Gli eventi di Amsterdam e un antisemitismo di comodo


Storie di ordinaria follia: una torma di hooligans in trasferta invade un centro urbano e commette violenze e altre nefandezze prima di buscarle di santa ragione da gruppi di residenti inviperiti. Bilancio: una mezza dozzina di feriti tra i forestieri, un tassista picchiato a sangue e alcuni arresti. È successo una settimana fa in Olanda, ma poteva succedere ovunque – e in effetti capita spessissimo: pochi giorni prima, a Trieste, gli ultras della squadra di basket varesina avevano teso un’imboscata all’uscita del palazzetto ai tifosi di casa, scatenando un parapiglia che ha causato, anche in quella circostanza, un certo numero di contusi.

Due vicende abbastanza simili, e analoghe purtroppo a molte altre, che hanno suscitato tuttavia un ben diverso clamore. La notizia dell’aggressione gratuita ai sostenitori giuliani, fra i quali c’erano donne e bambini, è stata riportata dal GR regionale, gli scontri di Amsterdam sono finiti sulle prime pagine (e pure in quelle interne!) dei giornali europei e se ne parla ancora.

Perché mai, visto che per fortuna non si piangono morti né si sono registrati feriti gravi? La risposta “perché le (presunte) vittime erano supporters del Maccabi” in apparenza non spiega alcunché, e dà anzi la stura ad ulteriori domande: sarebbe cambiato qualcosa se i facinorosi fossero stati al seguito del Rapid Vienna, dell’Atalanta o del Motherwell? Sì: perché quelle appena citate non sono squadre israeliane, e dunque i loro tifosi non hanno diritto a un’indulgenza che rasenta l’impunità. Da numerose ricostruzioni dei fatti apprendiamo che i fan del Maccabi hanno esordito malmenando un tassista (colpevole, ai loro occhi, di essere arabo…), strappato bandiere della Palestina e inneggiato allo sterminio dei bambini di Gaza – e questo prima che cominciasse la caccia all’uomo (anzi: “all’ebreo”) nei loro confronti. Il rapporto causa-effetto sfugge però ai commentatori mainstream, che sorvolano sulle premesse e, muovendosi con disinvoltura all’interno di una realtà rovesciata, imputano l’intera responsabilità degli avvenimenti all’“antisemitismo” di coloro che, in una diversa cornice, potrebbero perfino passare per giustizieri.

Qualcuno potrebbe obiettare che i cori, per quanto beceri, non giustificano una ritorsione violenta, con agguati e bastonature. Posso condividere l’asserto, ricordando che nelle curve di una volta refrain del tipo “Stasera / riapriamo la Risiera” (che è semplicemente agghiacciante, se preso sul serio) rivolti alla tifoseria avversaria risuonavano con spiacevole frequenza. Oggi però un banale, inqualificabile “buuh!” all’indirizzo di un giocatore di colore costa alla società ospitante perlomeno un’ammenda e all’incauto urlatore conseguenze anche peggiori; inoltre, l’ignobile ritornello dedicato ai bimbi palestinesi ha poco di goliardico e di astratto, dal momento che allude a una strage effettivamente in corso che gli ultras del Maccabi (non tutti, mi auguro) mostrano di approvare.

Un tanto non giustifica la reazione, dicevo, ma nel clima attuale la rende comprensibile: chi semina vento raccoglie tempesta, ammonisce la saggezza popolare.

