Avevo già scritto qui della
quadrilogia di Elena Ferrante L’amica geniale [1], molto prima che ci
fosse la serie televisiva e o la classifica del New York Times sui migliori
libri del millennio [2]. In quell’articolo avevo distinto i ruoli delle due
protagoniste Lila ed Elena, la prima legata al territorio, alle classi
sfruttate, all’ultima stagione del comunismo italiano, la seconda in un primo
tempo al sessantotto, poi al femminismo e al cosmopolitismo liberal.
E’ stato soprattutto negli USA
che l’amica geniale è stato riconosciuto come romanzo femminista (probabilmente
per l’assenza di una vera tradizione socialista), tanto da poi essere osannato
anche qui come un caposaldo fino a mettere l’autrice, di cui, ricordo, non si
conosce la vera identità, nel pantheon insieme a icone come Simone De Beauvoir
o Virginia Woolf (ironia della sorte l’autrice potrebbe essere anche un autore,
o una coppia, cosa che è stata ipotizzata). Il motivo per cui sia tanto
piaciuto ai lettori americani ha una duplice ragione, non è solo il femminismo
e l’accettazione del canone cosmopolita e liberal da parte di Elena, ma
anche dall’eterno ritorno del fenomeno macchiettistico che tanto piace
all’estero della Napoli come città bellissima e impossibile, camorra e san
Gennaro, l’armonia perduta o l’eterno paradiso abitato dai diavoli (un
tema sempre alla moda come dimostrano gli incassi dell’ultimo film di
Sorrentino). Un argomento che dovrebbe in realtà restare sullo sfondo, ma che
diventa troppo invadente, specialmente nella versione televisiva molto fedele
all’originale, ma anche per la natura filmica del materiale, inevitabilmente
più colorata dell’idea che possiamo farci leggendo.
Il femminismo ha anche
valorizzato in modo estremo certi aspetti del romanzo che per quanto mi
riguarda sono punti critici e non punti di forza, e che rendono il romanzo più
debole rispetto ad altri romanzi considerati capolavori assoluti, donna o uomo
che sia l’autore. Per quanto mi riguarda
è comunque un grande romanzo, un
affresco molto reale dell’evoluzione della società italiana in generale, e
napoletana in particolare, dagli anni cinquanta agli anni ottanta del secolo
scorso. Per questo io consiglio di leggerlo, soprattutto il primo libro che è
quello ambientato negli anni cinquanta e che è poi il tomo che ha avuto il
primo posto nella classifica del NYT.
A dire il vero ne L’amica
geniale, primo volume della quadrilogia, di femminismo ce n’è ben poco. Ma
verso la fine arriva la prima smarginatura di Lila. Cosa sia questa
smarginatura è sempre stato incomprensibile: Lila afferma che in certi momenti i
contorni delle cose si smarginano e si confondono, ma non è mai chiaro se
si tratta di un processo mentale che risponde a qualche stato reale della mente
o meno [3] (nella serie televisiva la protagonista sembra avere di fatto un
attacco di panico perché non è possibile rendere il suo punto di vista dato che
la narratrice di tutto il romanzo è Elena: non si vede nulla che possa
definirsi una smarginatura). Su questo fenomeno il femminismo si è
scatenato a cercare delle dietrologie inerenti cose come la fluidità del
mondo o l’archetipo femminile della confusione nell’indifferenziato, il transpecismo
come definitiva uscita dalla specie umana persino oltre il transumano, in una
sorta di misticismo panico del tutto (si potrebbe quasi invocare
l’uroboro di Neumann) [4]. Ma per la verità il problema della smarginatura
nello specifico del romanzo, prescindendo dall’interesse filosofico o
esoterico, è che non ha alcun ruolo preciso nella storia, appare casualmente in
qualche momento di tensione e non determina nulla, una costruzione astratta che
non ha nulla a che vedere con i fatti narrati. Una crisi di panico (guarda caso
ricompare panico nel suo secondo significato) era semplicemente più realistica
di un qualcosa che non si capisce bene cosa sia.
Il secondo difetto è una fine
ingloriosa dell’ultima parte dopo il climax della scomparsa della bambina, in
cui il romanzo torna effettivamente al livello del primo libro, ma purtroppo
per poco. Da questo momento indugia fino alla fine sulle protagoniste esaltando
ancora di più l’effetto macchiettistico sulla città con una Lila che, pur
provata per l’orribile vicenda che ha vissuto, si trasforma in una sorta di guida
turistica non richiesta, mentre l’amica Elena, sentendo l’avvicinarsi della
fine (del romanzo) si da alle allegre scopate con tutti i suoi ex incontrandoli
uno ad uno, in una sorta di indice delle cose passate. Qui la caduta di stile è
palese, non c’è più nulla da dire, salvo la critica finale di Elena da parte
delle figlie (da me già descritta in [1]) che prendono in giro la madre per i
libri che ha scritto, la quale non sa che rispondere poiché quei libri ormai
gli sono del tutto estranei essendogli serviti solo per fare carriera come scrittrice
(peraltro rubando l’idea del primo libro a Lila).
