Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
Maurizio Molinari e’ stato rimosso dall’incarico di direttore di Repubblica, che sotto la sua gestione si è trasformata in un fogliaccio fazioso e gravido di cronache mistificatorie. Non solo, da quanto si apprende, sarebbe pure incappato in una drammatica crisi di vendite. Ciò che non stupisce data la mutazione genetica che ha subìto quel giornale, un tempo organo unofficial della sinistra liberal, oggi ridotto a subire la diaspora di molti ex come Gad Lerner (che l’ha benissimo raccontata ieri su altra testata) e lo sciopero di due giorni della sua redazione, umiliata dall’ennesima “marchetta”, come si chiama in gergo. Oggi, nel firmare il suo ultimo editoriale, l’ormai ex direttore da il peggio di sé: scrive un pezzo tutto fazioso, intriso di gravi omissioni e manipolazioni conclamate. Nel difendere la causa che gli sta a cuore, infatti, egli giunge a piangere solo le 1200 vittime del 7 ottobre, senza nemmeno menzionare le circa 42.000 che ne sono seguite in ragione di una rappresaglia che indigna ormai tutto il pianeta, tranne questi gazzettieri di parte (tra cui si segnalano per virulenza bipartisan gli editorialisti di Libero e del Foglio). Una rappresaglia che fa impallidire la tragica proporzione dei “dieci italiani per ogni tedesco ucciso” di antica e dolorosa memoria. 42.000 vittime quasi tutte innocenti, tra cui come è noto moltissimi bambini; cui vanno sommati i feriti (incontabili ma verosimilmente pari al triplo di quella somma), gli amputati, quelli operati senza anestesia, e gli altri scientemente lasciati morire per deliberato divieto di accesso di aiuti umanitari distrutti o bloccati alle frontiere. Tutto ciò non appare in questo articolo grondante indignazione capziosa e faziosa. Così come non appaiono le risoluzioni delle Nazioni Unite che condannano da oltre 50 anni l’occupazione di Territori che sono oramai occupati per antonomasia. Tutti lo sanno ma qui pure questa evidenza storica viene negata grazie a riscritture della Storia degne di un Italo Bocchino. Viene persino negata la storica distinzione tra ebraismo, giudaismo e sionismo, perché in questa negazione antistorica si pretenderebbe di mettere a tacere quanti cercano nel mondo di bucare il muro di gomma della censura e dell’indifferenza su questa carneficina permanente, accusandoli – come qui fa questo giornalista, con una disonestà intellettuale insopportabile – di “antisemitismo”. Egli lo fa insultando il pensiero di molti ebrei come ad esempio Jews Voice for Peace, che ha sottolineato la distanza radicale rispetto al movimento sionista, che è una degenerazione di nazionalismo violento e di imperialismo colonialista (che contraddice peraltro la radice storica del giudaesimo). Come fanno nei loro scritti intellettuali ebrei come Noam Chomsky, Naomi Klein, etc. Come fa un professore ebreo, i cui genitori sono stati perseguitati dalla furia nazista, come Ilan Pappe’, il quale sostiene nei suoi libri che la pulizia etnica delle popolazioni palestinesi farebbe data persino dalla nascita dello Stato di Israele, nel 1948. Per Molinari no, tutti antisemiti. Ma l’ormai ex direttore di Repubblica sostiene le sue tesi capziose anche in odio alla geografia: è infatti sufficiente prendere in mano una cartina geografica della Palestina del 1948, e poi del 1967, e via via nel corso del tempo fino a oggi, per rendersi conto di come l’imperialismo sionista abbia ridotto gli spazi che non gli appartenevano con una voracità che nessuna Risoluzione dell’Onu è riuscita ad arrestare. Anche perché, come è noto, lo Stato di Israele costituisce una sorta di avamposto politico, militare ed economico in Medio Oriente degli Stati Uniti d’America che si sono adoperati, anche di recente, a spalleggiarlo in ogni sede istituzionale mondiale (pure, ignominiosamente, opponendosi alla richiesta di cessate il fuoco). Ancora oggi, per quanto ciò possa apparire paradossale in presenza delle mattanze di Gaza e del Libano, i coloni israeliani seguitano a umiliare e offendere i palestinesi di Cisgiordania, radendo al suolo i campi coltivati, estirpando alberi e sopprimendo il dissenso nel sangue. Ma tutto ciò Molinari non lo vede, e se lo vede non gli interessa: a lui preme soltanto difendere la sua fazione, anche se si comporta da assassina. Nel farlo offende anche la dignità professionale dei suoi colleghi, che nelle pagine successive danno conto di ciò che ho qui sommariamente ripetuto, in un inserto dedicato a questa tragedia che nessuna persona che non sia priva di pietà umana dovrebbe mai sognarsi di tagliare con l’accetta dei suoi pregiudizi ideologici. Come dicevo, questo dovrebbe essere l’ultimo editoriale di questo direttore. Mi auguro che da domani l’andazzo cambi, perché questo giornale, per la sua storia, non si merita simile bassezze.