A parte la scontata e fin troppo
stucchevole faziosità che non vale neanche la pena commentare, il servizio
andato in onda ieri sera su La 7 nella trasmissione condotta da Mentana dedicato
all’attacco di Hamas del 7 ottobre dello scorso anno, ha comunque segnalato che
alcune soldatesse israeliane di guardia nei bunker (muniti ovviamente di
monitor, telecamere di sorveglianza e altri strumenti tecnologici) nei pressi
del muro fortificato che cinge la Striscia di Gaza, diversi giorni prima dell’attacco
avevano notato e segnalato ai loro superiori movimenti “strani” e insoliti di
palestinesi. Segnalazioni che però sono state ignorate e lasciate cadere dalle
autorità militari competenti.
E’ peraltro ormai appurato che i
servizi segreti egiziani avevano avvertito quelli israeliani alcuni giorni
prima che qualcosa stava bollendo in pentola, per usare una metafora. A ciò si
deve aggiungere che i miliziani palestinesi hanno potuto (o sono stati lasciati
liberi di ?…) imperversare per ore nei kibbutz e nei centri abitati
israeliani (e anche al rave party nel deserto) e che gli attacchi sono stati
numerosi lungo tutto il confine orientale della Striscia di Gaza. Il tutto in
un fazzoletto di terra; è bene ricordare che Israele è poco più piccolo della
Lombardia. Gli elicotteri da combattimento di cui Israele dispone (nonché le
forze speciali opportunamente preavvisate) potevano arrivare in loco dopo pochi
minuti dall’inizio dell’operazione, e invece sono intervenuti solo ore più
tardi.
Tutta questa serie di elementi mi
portano a confermare quanto ho già detto e scritto nei giorni scorsi. E cioè
che ritengo irrealistico che il servizio segreto israeliano fosse completamente
all’oscuro di una operazione che era in preparazione come minimo da mesi se non
da anni e ritengo altresì irrealistico che i miliziani palestinesi abbiano
potuto operare pressoché indisturbati per un così lungo lasso di tempo e su un’area
così ampia (in relazione al territorio..) dopo essere penetrati in territorio
israeliano da più parti.
Si dice che tre indizi fanno una
prova. Questo mi pare senz’altro uno di quei casi. Credo realisticamente che l’attacco
della resistenza palestinese sia stato lasciato fare per una serie di ragioni
politiche e geopolitiche (ed economiche). Vediamole.
In seguito al più poderoso
attacco mai subìto da parte della resistenza palestinese dal 1948 ad oggi, Israele
ha potuto sferrare la più devastante aggressione contro i palestinesi. L’attacco
palestinese ha infatti creato le condizioni per la suddetta distruttiva
aggressione, camuffata mediaticamente come “diritto alla difesa e alla
sicurezza”. Poco importa se dopo alcune settimane era del tutto evidente che si
era di fronte ad una carneficina di massa (da sempre nei desiderata di una
larga parte della società israeliana, soprattutto della destra religiosa
fondamentalista ma non solo…). Del resto Israele se ne è sempre infischiato
dell’opinione pubblica internazionale, serviva un casus belli e l’hanno
trovato. Punto.
La strategia, se così vogliamo
definirla, israeliana, è molto semplice. Cacciare definitivamente i palestinesi
da Gaza e dalla Cisgiordania, annettersi una parte del Libano meridionale,
annichilire sia Hamas che Hezbollah e tendenzialmente mettere in ginocchio l’Iran,
magari trascinandolo in una guerra dove gli USA sarebbero necessariamente
costretti ad intervenire.
Ma c’è dell’altro, molto dell’altro.
In Medioriente si sta giocando una partita enorme, di natura economica,
commerciale e geopolitica. E questa partita ha un nome e un cognome e si chiama
“Via del Cotone”, cioè l’alternativa occidentale (a guida americana,
ovviamente) alla “Via della Seta” cinese. Il progetto prevede la costruzione di
una di una rotta commerciale e di una rete di infrastrutture (porti, ferrovie,
ecc. che in larga parte già esistono) dall’India agli Emirati fino ad arrivare
nel Mediterraneo e naturalmente in Europa, tagliando completamente fuori l’Iran.
Come dicevo, la Via del Cotone è la risposta occidentale all’espansione commerciale
della Cina nell’area mediorientale, avvenuta contestualmente ad un lungo lavoro
diplomatico-politico di tessitura di rapporti e relazioni che aveva portato
addirittura ad un riavvicinamento fra i due storici antagonisti del Vicino e
Medio Oriente, cioè l’Iran e l’Arabia Saudita.
Questo processo andava stoppato,
costi quel che costi, e in casi come questi non si va tanto per il sottile. La
strategia è quella di riportare l’area mediorientale, tuttora di importanza
strategica per varie ragioni, sotto il controllo occidentale (leggi israelo-americano)
e per fare questo è necessario serrare i ranghi e riportare all’ordine i paesi da
sempre amici e quelli che in seguito al processo multipolare hanno cominciato a
guardarsi intorno e a scegliere altri partner commerciali non graditi. E tutto
ciò, arrivati a questo punto, data la debolezza economica che sta vivendo il blocco angloamericano, può
essere realizzato solo con una soluzione militare che preveda la distruzione di
tutte le forze ostili, e quindi in primis dei movimenti di liberazione nazionale
quali Hezbollah e Hamas considerati alla stregua di organizzazioni terroriste e,
naturalmente, l’isolamento e la messa fuori gioco dell’Iran. In altre parole,
Israele sta facendo il lavoro sporco per tutto l’Occidente ma anche per le
classi dirigenti dei paesi arabi cosiddetti “moderati” (quella di Israele
isolato e accerchiato da un concerto di stati e nazioni ostili è una leggenda
metropolitana alimentata ad arte per ovvie ragioni) e questo spiega –
servilismo delle classi dirigenti europee e mediorientali a parte – la totale
passività e inerzia e di fatto la connivenza dei governi europei di fronte al
macello in corso a Gaza e alla palese violazione del diritto internazionale da
parte di Tel Aviv.
Naturalmente questo è il piano ma
i conti non si fanno mai senza l’oste. L’Iran ha un’alleanza di ferro, anche di
natura militare, con la Russia e, in parte, per la proprietà transitiva, anche
con la Cina. Una sconfitta e un eventuale “regime change” in Iran costituirebbero
una sconfitta strategica di enorme portata sia per la Russia che per la Cina. Inoltre,
non credo affatto che Israele sarà in grado di eradicare sia Hezbollah che
Hamas.
Una cosa è certa: se l’analisi è corretta la strategia degli USA non cambierà di una virgola in Medioriente, indipendentemente dall’esito delle prossime elezioni presidenziali. Cambierebbero soltanto i toni e gli atteggiamenti in caso di vittoria dell’uno o dell’altra contendente. La Harris farebbe finta di dolersi per il martirio del popolo palestinese e libanese, mentre Trump spingerebbe apertamente per la soluzione finale.
Fonte foto: La Stampa (da Google)