trovando appoggio logistico presso la Siria di Hafez al-Assad, il costruttore della Siria moderna distrutta con il golpe islamista del dicembre 2024. L’imperialismo USA era il nemico principale.

Nel 2014, il PKK ed il ramo siriano, chiamato YPG, divennero uno strumento dell’Occidente collettivo applicando la dottrina sionista del “con-federalismo democratico” nei territori occupati nel nord del Paese. Francia, Israele, Stati Uniti ed Al Qaeda divennero i diretti beneficiari della svendita del petrolio siriano, una linea politica che convertì definitivamente la guerriglia curda in una sorta di “Brigate arcobaleno della Nato”. Gli Stati Uniti ed il Mossad non erano più il nemico principale, ma soci in affari della borghesia separatista. Ocalan aveva ragione; era nato il sionismo curdo.

Nel 2014, il “Fronte Popolare di Liberazione della Palestina” (FPLP) attraverso i suoi organi di informazione, come constatato su L’Interferenza il 14 maggio 2015, rompeva definitivamente con l’antico alleato, verificando attraverso fonti di prima mano che il PKK, da marxista, si fosse trasformato in una organizzazione separatista: nessuna liberazione nazionale potrà mai esserci sotto l’egida dell’imperialismo. Leggiamo:

“il sito “Kanafani.it” vicino al Fronte popolare di liberazione palestinese” ha riportato un importante documento del settimanale turco Yuruyus in cui il giudizio pare netto: ‘I recenti sviluppi a Kobane hanno chiarito chi è chi quando si tratta di combattere … Non c’è una via di mezzo tra l’imperialismo e i popoli che si battono e non c’è spazio per la neutralità …” (Fonte: kanafani.it).” 1

A ridosso delle “primavere arabe” (successivamente eterodirette dagli USA attraverso la Confraternita dei Fratelli Musulmani), Huseyin Yildirim, n.2 del PKK e rappresentate dell’ala filo-sovietica (successivamente filo-russa) del partito, denunciò come la guerriglia fosse manipolata dalla Gladio, un’organizzazione eversiva (non soltanto neofascista) al servizio della Lega Anti-Comunista Mondiale:

“Secondo Yildirim, Ocalan ha concluso un accordo con i servizi segreti della NATO, dopo il suo rapimento a Nairobi, nel 1999. I combattenti del PKK sono stati trasferiti nella no-fly zone dell’Iraq controllata dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, e solo 500 uomini sarebbero rimasti in Turchia. Sarebbero stati successivamente utilizzati per alimentare la strategia della tensione e giustificare gli eccessivi poteri dell’esercito.

Sempre secondo Yildirim, Semdin Sakik e Selim Churukkaya, gli attuali leader ufficiali del PKK, sarebbero agenti della Gladio.” 2

Washington organizza e Tel Aviv approva. Dal 2010 ad ora, Ocalan ha assistito alla nascita d’un “secondo Kosovo” nel Nord Est della Siria: i curdi, da popolazione oppressa durante l’autocrazia ottomana, si sono trasformati in oppressori dei loro antichi protettori, gli arabo-siriani. Un processo involutivo che, secondo Massimiliano Ay, Segretario del Partito Comunista Svizzero, risale agli anni ’90 ed ai primi contatti della dirigenza curda con la CIA:

“Nel 1990 e poi nel 1991 i compagni del Sosyalist Parti turco (oggi rinominato Vatan Partisi) guidati dall’allora caporedattore della rivista “2000’e Doğru”, Doğu Perinçek, avevano incontrato nella valle della Beqa in Libano, Abdullah Öcalan, leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), e – avvertendolo del rischio di “occidentalizzazione” che correva il PKK – gli avevano proposto di rinunciare alla lotta armata, di rompere le relazioni con l’imperialismo americano che foraggiava il separatismo etnico per balcanizzare il Medio Oriente in Turchia, Siria, Irak e Iran e di operare invece, unitamente alle forze patriottiche e rivoluzionarie turche, per democratizzare la Repubblica.” 3 

Dismettendo lo slogan del “Partito del lavoro” (ora “Partito patriottico”), “Turchi e curdi sono fratelli, abbasso l’imperialismo americano”, Ocalan s’è trasformato in un gregario (inconsapevole?) di Washington. La fine della lotta armata (negli ultimi anni di fatto terrorismo filo-statunitense) rappresenta una sconfitta per alcuni settori della borghesia filo-USA turca, ciononostante Erdogan proverà a sostituire i separatisti del YPG coi fondamentalisti del “Partito di dio” curdo nel Nord Est della Siria. Per Ankara, rea d’aver aggredito la Siria plurale ed antimperialista, quest’accordo rappresenta soltanto un cambio di fase. Il cerchio si è chiuso: il PKK/YPG è andato ben oltre l’occidentalizzazione, abbracciando l’ideologia neoliberale della Nato, ovvero la svendita della sovranità economica di una Nazione.

https://www.voltairenet.org/article166587.html
https://www.sinistra.ch/?p=16668

Fonte foto: sinistra.ch (da Google)

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