Nel luglio del 2021 usciva un
saggio del presidente della Federazione Russa Vladimir Putin intitolato
«Sull’unità storica di russi e ucraini». Una pubblicazione che da noi è passata
inosservata, non soltanto per l’oggettiva barriera linguistica che ci separa
dal mondo slavo ma, sopratutto, a causa della censura che di lì a poco avrebbe
colpito tutto ciò che proveniva da Mosca. Una censura che, con lo scoppio della
guerra, al tipico classismo delle democrazie fondate sul dominio del capitale
che impedisce a chi non ha soldi di esprimersi o, quanto meno, di farsi
ascoltare, affianca il vero e proprio oscuramento di canali televisivi, profili
social e rappresentazioni artistiche
di chi insiste nel voler provare a far conoscere il proprio punto di vista non
allineato oppure quello del nemico.
Al contrario, chiunque abbia
anche soltanto una curiosità intellettuale per gli eventi che lo circondano
dovrebbe biasimare questo modo di agire e salutare con favore la traduzione di
questo saggio da parte di Visione Editore, che lo pubblica insieme a due
scritti di Eduard Popov, Kirill Ševčenko e György Varga col titolo «Le vere
cause del conflitto russo-ucraino». Il libro, inoltre, è impreziosito dalla
premessa dell’ambasciatore della Federazione Russa in Italia, Alexey Paramonov,
dalla prefazione dell’ex diplomatico Bruno Scapini e dall’introduzione
dell’editore Francesco Toscano.
Attenzione, non ci si aspetti
un saggio marxista nel quale la natura imperialista del conflitto è negata
mediante l’analisi puntuale del grado di monopolizzazione, finanziarizzazione
ed esportazione di capitale o dei rapporti tra gli oligarchi russi, ucraini ed
occidentali. Di questo non vi è traccia dal momento che il presidente della
Federazione Russa vuole parlare alla grande maggioranza della popolazione
mondiale che con certe questioni non ha (purtroppo) dimestichezza. Al
contrario, come il titolo originale lascia intendere, si parla dei rapporti millenari
tra i grandi e i piccoli russi, un unico popolo che vive uno scontro fratricida
fomentato da alcune potenze straniere. Ma per quanto l’epoca sovietica sia
criticata ed i contrasti interni minimizzati, il diritto all’autodeterminazione
non può né deve essere messo in discussione. Su questo Putin è chiarissimo. Ciò
che è inaccettabile, ed è altrettanto chiaro, è che l’indipendenza dell’Ucraina
sia utilizzata dalle potenze straniere per smembrare la Federazione Russa.
Dunque, se le cose stanno
così, viene a cadere la natura imperialista dell’invasione. Non che non possa
diventarlo – la Russia è senza ombra di dubbio un paese capitalista la cui
natura imperialista è oggetto di acceso dibattito – ma ciò dipende da come si
svilupperà la lotta tra le classi e nelle classi. Al momento, l’unico conflitto
inter-imperialista che si combatte sul suolo ucraino è quello che vede
contrapposti i capitalisti legati al dollaro ai capitalisti legati all’euro. Al
contrario, il modo relativamente soft
con cui i russi stanno conducendo le operazioni militari, gli obiettivi
dichiarati di neutralità (no alla NATO) e denazificazione (cioè parificazione e
uguaglianza di trattamento dei grandi russi che vivono in Ucraina), nonché le
concessioni che ancora oggi sembrano possibili (ingresso dell’Ucraina nell’UE),
non fanno pensare ad un’invasione imperialista ad uso e consumo degli oligarchi
di Mosca. C’è poi il contesto multipolare che, pur tra mille limiti e
contraddizioni, sta portando l’umanità in tutt’altra direzione.
Ma al di là del merito di
questa questione specifica, sulla quale si può e si deve continuare a dibattere
ancor più oggi che la Storia è tornata in movimento, la pubblicazione di questo
libro rappresenta una sfida alla censura nella quale anche l’area politica genericamente
intesa “di sinistra” sta scivolando. E non è soltanto il pensiero di Putin a
farne le spese, bensì un metodo di discussione ed argomenti apparentemente più
terra-terra ma che sono altrettanto se non addirittura più sentiti da quella
maggioranza cui Putin si rivolge. Mi riferisco alla tutela delle minoranze, ad
esempio, oppure a tutto ciò che è legato in qualche modo alla pandemia, dal
green pass alla vaccinazione.
