Re Felipe VI e la
Regina Letizia sono stati oggetto della rabbia degli
alluvionati. Lanci di fango e insulti hanno accolto i reali e Sanchez Primo
ministro di Spagna contro il quale l’ira della folla è stata più furente, in
quanto detentore sostanziale del potere. Il volto patinato della sovrana e quello del
sovrano che mascherava l’inquietudine con la sua ieratica altezza, sono un nuovo capitolo dell’esodo delle élite
dalla vita reale.
Il disastro di
Valencia ha costretto sovrani e Primo ministro a scendere tra il popolo e ad
ascoltare nelle urla e nei gesti la rabbia di coloro che si sentono traditi e
abbandonati. La Versailles spagnola ha aperto i cancelli e i rappresentanti
della nazione e del governo hanno guardato in faccia la disperazione di coloro
che hanno perso tutto. L’allerta non ha funzionato e i soccorsi sembra non essere
stati efficienti. La verità è l’intero, se si sommano gli addendi a cominciare
dalla gestione del territorio per poi aggiungervi i restanti, si può ben
comprendere il dolore di coloro che nell’arco di poche ore hanno visto le loro
vite affondare nel fango.
La visita dei sovrani a
Chiva è stata annullata. L’impressione ancora una volta è che l’élite non
voglia vivere la verità e preferisca allontanarla da sé e ciò non può che
aumentare la distanza emotiva e lo iato politico tra popolo e governo. In
Spagna abbiamo assistito in una contingenza tragica ed estrema a ciò che in
Europa è l’ordinaria normalità da decenni. La classe dirigente ha divorziato
dal popolo, pertanto rifugge dallo scendere dagli scranni per “vivere” le
conseguenze di decenni di mal governo. I dimostranti che urlavano la loro
esasperazione non contestavano il sistema nella sua totalità ma l’abbandono nel
momento estremo di una sciagura. Ancora una volta la parte e l’intero si
confrontano: il popolo a Paiporta sporco di fango e col peso di un dolore
immenso ha contestato la gestione del disastro, ora tale vicenda potrebbe
portare nel suo grembo, dopo la fase emergenziale, una debita riflessione sulla
gestione del territorio e sulla qualità delle istituzioni che rappresentano il
popolo. L’alluvione in tal maniera sarebbe riportata all’intero.
La questione può
essere occasione per uscire dall’irrazionale per ricostruire la realtà nella
sua razionalità. Il sistema capitalistico nel quale versiamo sta mostrando il
suo vero volto: sfruttamento illimitato delle risorse, manipolazione della
terra, delle acque e dei cieli al fine di affermare l’onnipotenza prometeica
dell’élite e una visione del mondo in cui è il denaro l’unico mezzo che
consente il riconoscimento reale.
I disastri che si
susseguono sono anche l’effetto di una classe dirigente che si è rifugiata in
un mondo irreale, nel quale la potenza si coniuga ad una malinconica assenza di
pensiero e di prospettiva politica. La tragedia di Valencia ha il volto di ogni
europeo che ogni giorno assiste impotente al saccheggio del territorio in cui
vive; nel contempo sono erosi i diritti sociali, mentre i diritti individuali
sono solo privilegio per le élite. Non dobbiamo dimenticare le tragedie
ecologiche che si succedono e le dobbiamo sottrarre al semplicismo della
fatalità. Esse devono diventare oggetto di riflessione per comprendere le
contraddizioni ulcerose che attraversano il sistema; esse, dunque, se le
riportiamo alla totalità del capitalismo, ci consentono di capire l’intero del
sistema capitalistico giunto nella sua fase “assoluta”. Ci attende un compito
ambizioso: ricostruire la razionalità offesa da decenni di liberismo. Solo in
tal modo sarà possibile costruire una reale alternativa al sistema vigente.
Per coloro che sono
stati predati dalla fiumana della storia
possiamo tenerne vivo il ricordo rammentandoci della loro tragedia e,
nel contempo, dobbiamo trasformare la loro fine in pensiero capace di aprire
nuove prospettive politiche, ambientali e sociali, ma affinchè ciò possa essere
al popolo spetta il compito di non rimuovere gli eventi. Li dobbiamo custodire
nel nostro corpo e tempo vissuto in modo che si possa generare un altro modo di
essere nel mondo. Il popolo deve liberarsi dai processi di derealizzazione che
lo reificano e che sono posti in atto dalla grande manipolazione dei media e
delle oligarchie. Spezzare le catene significa riappropriarsi della verità,
ovvero come detto, riportare la parte all’intero, solo in tal modo potremo salvare
in futuro altre vite e lavorare affinchè tali tragedie non si ripetano.
Ciò che manca è la
cura del territorio; curare il territorio significa vivere relazioni di
qualità nelle comunità e proteggere il
patrimonio ambientale e sociale che ci parla dei sacrifici e del lavoro di
coloro che ci hanno preceduto. Il bene è l’universale rispettoso delle differenze
e degli ambienti nei quali le vite si esplicano. Tutto questo nel momento storico che stiamo
vivendo manca e gli effetti li constatiamo negli eventi straordinari e ordinari di oni esistenza.
Le parole di Marx
possono venirci incontro; il filosofo di Treviri nella premessa a l’Ideologia tedesca descrive un
programma politico ed etico mediante il quale emanciparci dagli idoli ed
entrare nella verità della storia senza la quale nulla è possibile:
“Sinora gli uomini si
sono sempre fatti idee false intorno a se stessi, intorno a ciò che essi sono o
devono essere. In base alle loro idee di Dio, dell’uomo normale, ecc. essi
hanno regolato i loro rapporti. I parti della loro testa sono diventati più
forti di loro. Essi, i creatori, si sono inchinati di fronte alle loro
creature. Liberiamoli dalle chimere, dalle idee, dai dogmi, dagli esseri
prodotti dall’immaginazione, sotto il cui giogo essi languiscono. Ribelliamoci
contro questa dominazione dei pensieri. Insegniamo loro a sostituire queste
immaginazioni con pensieri che corrispondano all’essenza dell’uomo, dice uno; a
comportarsi criticamente verso di esse, dice un altro; a togliersele dalla
testa, dice un terzo, e la realtà ora esistente andrà in pezzi”.
Il popolo al governo dev’essere il nostro obiettivo. Nessun dio verrà a salvarci, solo la lotta costante e impegnata per incrementare la consapevolezza collettiva ha la possibilità di condurci verso una realtà a misura di ogni essere umano. La sostanza del capitalismo è l’illimitato. Dove vige l’infinita produzione e l’infinito consumo non vi è il bene comunitario ed ecologico; il comunismo-comunitarista dovrà elaborare una società che farà del katechon, del limite, la condizione qualitativa per superare le scissioni tra gli esseri umani e tra l’umanità e l’ambiente. Solo il limite etico consente di riconoscere l’altro come soggetto di pari dignità e l’ambiente come casa comune e non come semplice mezzo da cui estrarre senza limitazione risorse da mal distrbuire.
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