Saverio Costanzo, lo
sceneggiatore della serie tv, forse ha ragione a dire che Lila ed Elena sono
personaggi negativi (anche se Elena è quella che riceve le critiche più
devastanti [5]). Elena è per tutta la vita ossessionata dall’amore per Nino
Sarratore, il narcisista, finto-comunista sessantottino che finirà in Forza
Italia (anche se la Ferrante non lo scrive in modo esplicito si capisce
perfettamente) e dalla voglia di affermarsi, di abbandonare le proprie radici
popolari e appartenere a quella èlite colta, cosmopolita, che viaggia per il
mondo e iscrive i figli nelle migliori università americane ed europee. Per questo fa quello
che si dice un matrimonio di interesse con Pietro giovane professore
figlio di una famiglia di tradizione socialista molto in vista. Lila
all’opposto resta prigioniera della città, del proprio quartiere, riesce per
qualche momento ad essere amata da tutti perché incarna il meglio di quella
classe popolare che aveva compreso tra la metà degli anni settanta e i primi
anni ottanta che era necessario votare comunista e aveva portato quel partito
quasi al governo (per quanto ormai fosse troppo tardi). Ma la sua punizione
sarà terribile [6], di fatto costringendola a sparire, la sua è la sparizione
di un’idea strettamente legata al personaggio: il riflusso e la fine definitiva
della lotta di classe. In un certo qual modo il romanzo procede inesorabilmente
verso questo esito: è inimmaginabile una Lila femminista o persino woke.
Eppure qualcuno insiste nel
leggere il femminismo persino in Lila [7] cadendo in una inesorabile
contraddizione: Se Lenù fa la femminista a parole, Lila lo è nelle azioni,
lascia il marito, cade in miseria, fa la lotta di classe, va a lavorare in
fabbrica. Sfida tutti gli uomini, a partire dal padre. Sbagliato! La lotta
di classe non ha nulla a che fare col femminismo, e questo oggi è un fatto
molto chiaro e noto da tempo, basta leggere Paola Tavella, una delle femministe
italiane storiche, che scrisse qualche anno fa: Infine ci sono alcuni che
avevano vent’anni quando a suo tempo abbiamo dato inizio al nostro femminismo e
che già allora non la presero bene, ma dovettero star zitti perché noi eravamo
separatiste, solidali e inarrestabili. Ricordo i disegnini osceni che ci
passavano sotto la porta chiusa delle stanze dove facevamo autocoscienza.
Ricordo le loro critiche marxiste leniniste del cazzo (parola scelta con cura),
tutta la menata della contraddizione principale. Il divorzio tra femminismo
e marxismo è iniziato negli anni settanta ed è definitivamente avvenuto negli
anni ottanta, epoca a cui si riferisce il testo della Tavella e, guarda caso,
proprio quando il romanzo di fatto termina.
Elena Ferrante, per interposte
interviste (scritte da chissà chi) è a volte intervenuta sul personaggio
dicendo che lei preferisce Lila ad Elena, ma d’altra parte di recente ha
affermato che Il maschile ha pieni poteri e li ha conservati nei millenni
plasmando la violenza secondo varie modalità e gradazioni, reinventandola,
ritualizzandola, regolamentandola, lasciandola esplodere furiosamente… Mi
pare, cioè, che sia in atto un processo nel quale il desiderio femminile, in
ogni sua manifestazione, sia premiato, potenziato, messo al lavoro, solo se
collocabile coerentemente in gerarchie maschili di realizzazione. Il rischio è
un rinnovato asservimento della donna che passi proprio attraverso l’accesso ai
poteri a patto che siano gestiti al modo maschile. In tal caso i vecchi
pericoli si riproporrebbero anche con corpo e faccia di donna [8].
Unendosi al coro di lamentazioni femministe dopo l’insediamento del governo
Meloni tutte appiattite sul fatto che la presidente del consiglio fosse un maschio
in gonnella (chissà se ci crede
veramente o lo ha fatto a causa del clima attuale, per coltivare ancora il mito
americano del romanzo femminista per eccellenza della nostra epoca e vendere
qualche altra copia). A parte l’autrice (giustamente, secondo me, Ferrante ha
osservato che lo scrittore deve sparire dietro il libro [9]) quello che conta
qui è che noi, socialisti o comunisti, noi che crediamo ancora che la
contraddizione principale sia sempre quella della lotta di classe, che non può
esistere giustizia senza giustizia sociale, dobbiamo stare dalla parte di
Lila, dalla parte giusta sperando che l’evoluzione futura porti le Elena
Greco e il femminismo attuale nel dimenticatoio della storia.
