Prima parte
Le
ideologie possono essere analizzate facendo riferimento a tre livelli
interfunzionali, che si chiariscono e si rafforzano a vicenda.
In primo
luogo, tutte le ideologie hanno sempre avuto una vetrina attraente necessaria a
compattare e aggregare attorno a sé, ingenerando persuasione. A questo livello
esterno è affidato il compito di produrre e di diffondere le parole d’ordine.
Il
livello più interno e profondo è formato dal nocciolo duro che costituisce la
materia sulla quale le ideologie lavorano effettivamente, plasmando la
coscienza degli individui e la loro rappresentazione della realtà.
La
cintura esterna espone l’individuo-massa a contenuti palesi, mentre il nucleo
interno ha carattere implicito, ma è proprio su questo che viene compiuto tutto
il lavoro di modellizzazione dell’immaginario.
Il
livello esterno, come ho detto, è popolato delle parole d’ordine
dell’ideologia. È, in altri termini, il livello delle sfere discorsive,
al quale sono affidati persuasione e reclutamento. Tra queste sfere discorsive,
particolare importanza rivestono gli “incipit”, cioè punti di avvio che
assolvono al compito fondamentale di incanalare il discorso pubblico sui binari
lungo i quali proseguirà nella direzione e con il formato previsti, in modo
quasi automatico, seguendo stilemi discorsivi replicabili. Il catechismo
dell’ideologia ha un bisogno fondamentale di questi “attacchi” rigidi. Sono,
per esempio, tipici incipit dell’ideologia liberal e politicamente corretta:
“C’è ancora molta strada da fare”, “è un problema di mentalità/culturale” ecc.
Proprio in quanto avviano il discorso secondo logiche preimpostate e linee
argomentative univoche, gli incipit hanno anche la funzione precipua di
escludere altre sfere discorsive che si aprirebbero verso narrazioni
alternative, e che devono essere inabissate nel silenzio, sprofondate nella
notte dell’invisibilità e della non-rappresentanza. Per esempio, l’incipit
discorsivo “è una questione di mentalità” serve a prevenire e obliare la tesi
alternativa che il problema sia, invece, economico e di classe – e, quindi,
sostanzialmente non di genere. I diversi tasselli delle sfere discorsive si
tengono evidentemente insieme.
Una cinghia
intermedia è quella che deve collegare le sfere discorsive ai presupposti
impliciti (“La società odierna è patriarcale nell’essenza”, “Esiste una
emergenza femminicidi”…). Questi devono sostenere le sfere discorsive, che
senza il solido supporto fornito dai presupposti impliciti crollerebbero
immediatamente sotto il peso schiacciante della loro inconsistenza.
I
presupposti impliciti sono tutti rigorosamente … non dimostrati! E non devono
essere sottoposti ad alcun esame, perché da essi dipende interamente la tenuta
delle sfere discorsive. Più questi pilastri sono fragili, da un punto di vista
sia epistemologico che empirico, e meno se ne deve parlare in termini
problematici. Sono dogmi. La loro verità coincide con il loro necessario
occultamento. Il compito fondamentale di offrirli come scontati, trasformandoli
in indiscutibili verità, viene assolto dai mezzi di informazione. Questi
possono consolidare e radicare nel senso comune un presupposto sia
enfatizzandolo che passandolo sotto silenzio. In entrambi i casi siamo in
presenza di una alterazione della realtà, o meglio della costruzione di una
realtà apposita. Per esempio, che la società odierna sia patriarcale viene dato
per scontato e per il resto si ottiene il risultato evitando che la questione divenga
oggetto di dibattito. La percezione di un’emergenza femminicidi, invece, si
ottiene con il clamore mediatico e anche manipolando i fatti senza scrupoli.
Per altro, l’alterazione attiva e l’omissione si rafforzano a vicenda. Se,
infatti, si aprisse un serio dibattito pubblico ponendo onestamente la domanda
“Se il patriarcato sia o meno il dato strutturale della società attuale”, dando
spazio a un confronto aperto tra posizioni diverse, la tesi della centralità
del patriarcato rivelerebbe immediatamente tutta la sua fragilità. Pertanto la
si omette, preferendo ricavarne una prova “a posteriori”, che si ottiene
costruendo la percezione di un’emergenza femminicidi. Si punta tutto sulla
seguente implicazione: esiste un’emergenza femminicidi, dunque la
società è patriarcale. Quella conclusione, che sarebbe debolissima se sostenuta
direttamente e onestamente, viene convalidata emotivamente costruendo ad arte
lo stato di emergenza, manomettendo dati e manipolando l’informazione allo
scopo.
Ecco un
esempio concreto di come funziona un’ideologia, in questo caso quella del femminismo
neoliberale, che a sua volta può essere considerata uno degli assi portanti
dell’ideologia politicamente corretta. È in questo modo che un’ideologia viene profondamente
interiorizzata nonostante la sua clamorosa fragilità. Cosa c’è davvero, allora,
dentro al pacchetto infiocchettato con tutti i colori sgargianti della libertà
e dell’uguaglianza?
