I ritardi della UE sono dovuti alla rigidità delle regole?


Semplificare le regole, viene detto e scritto ormai da tutti pensando che l’impianto normativo su cui si regge la Ue sia causa del suo stesso male. Ma non sono i principi guida ad essere oggetto di critica, pensiamo alla impossibilità di battere moneta autonoma per i paesi aderenti o la possibilità di redigere atti di indirizzo della propria economia a fini non di profitto. La Ue si prepara alla guerra e alla sfida economica e strategica con gli altri competitor, nell’occhio del ciclone ci sono invece gli “eccessivi oneri normativi e amministrativi” che ostacolano la competitività delle imprese rispetto ad altri blocchi. La Ue sta da tempo pensando a dei correttivi ad esempio ridurre i costi operativi delle  proprie imprese per costruire barriere e dazi che scoraggino l’ingresso di aziende non europee sui mercati comunitari e internazionale. Ancora una volta si parla di rilancio della concorrenza e della produttività, di cultura del merito e di salvaguardia delle eccellenze senza guardare alla crescita dei prezzi per i consumatori, per le famiglie e i salariati alle prese con inflazione e caduta del potere di acquisto. Gli indicatori presi in esame sono quelli della Banca Mondiale che da tempo parla di un vecchio continente come ambiente non favorevole, rispetto agli Usa e paesi amici del Sud est asiatico, per le imprese ossia le multinazionali. Mentre si invoca la rimozione degli ostacoli per ampliare i mercati si pensa che le attuali regolamentazioni siano un ostacolo agli investimenti a lungo termine con troppe autorizzazioni e norme limitanti. Mentre parlano di economia green, digitalizzazione e decarbonizzazione stanno in realtà pensando ad altro ossia a unificare i processi decisionali in materia di economia e militare (dalla produzione ai commerci) intervenendo direttamente sulle Carte Costituzionali dei paesi membri come fecero quando imposero ad alcuni paesi il pareggio di Bilancio con le politiche di austerità che hanno spinto verso il basso i nostri salari.

Con la crisi degli ultimi lustri la Ue punta tutto sull’innovazione che andrà finanziata con soldi prevalentemente pubblici e aprendo le porte alle multinazionali, per crearne di nuove fondendo aziende, banche e capitali visto che il nanismo produttivo e aziendale è ritenuto non un valore aggiunto ma ostacolo alla crescita e alla competitività.

Stanno valutando in seno alla Ue di ridurre gli oneri amministrativi riprendendo una vecchia ricerca del 2014 del Gruppo Stoiber che stimava l’onere amministrativo dell’UE in 150 miliardi di euro, pari all’1,3% del PIL all’anno.

Non è utopia pensare che vogliano rivedere anche l’assetto del settore pubblico, nuovi parametri per valutare i costi, ad esempio i diversi tassi di sconto, criteri e metodologie unificate a livello comunitario.

Le direttive dell’UE saranno in futuro assai più stringenti, non si limiteranno a dettare linee guida attraverso obiettivi politici che poi gli Stati membri dovranno autonomamente raggiungere, da ora in poi le direttive indicheranno anche le scelte che ciascun Paese dovrà mettere in pratica recependo velocemente le direttive comunitarie nel diritto nazionale. Da qui ad ipotizzare la fine di ogni sovranità nazionale il passo è breve. Gli Stati membri sono tenuti a rimuovere norme giudicate ostative per il raggiungimento degli obiettivi comunitari e i Parlamenti dovranno solo prenderne atto operando in tempi celeri. Detto in altri termini la Ue si prefigge l’obiettivo di armonizzare le decisioni assunte a livello dell’UE, a rafforzare i processi di unificazione dei mercati e dei capitali, cancellare gli oneri normativi a carico dell’impresa recependo il tutto nelle normative nazionali  ad esempio i principi guida della stabilità fiscale o finanziaria, le politiche in materia di investimento nei settori economici trainanti “ perseguendo l’obiettivo comune di un mercato unico ben funzionante” per il quale anche i meccanismi di ricorso da parte dei singoli paesi dovranno essere ridotti ai minimi termini.

Quando si parla di unificazione dei mercati e della produzione, a costruire hub della innovazione ad alto tasso tecnologico si pensa soprattutto al settore militare.

Il Piano d’azione dell’UE – come costruire una politica unica e centralizzata sull’approvigionamento energetico o sulla innovazione tecnologica – è la struttura portante della nuova UE.

I processi di fusione e di collaborazione stretta tra le imprese in campo tecnologico e militare sono funzionali a competere con gli Usa nella realizzazione di nuovi sistemi d’arma e a sviluppare progetti di difesa congiunti all’interno di nuovi segmenti industriali strategici. Gli investimenti si concentreranno nei settori ad alto impatto tecnologico per i quali sono indispensabili investimenti cospicui; si pensa a “grandi investimenti” per la realizzazione di droni, missili ipersonici, armi a energia diretta, intelligenza artificiale per la difesa, guerra nei fondali marini e nello spazio, ecc.)

La Ue sta lavorando a progetti industriali multinazionali prevedendo non solo ampi finanziamenti comunitari ma anche rivedendo ruoli e funzioni dell’università, dei centri di ricerca per coinvolgerli direttamente nello studio e nella realizzazione di nuovi sistemi d’arma.

Se la guerra in Ucraina, l’embargo a gas e petrolio russo sono tra le cause principali della crisi economica comunitaria, la via di uscita prospettata è  proprio quella della guerra, delle tecnologie duali, del ritorno al nucleare, di università e centri di ricerca piegata a fini bellici dietro la classica foglia di fico della competitività e del rilancio tecnologico della prodizione made in UE .

Fonte foto: La Stampa (da Google)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.