[1] Per
chi voterebbe Elena Greco?Giacomo Rotoli, L’Interferenza, 12 aprile
2016. La prima stagione televisiva è andata in onda il 18 novembre 2018.
Convenzionalmente si chiama L’amica geniale l’intera quadrilogia, ma
l’unico dei quattro libri a portare questo nome è il primo (2011), gli altri
sono Storia del nuovo cognome (2012), Storia di chi fugge e chi resta
(2013) e Storia della bambina perduta (2014).
[2] Nella classifica del NYT, in
cui L’amica geniale, come primo libro della quadrilogia, è al primo
posto. E’ curioso osservare che tra i primi dieci romanzi, ben tre sono opere
che parlano dello schiavismo o storie degli americani di colore, come se ci
fosse una sorta di complesso di colpa. Due sono storie di provincia americane
(entrambe ambientate nel Midwestern), poi vi sono l’autore nippo-britannico Kazuo
Ishiguro, il celebre romanzo 2666 di Roberto Bolano, un romanzo di Max
Sebald sulle ricerche di familiari scomparsi nella Shoah, un romanzo storico su
Thomas Cromwell. Solo Bolano, Ferrante e Sebald sono romanzi in lingua non
inglese.
[3] La smarginatura
di Elena Ferrante, La mente pensante.
[4] Basta cercare ‘smarginatura’
sulla rete per trovare centinaia di collegamenti tra questo termine e il
femminismo. Mi limito a citare la recensione di un libro Conchiglie,
pinguini, staminali in cui è
scritto: Ogni parola [del libro] suggerisce questo andare oltre, spinge ad
andare oltre. Oltre i confini materiali del libro, oltre i confini del sapere
accademicamente delineati, oltre i confini del proprio corpo, della propria
pelle per dar vita a qualcosa di nuovo. Tale specifico andare oltre non può non
evocare un fenomeno caratterizzante proprio la sopracitata celebre saga di
Elena Ferrante. In L’amica geniale più di una volta i confini dei corpi si
dissolvono, qualsiasi tipo di margine perde la propria forza nell’atto
denominato smarginatura. Quest’ultima sembra manifestarsi come una forza che
provoca nausea e azzera la fisionomia della persona. Essa, però, ha anche un
potere rivelatorio: apre, chi la prova, a una nuova consapevolezza di sé e di
ciò che vive. Conchiglie,
pinguini, staminali. Verso futuri transpecie
[5] Lila e Lenù sono personaggi
negativi alla fine, perché preda dei sentimenti meno semplici da accettare:
l’invidia, l’ambizione, il desiderio di affermarsi a ogni costo, una maternità
mai accettata passivamente. E forse, dico a me stesso: un percorso di
femminismo reale, oggi, non passa, come capita a Elena e Lila, attraverso la
negazione del proprio dovere materno? Elena lascia le figlie per due anni per
seguire un amore: e non è questo che afferma ancora di più una maternità voluta
e non imposta? Saverio
Costanzo: “Con l’Amica geniale la mia parte femminile ha preso il sopravvento”,
La Repubblica, 25 ottobre 2024.
[6] Come ho scritto nel
precedente articolo a Lila la figlia viene rapita e non sarà mai più
ritrovata, le ragioni della successiva
sparizione della stessa Lila si capiscono molto bene, al di la dei ricami
femministi riguardo all’essere invisibili, ed anche ad altre opere della stessa
Ferrante dove il tema della sparizione è presente, ma non è conseguenza di un
fatto tanto drammatico che da solo segna completamente un intera esistenza.
[7] Per
la star de L’Amica Geniale ‘Lenù è femminista solo a parole, Lila nei fatti’,
everyeye.it, 28 novembre 2024.
[8] Elena
Ferrante temo maschilizzazione del femminile e spacciata per liberazione,
Il Sussidiario.net, 23 Dicembre 2022,
[9] Non per una presunta invisibilità femminista che tanto piace ai difensori della segretezza del nome della Ferrante, ma perché in ogni grande romanzo i personaggi prendono una vita propria indipendentemente dall’autore. Oggi le prassi dell’amichettismo e del firma-copie ha considerevolmente annacquato questo: l’autore è il centro del romanzo, spesso con elementi autobiografici, magari lo leggono in pochi ma lo ascoltano quando dice cosa pensa della politica o della società, mentre i personaggi, che non sono l’autore stesso o il suo avatar, sono solo comprimari.