Scomposizione
del femminismo neoliberale secondo i suoi tre livelli
Nel
livello più esterno, quello della vetrina accattivante, si trovano le sfere
discorsive: le parole d’ordine, i “valori , quali: emancipazione
femminile, Stem, pari opportunità, progresso; e gli incipit da
utilizzare per costruire discorsi edificanti che usano stilemi fissi e
ripetitivi: “Siamo nel 2024/25/26 e ancora…”, “è un problema di
mentalità….”, “C’è ancora tanta strada da fare…”, “i maschi devono essere
rieducati…”.
Nel
livello intermedio, che deve sostenere il precedente, si trovano i presupposti
impliciti, tutti rigorosamente non dimostrati e tutti funzionali ad espellere
dal discorso pubblico i loro contrari, ogni elemento di confutazione o anche
solo di parziale rettifica: “La società odierna è patriarcale”; “Le donne sono
e sono sempre state soltanto svantaggiate”; “esiste un’emergenza femminicidi”.
Anche quest’ultimo è un presupposto implicito in quanto l’assioma non viene mai
sottoposto ad alcuna verifica pubblica né diventa mai oggetto di discussione. La
persuasione è invece raggiunta martellando con l’informazione e distorcendo la
realtà. Sono infatti, si badi bene, le stesse associazioni impegnate nel campo
del contrasto alla violenza sulle donne a dichiarare circa 40 femminicidi
all’anno, restituendo una magnitudine del fenomeno nettamente inferiore rispetto
a quella urlata dai “mezzi di informazione”. Ma questi hanno mandato di
soffiare cinicamente per bucare la soglia psicologica dei 100, con il compito
aggiuntivo di “raggiungerla” entro il 25 novembre così da fare da volano
emotivo a quella che è diventata una delle date cardine della liturgia
neoliberale di massa. Per ottenere questo risultato non esitano a gettare nel
contenitore dei femminicidi anche omicidi ordinari. Per rendersene conto,
basterebbe prendersi il disturbo di controllarli uno a uno, o anche di fare un
controllo campionario. Ma del resto, chi vuole farlo?[1]
Nessuno ormai si prende più la briga di controllare alcunché e proprio questo è
il risultato dell’ideologia: si crede per vero. Si offre invece facilmente alla
verifica che non ci si fa alcuno scrupolo di strumentalizzare la vita e la
morte per dirigere l’indignazione verso i fini desiderati.
Se
questi sono i primi due livelli dell’ideologia, quello esterno e quello
intermedio, cosa si trova nel nocciolo duro? Questo è il nucleo più
interno delle ideologie, la zona in cui si lavora concretamente sulla
trasformazione dell’immaginario, modellandolo. Gli umori collettivi possono
costituire un’argilla molto malleabile e la riprovazione per chi non si lascia sincronizzare
rappresenta un’arma molto potente al servizio della marginalizzazione.
Se la
vetrina è tirata a lucido, ecco cosa troviamo nel retrobottega. Il
dissolvimento della dimensione socio-economica e conflittualistica dei
problemi. Il dirottamento delle istanze di uguaglianza verso la sola “questione
di genere”, declinata sempre al singolare e a senso unico. La riduzione dei
diritti sociali, che devono essere annichiliti, in ultima ai diritti
individuali neoliberali, vittimistico-narcisistici, in ultima analisi
cosmetici. Sotto l’ombrello dell’emancipazione e delle “pari opportunità”, in
particolare, si incendia la guerra tra i sessi, che spacca
orizzontalmente i subalterni, completandone il ripiegamento individualistico e
l’isolamento monadistico più funzionali all’illimitata espansione
dell’ideologia di mercato, che si ammanta proprio della bandiera della libertà
individuale per ingenerare il culmine della riduzione dell’umano (cioè di donne
e uomini) a merce. Di fatto, in questo modo si difende il messaggio di
fondo che le regole del gioco non siano affatto un problema, anzi sono virtuose
perché vengono collocate in un orizzonte progressivo; il punto è solo che le
donne debbano parteciparvi maggiormente[2].
L’occultamento e la liquidazione della natura economica e di classe dei problemi
si ottiene con l’ipertrofia della sfera individuale ed estetica dei diritti. In
quest’ottica, il femminismo neoliberale è uno degli architravi di un’ideologia
più ampia e complessiva. Il problema della distribuzione della ricchezza viene
sostituto con il problema della distribuzione degli asterischi e dello schwa.
