Superare la sfida dei Brics. Quale logica segue Trump?


«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.»

Tommasi di Lampedusa

Quello che segue è un tentativo del tutto prematuro di ipotizzare la logica d’azione della nuova amministrazione americana; una riflessione sugli eventi dal solo punto di vista del nuovo establishment statunitense. Prematuro perché dovrà essere lo svolgersi degli eventi a chiarire la direzione delle cose, ed in parte retrospettivamente illuminare le intenzioni. La superficie delle cose ci dice che, da una parte, l’amministrazione Usa prosegue, esasperandola ulteriormente, la tendenza di fondo neoliberale di svuotare le macchine redistributive e di controllo dello Stato (affidando il compito di macellaio a una nuova agenzia e a un imprenditore senza scrupoli, come il sudafricano Elon Musk); dall’altra sembra condurre una brutale politica estera di radicale revisione dell’impostazione ‘wilsoniana’ prevalente in tutto il Novecento[1]. Accompagna questa doppia lama di forbice una retorica radicalmente ostile all’universalismo progressista, fondata su argomenti presi dal catalogo del conservatorismo tradizionalista.

Si tratta, dunque, di una costellazione di policy ancora apparentemente incoerente, che non può essere ricondotta direttamente allo schema liberali/fascisti (storicamente poi non tanto incompatibili[2]), dal momento che il fascismo storicamente esistito (quello ‘eterno’ lo possiamo lasciare ai fantasmi della propaganda) è sempre stato iperaccentratore e statalista, mentre qui tutto parla di una triplice ritirata.

La nostra ipotesi è che si tratti in sostanza della finale assunzione del fatto che il triplice deficit (bilancio dello stato, bilancia commerciale e saldo finanziario complessivo) è insostenibile ormai nel medio periodo, e la “sconfitta dell’Occidente” di cui parla Todd nel suo libro[3], rende non più sostenibile la sovraestensione imperiale pretesa dagli ultimi governi USA (da Clinton in poi, almeno, democratici e repubblicani). Ovvero rende il sogno post Guerra Fredda del Mondo Unipolare (la cui immagine economica ed ideologica è la cosiddetta “globalizzazione”) ormai irraggiungibile di fronte alla triplice sfida persa: quella economica, ed ora anche tecnologica[4], con la Cina (e l’estremo oriente in generale); quella militare con la Russia (che, ormai, da sola produce più armi di tutto l’Occidente, e non ne vuole sapere di crollare economicamente, o, tantomeno, di isolarsi diplomaticamente)[5]; quella politico-diplomatica con i Brics[6].

L’establishment Occidentale non voleva accettare questo fatto, e opponeva narrative sempre più stridenti, rilanci ideologici sempre più altisonanti, minacce sempre più vuote. Tante parole, pochi fatti, a ben vedere.

L’avvio della nuova amministrazione sembra indicare un mutamento di rotta all’enorme nave Usa.

Proverò ad ipotizzare che sia in corso un tentativo che chiamerò di “ritirata imperiale”.

Ovvero lo sforzo, che potrebbe benissimo fallire, di ridurre il perimetro di protezione (che oggi, nell’impostazione “wilsoniana”, si vorrebbe esteso all’intero pianeta e coincidente con la vocazione universale della ‘democrazia’) al contempo, però, intensificando il prelievo imperiale sulla base di un accordo-globale di non interferenza geograficamente orientato (si parla, con formula giornalistica, di “Nuova Yalta”). In altre parole, l’idea della nuova amministrazione sembrerebbe essere di ridurre le spese e aumentare le entrate da saccheggio (le migliori, perché non devo dare alcuna contropartita). In termini marxiani avviare un nuovo ciclo di “accumulazione primitiva”.

Passare, in altri termini, da un preteso monopolio della forza politica-economica-militare – travestita sempre più malamente da missione universalista – a un oligopolio a tre, fondato sulla semplice potenza, travestita retoricamente da rispetto multiculturale e delle tradizioni di civiltà.

Ma questo ipotizzato progetto coinvolge anche la Cina? E, in caso negativo, come può essere sensato perseguirlo[7]. In caso affermativo prevede la doppia disgregazione, di fatto se non formale, sia dell’Unione Europea sia dei Brics? E come allineare potenze di secondo livello, ma grandi, come quelle citate, di paesi come Giappone, India, Germania, Inghilterra, Francia, etc.?

