L’inesorabile perdita di potere di acquisto dei salari


L’impennata della spese obbligate a partire dalla indagine redatta dalla CGIA di Mestre.

Una recente richiesta dalla CGIA di Mestre, Associazioni di artigiani e piccole imprese, ripresa da testale nazionali, documenta l’insostenibilità della situazione economica per le famiglie italiane; infatti, l’aumento del costo della vita ha raggiunto livelli fino ad oggi sconosciuti, basti pensare che per cibo, bollette e carburante una famiglia media spende 1200 euro al mese.

Dati non nuovi, anzi in leggerissimo calo rispetto al 2022 (quando i costi dei prodotti energetici avevano raggiunto livelli mai visti prima), ma tali da indurre a qualche riflessione (amara) sulla perdita di potere di acquisto dei salari.

Una famiglia monoreddito riuscirà in futuro a sopravvivere? Sappiamo quanti posti di lavoro siano stati perduti negli ultimi anni e quanti contratti individuali siano stati nel frattempo trasformati in part time con perdita salariale e di contributi previdenziali; oggi con due stipendi si arriva appena a fine mese, con un solo reddito ci si indebita semplicemente per vivere.

La contrazione dei consumi, con tutte le ripercussioni sull’economia, è quindi conseguenza della perdita di potere di acquisto, i salari da troppo tempo non riescono ad andare di pari passo con il costo della vita, 5,6 milioni di persone hanno rinunciato a prestazioni sanitarie dopo mesi o anni di attesa al Servizio Sanitario Nazionale, si tagliano le spese per l’istruzione e la nostra stessa salute, per usare una metafora comprensibile la cinghia è stata stretta più volte fino ad esaurimento della stessa.


La situazione è divenuta se non drammatica decisamente preoccupante dopo il 2020, l’inflazione è cresciuta e il potere di acquisto degli stipendi si è progressivamente eroso, i generi alimentari costituiscono quasi 580 euro di quella spesa arrivata a 1200 e prima menzionata, 1200 euro solo per le spese obbligate ossia delle quali non si può fare a meno.

Se poi guardiamo alle aree insulari e meridionali la spesa alimentare è ancora più alta, sono necessari quasi 300 euro per gli abbonamenti ai mezzi pubblici o per la benzina di quelli privati con cui recarsi al lavoro, pensiamo allora che una eventuale sostituzione delle auto o moto di famiglia potrebbe rappresentare un problema rilevante e superabile solo indebitandosi.

Molti istituti finanziari non concedono ormai i fidi per accedere all’opportunità sul conto corrente di andare sotto di 1000 o 2000 euro, le banche accordano invece dei piccoli prestiti pluriennali che alimentano la spirale dell’indebitamento delle famiglie legandole per anni al ricatto finanziario.

La Cgia di Mestre guarda alla categoria che rappresenta, cioè gli artigiani e i piccoli negozi, e la ricetta del pagare meno tasse come soluzione del problema è ovviamente la più gettonata ma qualche ulteriore riflessione viene pur fatta.

Siamo il paese che ha spalancato le porte al commercio on line senza regolamentazione alcuna, molti dei colossi nel settore pagano in Italia tasse irrisorie rispetto ai loro fatturati, i negozi di prossimità stanno chiudendo per la concorrenza spietata del grande capitale, non potendo per altro affrontare la spirale speculativa degli immobili e i  costi per gli affitti in costante crescita.

E anche su questo punto la visione prettamente neo liberista ha prodotto danni incalcolabili: gli Enti locali non adottano politiche fiscali antispeculazione, i sindaci non requisiscono immobili sfitti da 20 anni per la emergenza abitativa, si pensa che i bonus come contributo ai canoni locativi e i tagli al cuneo fiscale siano soluzioni capaci di restituire potere di acquisto quando invece rappresentano solo regali al sistema imprenditoriale e alla lunga impoveriranno il welfare spingendo l’acceleratore delle privatizzazioni dalle quali deriveranno ulteriore perdita del potere di acquisto e salari da fame.

L’inchiesta della CGIA di Mestre merita di essere letta e ponderata ma non senza aprire qualche riflessione sulle soluzioni praticabili per fermare l’erosione del potere di acquisto di salari e pensioni e la tendenza speculativa tanto della finanza quanto delle dinamiche proprie dei mercati immobiliari.

Ma al contempo va anche denunciata l’arrendevolezza con la quale i Governi locali e nazionali si pongono davanti al problema reale, la perdita di potere di acquisto, e a un sistema fiscale costruito sull’iniquità sociale, senza mai assumersi responsabilità effettive che necessitano di scelte coraggiose come la lotta alla speculazione immobiliare e finanziaria, alla necessità di un fisco che faccia pagare le tasse a quanti le pagano poco o nulla e non ultimo un sistema di adeguamento dei salari al reale costo della vita. Una eventuale e rinnovata scala mobile spingerebbe tanti economisti di sinistra a parlare di pericolo inflattivo; i Soloni del capitale non ne hanno azzeccata una distruggendo aliquote fiscali ed erodendo il potere di acquisto. Hanno semplicemente spianato la strada all’avvento delle destre neo liberiste e guerrafondaie; quanti altri danni dovranno recarci ancora?

Non è solo un problema distributivo ma di intervento statale contro quei processi che poi hanno portato alla contrazione dei consumi e alla debacle del potere di acquisto.

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Fonte foto: La Città Futura (da Google)

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