Sta di fatto che la stragrande maggioranza dei politici e dei giornalisti olandesi ed europei ha visto soltanto il secondo tempo del film e, imbeccata dallo svergognato Netanyahu, ha preso subito a starnazzare di “Olocausto”, “pogrom” e “Notte dei cristalli” (una strage nazista che provocò un’infinità di lutti), prendendosela in un sussulto di razzismo genuino con gli “immigrati” musulmani. Scartiamo subito una possibile lettura, quella di considerare i nostri governanti e commentatori dei puri e semplici imbecilli che parlano a vanvera: non è così, perché c’è del metodo in questa apparente insensatezza. La condanna a senso unico descrive coloro che l’hanno pronunciata per quello che sono: dei curvaioli imbevuti di suprematismo occidentale che, al pari di certe frange del tifo organizzato, uniscono l’utile – cioè il loro tornaconto – al dilettevole. Considerato che criticare Israele nuoce gravemente alle carriere (in Germania è addirittura vietato dalla legge: pure l’antinazismo può essere autoritario, ma il carattere nazionale tedesco favorisce l’adattamento a input anche fra loro opposti…), questi mestieranti della penna e del voto si adeguano alla narrazione dominante e la corroborano, sostituendo alla realtà fenomenica una sua versione distorta e falsificata che si sforzano di inculcare nell’animo dei cittadini. Non si tratta certo di una novità, anche se negli ultimi tempi la spudoratezza ha superato ogni limite: questa mitridatizzazione dell’opinione pubblica va avanti senza intoppi da quasi mezzo secolo e mira ad addomesticare lo spirito umano, addestrandolo a reazioni pavloviane.

Il fantasma dell’antisemitismo viene agitato senza ritegno dai reggitori e dalla claque mediatica: ormai il termine ha perduto il suo specifico significato, riducendosi a un generico marchio d’infamia (uno fra i tanti, ma innegabilmente il più efficace) che, una volta apposto, basta a disonorare e mettere a tacere qualsiasi voce dissenziente. Non solo la reiterata evocazione della Shoah, citata sempre più spesso – e consapevolmente – a sproposito, è funzionale ad assolvere gli israeliani da qualunque colpa presente e futura, ma la stessa crescita indotta nelle masse di un confuso “antisemitismo” reattivo fa gioco all’élite sopranazionale, che può in tal modo esercitare sui governati subdole forme di ricatto morale, oltre che all’establishment israeliano e ai suoi sponsor d’oltreoceano, il cui vittimismo strumentale trova la propria giustificazione e viene “certificato”.

La verità è che la serpeggiante e soffocata insofferenza nei confronti del mondo ebraico nasce non già da un razzismo latente nella popolazione (questo vorrebbero indurci a credere i media di regime, affinché il cittadino si autocensuri), bensì dalla montante e umanissima indignazione per i crimini spavaldamente commessi dagli sterminatori sionisti nonché per l’arrogante atteggiamento settario esibito, in Italia e altrove, dall’ebraismo per così dire ufficiale, vale a dire dalle comunità diffuse sul territorio e da alcuni rappresentanti istituzionali. Paradossalmente il miglior antidoto contro questo virus geneticamente modificato dalle psyops sarebbe rappresentato dalla presa di coscienza che nel mondo moltissimi ebrei (da Moni Ovadia a Edith Bruck, da Ilon Pappé agli ortodossi che, nel nostro continente, in America e persino a Gerusalemme, manifestano a sostegno della causa palestinese) condannano e si oppongono alle ingiustizie perpetrate dai loro correligionari, esponendosi con coraggio ad accuse di apostasia, messe al bando e non di rado alle randellate della polizia o della teppa estremista. Il controcanto non va però fatto ascoltare al pubblico europeo: tocca silenziarlo, giacché contraddice la mendace retorica di un Israele “faro di democrazia” perennemente sotto assedio e forzato a difendersi da vicini brutali, aggressivi e malvagi oltre che dall’incomprensione del mondo intero.

Chi porta avanti questa cinica strategia, conveniente nell’immediato, non si rende forse conto di giocare col fuoco, ma va detto che l’Occidente nel suo complesso ha intrapreso una strada senza ritorno, lastricata di ipocrisie e pessime intenzioni, che sempre più lo isola dal resto dell’umanità. Magari qualcuno si consolerà pensando che al di fuori del “giardino” ci siano solo dittature: lasciamoglielo credere, vivrà più contento…

Fonte foto: da Google

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.