Si tratta di domande cruciali, nelle quali c’è lo spazio anche di una critica politica e della ricostruzione di una relativa soggettività.

In sostanza, infatti, il sistema politico-economico cinese è concorrente oggettivo, se non soggettivo[8], del sistema politico-economico Occidentale. La sua civiltà, come anche quella indiana, islamica, alcune radici di quella russa, il buen vivir sudamericano, molte civiltà africane, o del pacifico orientale, non si lascia ridurre a ombra di quella Occidentale sulla strada di un maggiore o minore “avanzamento” verso l’unico e comune progresso (fatto coincidere con la “modernità”). Per toccare questa enorme questione, si può ricordare come Xi Jimping nel 2019 riassume la differenza: le civiltà comunicano attraverso la diversità, imparano l’una dall’altra attraverso gli scambi e si sviluppano attraverso l’apprendimento reciproco[9] e, in un discorso del 2014, richiamando il concetto di ‘armonia senza conformità[10] che riconosce il mutuo apprendimento, senza gerarchia o maestri, come la forza motrice del progresso dell’umanità. Più profondamente qui ‘razionale’ e ‘vero’ sono concepiti come prodotti del ‘vivente’ (Dao) che è immerso in una totalità di relazioni, anziché come in occidente, come attributi oggettivati dell’essere (interpretati da un potere). I popoli di tutto il mondo, in questa prospettiva, sono interdipendenti “io sono in te, tu sei in me” e formano un “destino comune”. Il pensiero strategico cinese è pieno di questa concettualizzazione; invece di agire per dominare (e uniformare il mondo) punta a che tutto, secondo la sua propensione, si trasformi (hua). Cerca di restare “sotto il cielo” per individuare “dove va la luce”, accompagnando la situazione al suo massimo potenziale ed effetto. Nel concetto di tianxia (spesso tradotto in “la via del cielo”) è incluso questo particolare universalismo concreto, che implica una dialettica dell’inclusione, e concepisce la razionalità come prorompere da una situazione collettiva accettata senza coercizione (anziché essere radicata nel cogito individuale), e la verità come prodotto dell’armonia. È in questo senso che il mondo è di tutti, 大道之行也天下為公, “quando prevarrà la Grande Via, l’Universo apparterrà a tutti”, un verso del testo confuciano “I riti”, ripreso da Qing Kang Youwei e dal Sun Yat-sen nell’espressione “Tian xia wei gong”[11].

Il punto è che tutte le polarizzazioni proprie della razionalità occidentale-greca, come uomo/dio, invisibile/visibile, eterno/mortale, certo/incerto, permanente/mutevole, potente/impotente, puro/misto, certo/incerto non sono presenti in Cina[12], e la tecnica corrisponde a relazioni diverse con gli dei, gli umani ed il cosmo. Agisce una sorta di ‘risonanza’ (ganying) che genera un sentimento in relazione ad un’obbligazione morale (sia in senso sociale che politico), effetto della unità tra l’umano ed il cielo. Ovvero dell’umanizzazione del divino avvenuta in Cina (mentre in occidente avviene il movimento opposto di separazione). Ganying implica un’omogeneità tra tutti gli esseri e un’organicità delle relazioni tra parte e parte e parte/tutto. 

Anche sul piano strettamente dell’ordinatore economico-politico, che con queste radici è strettamente legato nell’ordine dello sviluppo storico (del quale l’epoca dell’umiliazione coloniale, il movimento di modernizzazione, la guerra con il Giappone e la rivoluzione, sono caposaldi ineliminabili), il sistema cinese è fondato: sulla centralità della proprietà pubblica, che serba un ruolo secondario a quella privata; sulla distribuzione primaria basata sul lavoro, e solo secondaria sui diritti di proprietà; su un sistema di mercato basato e guidato dallo Stato e soggetto ad una “pianificazione limitata”; sulla “legge dello sviluppo proporzionale” di marxiana derivazione. A partire dai primi anni duemila (16° Congresso) la teoria guida è quella delle “tre rappresentanze” (il Partito deve rappresentare i requisiti per lo sviluppo delle forze produttive, della cultura avanzata e della stragrande maggioranza del popolo). L’idea è di superare entrambi i modelli contrapposti della Guerra Fredda: l’ingiusto sistema di proprietà privata incontrollato e la conseguente distribuzione secondo il capitale ed i suoi derivati, da una parte, e la rigidità di un sistema basato su una distribuzione egualitaria e burocratizzata[13].