In quanti, a sinistra,
sarebbero disposti a confrontarsi con Tizio, se sapessero che nelle e-mail
inviate ad un amico descrive un proprio discepolo utilizzando appellativi quali
«ebreo negro»? Oppure che confessi: «Ora mi è abbastanza chiaro — come
testimoniano anche la forma della sua testa e il modo in cui crescono i suoi
capelli — che discende dai negri che accompagnarono Mosè nella fuga dall’Egitto
(a meno che sua madre o sua nonna paterna non si siano incrociate con un
negro). Ora, questa miscela di ebraismo germanico da una parte, e di ceppo
negroide di base dall’altra, deve inevitabilmente dare origine a un prodotto
peculiare». Probabilmente in molti penseranno di avere a che fare con un
razzista della peggior specie e faranno di tutto per evitarlo e additarlo al
pubblico ludibrio. Non sia mai di venir confusi con certa gente!
E che dire, invece, di Caio
che commenta così la possibilità dell’innesto delle ovaie: «Una nuova strada
commerciale aperta all’attività esploratrice dell’iniziativa individuale. Le
povere fanciulle potranno farsi facilmente una dote. A che serve loro l’organo
della maternità? Lo cederanno alla ricca signora infeconda che desidera prole
per l’eredità dei sudati risparmi maritali. Le povere fanciulle guadagneranno
quattrini e si libereranno di un pericolo. Vendono già ora le bionde
capigliature per le teste calve delle cocottes che prendono marito e vogliono
entrare nella buona società. Venderanno la possibilità di diventar madri:
daranno fecondità alle vecchie gualcite, alle guaste signore che troppo si sono
divertite e vogliono ricuperare il numero perduto. I figli nati dopo un
innesto? Strani mostri biologici, creature di una nuova razza, merce anch’essi,
prodotto genuino dell’azienda dei surrogati umani, necessari per tramandare la
stirpe dei pizzicagnoli arricchiti. La vecchia nobiltà aveva indubbiamente maggior
buon gusto della classe dirigente che le è successa al potere. Il quattrino
deturpa, abbrutisce tutto ciò che cade sotto la sua legge implacabilmente
feroce». Probabilmente anche Caio verrebbe etichettato come un retrogrado
reazionario da isolare e tenere lontano.
E se durante la pandemia da COVID-19 il prof. Sempronio si fosse permesso di avanzare critiche al vaccino chiedendo di «essere rassicurato che sia stato testato e soddisfi tutti i criteri di sicurezza ed efficacia»? «Come cittadino ne ho diritto, non sono disposto ad accettare scorciatoie. Normalmente ci vogliono dai 5 agli 8 anni per produrre un vaccino. Per questo, senza dati a disposizione, io non farei il primo vaccino che dovesse arrivare a gennaio». Negazionista che merita di essere sospeso dal lavoro se non addirittura radiato dall’Ordine dal momento che si tratta di una «dichiarazione irresponsabile e intollerabile proveniente da una persona che dovrebbe conoscere le regole prima di affermare certe cose».
Ecco, questo è
l’atteggiamento che sta diventando prevalente non solo nella sinistra che una
volta si sarebbe definita “borghese” (Alleanza verdi-sinistra, per capirci) ma
anche in quella “proletaria” o, più genericamente, “popolare” (non faccio nomi,
così nessuno si offende, ma tra partiti, collettivi e associazioni, non sono
pochi). Un atteggiamento che per fortuna non è sempre esistito e che dovremmo
combattere. Per dialogare con questa gente, infatti, come proposto da Stefano
Fassina durante la presentazione del libro di Sahra Wagenknecht organizzata da
questo giornale lo scorso 16 novembre, occorre che questa gente abbia voglia di
ascoltare. Cosa che succede sempre meno, col rischio non soltanto di prendere
cantonate davvero grosse e pericolose ma di fare il gioco del nemico di classe
(ammesso che lo si sappia individuare).
Post scriptum. Il Tizio citato è Karl Marx (lettera a Friedrich Engels del 30 luglio 1862) e l’ebreo negro cui si riferisce era Ferdinand Lassalle. Caio, invece, è Antonio Gramsci, che quelle considerazioni sulla vendita delle ovaie le ha pubblicate sull’Avanti il 6 giugno 1918. Il prof. Sempronio, infine, è Andrea Crisanti, zanzarologo cui Guido Rasi (ex direttore esecutivo dell’EMA) ha ricordato “le regole” cui doveva sottostare se voleva far carriera. Pertanto, comunque la pensiate, leggete il saggio di Putin e non abbiate paura a confrontarvi con chi, apparentemente, sembra agli antipodi.