Il Paese invisibile, ossia i contadini scacciati dai loro villaggi


Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

Tutto è a rischio di ‘banalizzazione’. La banalità del male e della violenza è una realtà quotidiana del nostro paesaggio rurale. Non più tardi della settimana scorsa è stato il turno del villaggio di Golidjo Koara, non lontano dalla prefettura di Torodi, ad appena 50 kilometri dalla capitale Niamey. I circa 350 /400 abitanti del villaggio hanno ricevuto l’ordine perentorio di partire. Lo ‘stile’ dei gruppi armati si riproduce ormai da tempo nella zona detta delle ‘Tre Frontiere’ (Burkina Faso, Mali e Niger). Pagare una tassa, convertirsi alla religione islamica come interpretata dalle armi, oppure partire abbandonando tutto sul posto. Il momento scelto, non casuale, sarà quello dei granai ben riempiti di miglio. Chi paga o si ‘converte’ affianca dunque gli abitanti di etnia ‘Peul’ che sono residenti stabili.

Tutto ciò dura da anni. L’abitudine alle notizie di ulteriori sfollati non interessa la cronaca e i motivi sono diversi. Si tratta di semplici contadini e dunque di ‘invisibili’ la cui eventuale sparizione non scalfisce nulla e nessuno se non le eventuali statistiche aggiornate. Sono senza importanza politica e i loro figli, spesso estromessi dal circuito scolastico, non faranno mai parte della nuova elite militare-politica che governerà, un giorno, il Paese. Poi parlarne troppo potrebbe mettere in discussione la narrazione ufficiale che continua ad affermare la ‘crescita in potenza’ delle forze armate e più in generale la promessa di rendere più sicuro il Paese. Fu una delle ragioni addotte per il golpe.

Nel frattempo si assiste a manifestazioni di appoggio all’attuale regime militare da parte della quasi totalità della società civile, sindacati di associazioni degli studenti e delle scuole primarie compresi. Non mancano, in mancanza di meglio, le tavole rotonde, i dibattiti sul neoimperialismo che, secondo gli organizzatori di tali dibattiti, si trova in mortale difficoltà nei Paesi dell’AES, l’Alleanza degli Stati del Sahel). L’altro motivo per l’invisibilizzazione dei contadini risiede nella preoccupazione, più o meno fondata (e la storia lo dirà), degli attacchi e tentativi di destabilizzazione del Nemico, naturalmente occidentale. Proteggere il regime o i contadini che contribuiscono a nutrire il Paese, di economia agricola, è un dilemma facilmente risolvibile, soprattutto coi i russi e i turchi ormai implicati.

Se Italo Calvino descriveva le ‘Città invisibili’ con l’occhio dell’esploratore e dello scrittore da noi si tratta di un Paese ‘invisibile’, costituito da rifugiati, migranti, sfollati, poveri e, in genere, ‘inutili’ al sistema. Nella nuova Costituzione, ancora in cantiere, si suggerisce di rifondare la Repubblica su nuove basi che non siano quelle della democrazia classica di matrice occidentale. In questa parte del globo essa sembra destinata al macero e si preferisce siano i militari a dettarne le regole e le applicazioni. Tra i suggerimenti che saranno difficilmente presi in considerazione si potrebbe ipotizzare un preambolo innovativo. Una Costituzione che assicurerà un ruolo di eccellenza, riconosciuto e non negoziabile al ‘Paese Invisibile’. Le persone sopra menzionate uscirebbero, per sempre, dall’invisibilità tramite la casa, il lavoro, la scuola e soprattutto la parola.  Ampie garanzie di priorità sarebbero assicurate ai bambini che impareranno di nuovo a giocare con la pace.                                                        

Mauro Armanino, Niamey, Novembre 2024

Fonte foto: Il Fatto Quotidiano (da Google)

2 commenti per “Il Paese invisibile, ossia i contadini scacciati dai loro villaggi

  1. Fabrizio Marchi
    24 Novembre 2024 at 13:03

    Non condivido, ovviamente, questi report di Mauro Armanino, che pure svolge un lavoro prezioso e umanitario come missionario nel Sahel e che ha scelto espressamente anche il nostro giornale per diffonderli.
    Egli stesso conferma che “si assiste a manifestazioni di appoggio all’attuale regime militare da parte della quasi totalità della società civile, sindacati di associazioni degli studenti” e che “non mancano, in mancanza di meglio, le tavole rotonde, i dibattiti sul neoimperialismo che, secondo gli organizzatori di tali dibattiti, si trova in mortale difficoltà nei Paesi dell’AES, l’Alleanza degli Stati del Sahel”.
    Nello stesso tempo denuncia, giustamente, la condizione dei contadini i quali, privi di una forza contrattuale sono alla mercè delle bande islamiste e ignorate dall’attuale governo.
    Naturalmente si tratta di un contesto con gravi e profonde contraddizioni che non possono certo essere risolte da un giorno all’altro né, personalmente, penso che l’attuale governi del Niger sia il “sol dell’avvenire”. Tuttavia si tratta di un governo che ha sottratto quel paese al giogo colonialista e neocolonialista francese, nel caso specifico, e ha fatto una scelta di campo precisa in favore dei Brics, della Cina e soprattutto della Russia. Il che non mi sembra poco, dato appunto il contesto. E’ bene ricordare – ma questo Armanino la sa perfettamente – che il continente africano è stato letteralmente spolpato e devastato da secoli dalle potenze imperialiste europee, prima con la deportazione di decine e decine di milioni di persone verso le Americhe, poi con una criminale spartizione avvenuta in seguito al Congresso di Berlino nella seconda metà del secolo XIX e infine con lo sfruttamento selvaggio da parte delle multinazionali nella seconda metà del secolo scorso. Quindi stiamo parlando di secoli di sfruttamento, di genocidi e di schiavismo a cui le popolazioni africane sono state brutalmente sottoposte. E non c’è alcun dubbio che le condizioni attuali del continente africano siano tuttora il risultato di tali “politiche” da parte dell’Occidente. Giusto quindi indagare il contesto attuale e le manchevolezze, anche gravi, degli attuali recentissimi governi della regione del Sahel, ma è nello stesso tempo fondamentale capire che anche le contraddizioni attuali sono per la gran parte il prodotto di quel secolare dominio occidentale sul continente africano da cui, sia pure con limiti, errori e contraddizioni, i paesi africani stanno cercando di liberarsi.
    Mi pare quindi che la posizione di Mauro Armanino – che comunque ringrazio per le sue testimonianze – sia politicamente miope. E lo dico, naturalmente, con tutto il rispetto che nutro per una persona che ha fatto una scelta di vita così radicale e impegnativa e che tocca con mano la realtà concreta di un territorio così pesantemente devastato.

  2. Andrea vannini
    24 Novembre 2024 at 15:59

    Concordo pienamente con Fabrizio Marchi. Da sottolineare che il terrorismo é una mostruosa creatura partorita dall’ imperialismo u-ccidentale. Non stupisce che esso sia alimentato ulteriormente dopo la cacciata dei militari francesi e usa e dei governanti che ne garantivano la presenza coloniale.

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