Ritengo che questo tentativo di dissoluzione per incorporamento parziale della sfida egemonica dei Brics andrà incontro a enormi difficoltà e, in ultima analisi, fallirà. Ma questo sembra il tentativo e in questa direzione si potrebbero interpretare le future pressioni, minacce, ricatti e anche azioni militari della nuova leadership statunitense: gestire una ritirata strategica che consenta di salvare l’essenziale.

In sostanza, se così fosse infatti, la “ritirata imperiale” presupporrebbe di vincere quattro battaglie:

  • Lacerare i campi Occidente/Oriente. Complessi politico-ideologici di lunga formazione almeno dal XIX secolo. Verrebbe in tal senso superata la presunzione di amicizia nel campo occidentale e la stessa sua nozione (che si nutre di quella di Oriente). Ad esempio, quella tra Stati Uniti ed Europa, o Giappone.
  • Sfidare la pretesa dell’universalismo occidentale di essere la forma definitiva e superiore dell’umano. O, almeno, travestirla sotto vesti conservatrici anziché progressiste (che sono quelle più naturali almeno dall’illuminismo in poi).
  • Affermare una brutale chiarezza gerarchica, dimenticando l’ipocrisia dell’ “Ordine basato su Regole”, da sostituire con un semplice e chiaro “Ordine basato sulla Forza”.
  • Dividere lo sforzo di dominio tra pochi, e quindi imporre la sottomissione di molti, riducendo in conseguenza il costo di protezione ed i relativi obblighi. Ciò al prezzo di ridurre in estensione l’area di estrazione imperiale[14], e per questo intensificarla dove possibile.

Naturalmente bisogna superare difficoltà ciclopiche e battere avversari potentissimi:

  • Rompere le interconnessioni e regolare le pendenze (impegni e debiti) economico-finanziarie che attraversano il mondo in un’inestricabile rete di interdipendenza e relazione;
  • Contenere gli appetiti interni e cambiare cavallo alla carrozza (dal traino del sistema militare-industriale-finanziario che guida la politica Usa, almeno da Truman, a un nuovo centro industriale-finanziario con il sistema militare in secondo piano);
  • Disciplinare le potenze intermedie, sbarrando loro la strada verso la grandezza (ovvero Europa, India, Giappone, Brasile, mondo arabo e persiano, etc…);
  • Condurre guerre di aggiustamento nei ‘giardini di casa’ (nuova dottrina Monroe[15]), senza che scivolino in guerre di confronto egemonico. La divisione dei compiti vorrebbe dire che, come nella Guerra Fredda, in sostanza ognuno ha licenza di spazzare il proprio cortile.

In conclusione, è questa ipotesi da noi accettabile, possiamo considerarla un miglioramento?

Io credo sia, se anche fosse questo il progetto (ed un progetto a questa scala è sempre al più uno schema che si adatta alle situazioni man mano che si danno), solo una nuova forma del progetto di sempre del liberalismo occidentale:portare a funzione, in favore dei ceti possidenti e della stabilità che ne deriva, ogni energia utopica e spinta che suscita dal basso. Nella fattispecie l’energia che genera la critica all’universalismo progressista in parti crescenti della classe media occidentale. Critica all’universalismo progressista che, sia inteso, condividiamo nella sua degenerazione imperiale e classista.

Credo sia, alla fine, una forma di riproposizione del medesimo dominio, interno ed esterno; per la stessa natura dello schema spartitorio che sembra essere proposto, e per la ragione per la quale viene proposto: ridurre e concentrare la forza, al fine di estrarre molto più valore da stati subalterni, evitando che questi ultimi sfruttino i giochi di sponda che una fase realmente multipolare consentirebbe. Estrarre quindi valore e potenza dalla Groenlandia, malgrado la Danimarca; dal Canada e dal Messico (vicini ad un egemone ‘pattizio’, come l’Ucraina alla Russia e quindi indiscutibilmente stati a sovranità limitata); da Panama, che deve essere ricondottoal “giardino di casa” degli Usa e non della Cina; domani dal Venezuela, Nicaragua, Bolivia, Brasile, … da allineare con le buone o le cattive, espellendo i cinesi, magari con un nuovo Piano Condor; dai paesi europei, uno ad uno e separatamente; dal Medio Oriente, nel quale fare nuovi resort sulla spiaggia e, ovviamente, oleodotti; dall’Africa (che sarà spartita in un nuovo Congresso di Berlino del 1884?); dal risiko orientale.

