Arrivano i primi segnali di allarme
sulla tenuta del sistema previdenziale con il calo degli occupati.
All’orizzonte, ma non questo anno, provvedimenti ulteriori che alzeranno l’età
di uscita dal mondo del lavoro abbattendo il potere di acquisto dei pensionati
di Federico Giusti
In un articolo recentemente pubblicato sul portale
Lavoce.info si lancia l’allarme sulla tenuta del sistema previdenziale con il
crescente squilibrio tra occupati e pensionati senza per altro menzionare che
molti dei contratti attuali sono part time e portano all’Inps contributi di
gran lunga inferiori a un full time.
La crescita del numero dei pensionati rispetto alla
popolazione attiva è un annoso problema nei paesi a capitalismo avanzato
occidentale alle prese con basse natalità e restrittive politiche in materia di
immigrazione, se poi aggiungiamo la precarietà e il nero si acquisisce un
quadro preoccupante per l’immediato futuro italico.
Un’altra argomentazione omessa è la perdita del potere
di acquisto che riguarda i salari e buona parte delle pensioni, i numeri di chi
oggi percepisce un assegno previdenziale mensile di poco inferiore ai 1000 euro
mensili sono in continuo aumento il che dovrebbe indurre a riflettere sulla
bontà del sistema contributivo, patrocinato dalle politiche di austerità con
una massa di pensionati a vivere con assegni di poco superiori al trattamento
minimo previdenziale.
Per comprendere la situazione attuale dovremmo fare un
salto indietro di oltre 30 anni con il progressivo allungamento dell’età
pensionabile, la riduzione dell’assegno previdenziale determinato dal calcolo
contributivo e dai tagli delle percentuali di indicizzazione all’inflazione.
Con l’aumento dell’aspettativa di vita la pensione di
vecchiaia arriverà presto a 68 anni di età, per la Pubblica amministrazione
stanno pensando, su base volontaria, di portarla a 70 anni, di certo
assottigliandosi l’assegno previdenziale la permanenza al lavoro diventa una
necessità economica per non trovarsi in condizioni economiche a dir poco
precarie.
A parità di contributi versati tra una pensione
calcolata con il vecchio sistema retributivo e una con il contributivo corre
circa il 20 per cento, aggiungiamo che molti infortuni sul lavoro si verificano
ormai in una fascia di età vicina alla pensione a conferma che il logoramento psicofisico
determina anche condizioni di insicurezza e rischi oggettivi per la salute.
Il centro destra aveva fatto campagna elettorale
promettendo la revisione della Fornero ma una volta andato al Governo ha
letteralmente disatteso questo impegno.
L’anticipo dell’uscita dal lavoro nella Legge di
Bilancio 2023 già prevedeva forti penalizzazioni che hanno spinto molti\e a
rinunciare a questa opportunità.
L’esecutivo Meloni spinge quindi verso l’allungamento
della vita lavorativa, prova a calcolare i versamenti previdenziali secondo il
sistema contributivo (gli anni antecedenti al 1996 dovrebbero essere calcolati,
in teoria, con il retributivo) nell’ottica di scoraggiare uscite anticipate e ridurre
i costi a carico dei datori e della Previdenza pubblica. E prova ne sia l’allungamento
delle finestre di uscita da 3 a 6 mesi per i lavoratori del settore privato e
da 6 a 9 per i dipendenti pubblici per cui al momento della maturazione del
diritto alla pensione trascorreranno mesi prima di lasciare il posto di lavoro
(non vale, almeno fino ad oggi, per la pensione di vecchiaia).
In attesa della discussione, e successiva
approvazione, della Manovra di Bilancio possiamo asserire che interventi in
materia previdenziale sono stati evitati proprio per non incorrere nelle
sanzioni Ue, del resto sta per iniziare un lungo settennato in cui i conti
pubblici italiani saranno sorvegliati da Bruxelles. E quanti tuonavano contro
la Ue oggi si mostrano invece assai concilianti con quelle regole che volevano
modificare.
La ignavia del Governo è confermata dal fatto che
perfino gli assegni previdenziali minimi rimarranno invariati, si continuano a
penalizzare gli assegni medio bassi, si allungano le finestre per le pensioni
anticipate per spostare in avanti l’età di uscita dal mondo del lavoro. Meloni
si muove in perfetta continuità con gli esecutivi precedenti, è ormai un
lontano ricordo il tempo in cui per la pensione di anzianità era sufficiente
aver maturato 35 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica, tutti
gli interventi legislativi succedutisi negli ultimi lustri sono stati
indirizzati a ritardare l’uscita dal lavoro riducendo il potere di acquisto
dell’assegno. Pensare allora che un domani si possa andare in pensione, a
prescindere dai contributi versati, non prima di 70 anni di età è una ipotesi
tutt’altro che remota.
Ridimensionare poi la quota di indicizzazione delle
pensioni all’inflazione è un altro strumento fin troppo abusato che ci fa
perdere potere di acquisto, già oggi non è consigliabile uscire dal mondo del
lavoro troppo presto ma restare in produzione fino all’ultimo giorno accettando
magari di posticipare ulteriormente la pensione.
Qualcuno ha obiettato che il Governo non vuole
indicizzare le pensioni elevate salvaguardando invece quelle medio basse, è
comunque deprecabile che un lavoratore con versamenti cospicui effettuati
nell’arco di una vita all’Inps debba subire poi dei meccanismi iniqui che
depauperizzano il suo assegno, sarebbe invece logico far pagare le tasse in
maniera progressiva assicurando equità sociale e maggiore gettito.
Ironia della sorte proprio il sistema contributivo era
presentato come soluzione equa per restituire, sotto forma di assegno
pensionistico, i contributi versati; la realtà stride invece con questa
narrazione e confrontando l’importo previdenziale con tutti i versamenti
effettuati qualcosa non torna.
Sarebbe infine nefasta l’approvazione di una norma, di
cui il Governo sta parlando da settimane, che permetterebbe alle imprese una
riduzione ulteriore delle tasse accrescendo invece l’Irpef per pensionati e
lavoratori, insomma l’ennesima beffa per i subordinati e un incredibile regalo
per quel sistema imprenditoriale che al
rischio di impresa preferisce i generosi aiuti pubblici salvo poi
dimenticarsene al momento della distribuzione degli utili tra gli azionisti.
Fonte foto: Contropiano.org (da Google)