Viviamo nell’epoca dei paradossi e dei conflitti identitari, in cui il Bianco è Nero e il Nero è Bianco, in cui la Sinistra non sembra sinistra e la Destra non sembra destra, in cui Pace è sinonimo di Guerra, in cui Democrazia è sinonimo di Oligarchia e in cui Libertà è sinonimo di Dittatura e di Censura.
La confusione semantica nell’uso delle parole e del loro significato contribuisce ad annebbiare le coscienze e a depotenziare qualsiasi anelito di rivolta e di opposizione al regime oligarchico e tecnocratico che domina l’Occidente e ci impedisce la comprensione della natura dei conflitti che attraversano il cuore dell’Impero anglosassone e delle sue élite dominanti.
Emblematico è il caso delle elezioni statunitensi in cui si fronteggiano la “democratica” Kamala Harris e il “repubblicano” Donald Trump, che nel linguaggio orwelliano rappresentano la destra e la sinistra, in cui la sinistra spinge per la guerra alla Russia e la destra “frena” e promette una soluzione pacifica del conflitto che insanguina l’Ucraina, salvo verifica.
Nel mondo orwelliano chi parla di pace è un nemico della democrazia e della libertà, è un putiniano amico dei dittatori, quindi va censurato, zittito. Negli USA, si sa, non ci vanno per il sottile, e sono più pratici e sbrigativi: li ammazzano, soprattutto se sono ai vertici del potere o vi aspirano. Inutile citare i fratelli Kennedy o riandare indietro nel tempo fino all’assassinio di Abramo Lincoln.
Già, la guerra civile americana! Abramo Lincoln era il presidente repubblicano degli USA e rappresentava il Nord industriale che voleva emanciparsi dal colonialismo inglese e propugnava politiche protezionistiche per sostenere la nascente industria, concentrata nel Nord. Il Sud confederale e secessionista era democratico e sosteneva politiche liberali di apertura commerciale, necessarie per dare sbocchi di mercato all’economia schiavista delle sue enormi piantagioni. Chi era di destra? Chi era di sinistra? Domande inutili e fuorvianti.
Oggi negli USA è in atto uno scontro mortale nella sua élite tra i globalisti più legati all’oligarchia finanziaria e al Deep State (neocons e democratica) e quella (genericamente repubblicana), legata ad una visione più circoscritta degli interessi americani, che propugna un rilancio del ruolo industriale e manifatturiero dell’economia attraverso politiche protezionistiche, con un rientro dei capitali investiti nel decentramento produttivo in Asia e per una maggiore autonomia dalla Cina, la più grande economia manifatturiera del mondo.
È uno scontro tra due visioni diverse degli interessi degli USA e del suo ruolo nel mondo, al netto delle contrapposizioni ideologiche e dei valori che rappresentano, più o meno progressisti o conservatori e finanche “reazionari”che siano.
L’élite globalista non rinuncia al suo ruolo di agente unico dell’ordine mondiale calcolato sugli interessi dell’oligarchia finanziaria e dell’apparato militare -industriale che controlla, anche a costo di provocare un conflitto mondiale e uno scontro nucleare diretto con la Russia. L’élite più sovranista sembra più propensa a ritagliarsi uno spazio egemonico più limitato e a favorire una soluzione politica del conflitto con la Russia in Ucraina.
Cos’è destra, cos’è sinistra?
Sono queste, in tale contesto, categorie fuorvianti. Confondono invece di chiarire.
Dovremmo invece domandarci: qual’è l’interesse dell’Italia e dell’Europa da salvaguardare? La pace e la cooperazione eurasiatica ed euromediterranea, oppure la guerra e l’isolamento dei popoli europei dai suoi naturali vicini? Sostenere la politica aggressiva e militarista anglosassone in Europa, in Medioriente e in Asia, oppure riprendersi la sovranità perduta e perseguire una politica di pace che risponda agli interessi dei popoli europei? Fare dell’Europa una pedina della NATO in chiave antiriussa ed anticinese oppure farne uno dei poli di civiltà del mondo multipolare?
Sono domande che la classe dirigente della cosiddetta sinistra non si fa e alle quali non risponde, neanche quella più pacifista, ancora prigioniera del senso di colpa del suo passato comunista e filosovietico e della narrazione neoliberale della superiorità ontologica della società occidentale.
Questo senso di colpa ha bloccato lo sviluppo di un coerente movimento pacifista anti-NATO, perduto dentro la falsa dicotomia del “c’è un aggressore e un aggredito”, o del demenziale “nè con Putin e nè con la NATO”, che i militanti del giornalismo embedded e dell’apparato mediatico filo-atlantico hanno avuto facile gioco a neutralizzare. Un pacifismo neutrale è un non-sense ed una trappola in cui si è infilata quasi tutta la sinistra, anche quella cosiddetta antiliberista.
C’è stato un nuovo attentato a Trump, molto inviso al palato sopraffino dell’ intellighenzia di sinistra nostrana ed europea, ma anche al Deep State angloamericano che cerca in tutti i modi di farlo fuori e di impedirne l’elezione. Avranno le loro ragioni per provarci. Che non sono sicuramente anche le mie. Come non sono mie le argomentazioni bislacche per le quali un democratico, ancor più se donna, sarebbe meglio di un repubblicano, anche se donna.
Oppure che Biden o Harris siano uguali a Trump in quanto entrambi espressioni dell’imperialismo statunitense, posizione pilatesca di chi non vuole schierarsi, trincerandosi dietro un finto democraticismo perbenista, rinunciando a qualsiasi analisi materialista dei conflitti in corso.
È tempo invece di schierarsi “senza se e senza ma” per la Pace contro il partito della Guerra, anche a fianco, se è necessario come io penso, di Putin, di Trump, di Orban, di Fico, della Cina e così via elencando.
Sarò rossobruno?
Vorrà dire che lo spettro del rossobrunismo si aggirerà minaccioso contro il partito della guerra e dei finti pacifisti.
Fonte foto: Adnkronos (da Google)