Dalla fase unipolare, ascendente con la mondializzazione nel ventennio ’90-’10, e dalla fase di affermazione multipolare nell’ultimo decennio, si passerebbe così direttamente ad una stabilizzazione tripolare che, come nella Guerra Fredda, vedrebbe una moderata e ordinata competizione tra poli egemonici sullo sfondo dell’accordo comune ad impedire l’ascesa di altri membri al club del dominio (o all’indipendenza e autodeterminazione).

Tutto questo è la padella o la brace?


[1] – Thomas Woodrow Wilson, presidente degli Stati Uniti dal 1913 al 1921, quindi durante la Prima Guerra mondiale e durante i cruciali anni seguenti, presiede al passaggio della potenza americana dal secondo piano che aveva rivestito nell’Ottocento al protagonismo internazionale. Durante il mandato del presidente, che era stato rettore a Princeton e aveva un deciso profilo intellettuale si afferma una retorica universalista di prima facciata, accompagnata dalla più cruda politica di fatto imperialista nei confronti di paesi “arretrati” e quindi “da aiutare” sulla strada del progresso, come Messico, Nicaragua, Haiti, Panama, Cuba e Repubblica Domenicana, senza dimenticare le periferie razziali interne (la sua amministrazione è una delle più chiaramente razziste della già non edificante storia americana). Fu lui a far approvare nel 1918 la famigerata legge sulla sedizione, che consentiva la più ampia repressione del partito socialista, e far arrestare successivamente Eugene Debs, leader del Partito Socialista Americano. Sotto la sua amministrazione fu mandato il corpo di spedizione per reprimere la Rivoluzione russa. Ma alla conferenza di pace di Versailles Wilson impose un principio di nazionalità ed autodeterminazione, in chiave di dissoluzione degli imperi sovranazionali (Austria e Turchia). Il punto è che per Wilson, un democratico del Sud, i non bianchi, siano essi individui o popoli, sono come dei “bambini” e devono essere “addestrati” prima di potersi autogovernare. Altrimenti si sarebbe andati incontro ad un “rovesciamento della civiltà” (come nel breve periodo in cui i neri acquistarono diritti immediatamente dopo la Guerra di Secessione, quando aveva dieci anni). Al contempo, e proprio per questo in realtà, gli Stati Uniti si dovevano presentare al mondo come “faro di libertà”, come recitavano i suoi famosi “Quattordici punti”. Nessuna contraddizione, il progresso richiede adulti, non popoli bambini. Cfr. Daniel Immerwahr, L’impero nascosto, Einaudi 2020, p. 135 e seg,.

[2] – Il fascismo storicamente esistente non solo emerge dalla crisi del primo liberalismo, cosiddetto del laissez-faire, quanto si afferma come contrasto più efficace alla minaccia socialista e in quanto tale viene appoggiato dalle forze liberali. Nella prima fase in Italia produce riforme liberali per poi, nel corso degli anni Trenta, seguire la generale tendenza neostatalista e interventista in economia.

[3] – Per fattori strutturali e culturali. Tra i primi la volatilizzazione dell’industria americana, la irresistibile dipendenza dalle importazioni, il degrado sociale e la dipendenza da lavoratori immigrati anche di alto profilo, le tensioni del dollaro, sfidato in prospettiva dal resto del mondo. Emmanuel Todd, La sconfitta dell’Occidente, Fazi editore, 2024.

[4] – La Cina è ormai sulla frontiera tecnologica nelle più importanti aree di confronto, e spesso avanti. La ragione è che impegna ingenti risorse economiche e politiche, concentrandole, nel contesto di un grande paese che laurea un milione di ingegneri, spesso di alto livello, all’anno (gli Stati Uniti 230.000, la Russia leader in questa classifica mezzo milione).

[5] – Ormai dovrebbe essere chiaro che la Russia ha prevalso, in pratica su tutto l’Occidente, in Ucraina.

[6] – L’alleanza ibrida dei Brics continua ad allargarsi, su una piattaforma se non di contrapposizione almeno di indipendenza dall’Occidente.

[7] – Ovviamente questo progetto presume l’interruzione del progetto antiegemonico dei Brics, e che la grande potenza cinese accetti un sostanziale confinamento in un’area concordata. Altrimenti con questa bisogna andare allo scontro finale, e in tal caso diventa anche non realistico un accordo separato con la Russia.