Più in profondità, il femminismo neoliberale e il politicamente corretto
difendono il sistema e il suo ethos non più solo
individualistico-competitivo, ma narcisistico-competitivo, grazie alla capacità
del capitalismo digitale di promuovere l’illusione che ciascuno possa diventare
start-up di se stesso, in una ininterrotta promozione di sé attraverso gli
strumenti di una Tecnica planetaria divenuta l’ambiente di ogni azione o
interazione. Nel pieno di una deriva che mira a distruggere le relazioni e,
dunque, la coscienza sociale, è lo stesso Capitalismo a presentarsi con pose
emancipatrici. A offrire gli “strumenti” attraverso i quali passa la realizzazione
della propria libertà.
Si
contrappongono donne a uomini (come vaccinati a non vaccinati ecc.) per
approfondire la mercificazione di donne e uomini, insieme, ovviamente. Il
potere produce linee di divisione immaginarie e funzionali. I tecno-sudditi
sono stati sedotti dal capitalismo magico che dispensa le protesi narcisistiche
che consentono a ciascuno di porsi al centro del proprio mondo dal quale è
stato rimosso sia l’ostacolo che l’Altro. Per questa via, i
tecno-sudditi tendenzialmente accettano la geografia delle divisioni stabilite
dal potere. Anzi manifesteranno l’attitudine a collocarsi dalla parte giusta
della linea per vedersi riconosciuta la patente di persona civile. Chi si
colloca fuori dalle sfere discorsive codificate è oggetto di riprovazione.
Così, con
tutta l’enfasi mediatica di un apparato pseudo-informativo sganciato dalla
realtà e dalla verità, ricorrenze come il 25 novembre sono presentate come
risultato della riappropriazione di spazi di partecipazione dal basso, mentre
si svolgono all’interno di spazi dapprima plasmati, quindi concessi dall’alto.
Laddove
promette emancipazione femminile, pari opportunità ecc., l’ideologia
politicamente corretta concretamente veicola la guerra tra i sessi; realizza la
compiuta proiezione delle istanze di uguaglianza al livello solo individuale,
ridisegnando le linee del conflitto mentre vengono conculcati i diritti sociali;
rafforza l’immaginario neoliberale e difende da ogni punto di vista l’ideologia
mercantile, mettendosi al servizio della de-conflittualizzazione della società.
La più ampia
ideologia mercantile, della quale il femminismo neoliberale è una parte e uno
strumento, parla la lingua della libertà, ma attua la più estrema
mercificazione (di donne e di uomini, insieme), parimenti alienati. Scandisce
le parole “inclusive” delle pari opportunità, ma per praticare la cruda
sostanza della liquidazione della questione sociale.
Immagine elaborata dall’autore dell’articolo
Tutte le ideologie possono essere analizzate nello stesso modo, distinguendo tre livelli: 1) quello più esterno, formato dalle sfere discorsive, dagli incipit e dal repertorio degli stilemi discorsivi; 2) la zona intermedia, dove si radicano i presupposti impliciti che sostengono l’intera narrazione; 3) il nucleo più interno, la cui esplicitazione mette a nudo il concreto lavoro di intervento trasformativo sull’immaginario operato dall’ideologia.
Le
ideologie lavorano in profondità sull’immaginario e proprio per questa ragione
i loro contenuti espliciti, non molto diversamente dall’interpretazione
psicoanalitica dei sogni, devono essere decodificati ritrovandone il nocciolo
concreto. Sarebbe già molto praticare una sana “scuola del sospetto”. Eppure,
anche quanti sono altrimenti critici nei confronti dell’informazione mainstream,
di norma non dubitano che essa dica il vero quando si viene al tema
femminicidi, con tutta l’impalcatura ideologica che, che come abbiamo
dimostrato, ne consegue.
La cinghia esterna si pone sempre efficacemente in relazione al suo tempo presente, riuscendo a intercettarne le aspirazioni e le inquietudini. Il fascismo, per esempio, infuse in chi vi aderì la convinzione di poter attraversare un tempo di gravi difficoltà fornendo una soluzione ai problemi e alle tensioni sociali. Non rileva, sul piano della persuasione, il fatto che questa fiducia fosse mal riposta. Questo modo di esaminare una ideologia ponendosi sia all’interno che sulla sua superficie comunicativa consente di darsi conto tanto della sua efficacia e del successo, quanto del suo reale contenuto. E consente anche, al contempo, di evitare tutta quella larga schiera di storture e di anacronismi che nascono ogniqualvolta si pretenda di considerare in fondo semplicemente stolti tutti quanti, in un certo momento storico, hanno finito con l’aderire a una data ideologia. Semmai consente, infine, di comprendere come molti tra coloro i quali si mettono sempre facilmente “dalla parte giusta” quando si rivolge lo sguardo al passato, siedono tuttavia nel presente dalla parte dei nuovi autoritarismi.
[1] Su L’Interferenza lo hanno meritoriamente fatto Rita Vergnano e Giacomo Rotoli.
[2] P. P. Caserta, Femminismo e capitalismo, L’Interferenza, 30/03/2024