[8] – La mentalità cinese non è incline ad un espansionismo di tipo Occidentale, escatologico e messianico, che ritiene esistere una sola via alla “salvezza” e che questa sia incarnata nella propria tradizione e cultura. Il punto di vista cinese è, al contempo meno ambizioso e più paziente. Un cinese ritiene di essere già al centro del mondo, ma anche che ogni sua parte sia “sotto al cielo”. Se la tendenza di fondo dell’Occidente post-illuminista è di sostituire il legame sociale con il consumo, che però isola, quella dell’Oriente cinese è fondamentalmente diversa. Anche se, bisogna considerarlo, alcuni strati borghesi sono raggiunti dalla promessa di socializzazione del capitalismo maturo, fondata essenzialmente sulla disponibilità di tempo e ricchezza per ciascuno, ovvero sulla libertà di accedere a percorsi di vita scelti individualmente, avendone le risorse. Chiaramente tale promessa di salvezza, idolatra in senso tecnico, è costantemente tradita dal sistema sociale.

[9] – Xi Jimping, “Gli scambi ed il mutuo apprendimento rendono le civiltà più ricche e variopinte”, discorso al quartier generale dell’Unesco, 27 marzo 2014, in Xi Jimping, Governare la Cina, Giunti Editore 2016.

[10] – Dialoghi di Confucio, “Zilu”. Si veda anche Lunyu 13,24, “he er bu tong”, dove “he” indica la corrispondenza tra i suoni, nella quale ognuno esprime pienamente la propria potenzialità articolandosi in perfetta sintonia con gli altri, questa parola implica consenso (gongshi) che tiene tutti in gioco. Esclusione e conflitto sono l’opposto del concetto di ‘armonia’ (una traduzione possibile di “he”) che implica l’impegno di mediazione tra tutte le parti in gioco allo scopo di realizzare una società che incontri il massimo consenso di tutti, dando ascolto anche ad istanze diverse e contraddittorie, senza indulgere né nell’autoritarismo di sceglierne una né nel libertarismo di lasciarle senza armonia. La tensione tra ordine (zhi) e disordine (luan), sia a livello sociale sia individuale e spirituale, è alla radice del perseguimento dell’armonia nella ricerca costante del miglior punto di equilibrio tra le forze in gioco.

[11] – Si può anche contemplare questo testo, dalla stanza 47 del Dao:

1. Non serve varcare la porta di casa

2. per comprendere ciò che sta sotto il Cielo;

3. né dalla finestra scrutare

4. per comprendere il dao del Cielo.

5. Più esci e più t’allontani,

6. meno comprendi.

7. Il Saggio, pertanto, comprende [le cose] senza muoversi [verso di loro],

8. [le cose] nomina, senza bisogno di averle prima scorte.

9. [Agli esseri] assicura piena realizzazione, senza farne oggetto delle proprie mire.

Il termine zhi, che ricorre più volte in questo brano (conoscere, sapere, agire nel mondo) indica un esperire integralmente, dislocando la vera conoscenza (che passa anche per il linguaggio) attorno e non dentro il soggetto, perché nel Laozi a questo, al soggetto, non è riconosciuto il privilegio di detenere un sapere in senso esclusivo. Più che comprendere oggetti, secondo la tradizione Occidentale, qui si tratta dell’insieme delle relazioni che rendono gli oggetti tali, in un circolo che comprende il soggetto. Il Dao (il mondo nella sua totalità di destini che interagiscono) è esperibile solo perdendosi ed abbandonandosi. Il riferimento al “senza muoversi”, indica una forma di comprensione che non dipende né da esperienze cognitive precedenti o da dati empirici; una comprensione che deriva dall’essere connessi al Dao.

Per questo il ‘Saggio’ si può dedicare al governo del mondo secondo una caratteristica linea di non-ingerenza, la quale, proprio per questa profonda immersione (ma originaria) assicura la piena realizzazione delle predisposizioni delle cose stesse. L’immobilismo produce contemporaneamente il massimo di armonia. E’ così che il saggio può ‘nominare’ (v. 8) le cose.

[12] – Hou, Y., Cosmotecnica, Nero 2021 (ed.or. 2016), p. 27

[13]  – Cfr. Cheng Enfu, Dialettica dell’economia cinese, Marx Ventuno, 2024.

[14] – Per questo concetto si veda Alessandro Visalli, Dipendenza, Meltemi 2020.

[15] – Si veda Giacomo Gabellini, Dottrina Monroe, Diarkos, 2022.

Fonte foto: da Google

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