Il senso di colpa è sempre stato “il mezzo per eccellenza” per dominare. Colpevolizzare le pulsioni erotiche per orientarle verso gli obiettivi stabiliti dal modo di produzione capitalistico è stato il modo con cui il sistema si è annidato nel corpo vissuto dei singoli per censurare l’improduttivo in funzione del potere. Il capitalismo relativo, fino agli anni sessanta, è stato interno a tale paradigma. Sublimare i desideri e orientarli verso la produzione è stato un processo di dominio anonimo che ha consentito al capitale di riprodursi con la complicità dei sudditi vittime di processi incontrollati e inconsci. Il capitalismo totale/assoluto del nostro tempo si regge sulla liberazione delle “voglie”. La libera esposizione delle prodezze erotiche senza la mediazione della coscienza è il mezzo con cui la pedagogia del consumo illimitato si installa nel corpo degli infelici. Si può godere ed essere sudditi infelici del capitale, le cronache lo dimostrano ampiamente. Godere sempre senza limiti, al punto che il e la pornostar sono divenuti dei modelli socialmente accettati, quasi degli eroi che indicano la strada alle nuove generazioni del godimento sfrenato soddisfatto dal mercato dei corpi. Accedere al mercato delle pulsioni senza “il concetto” prepara al mercato dei consumi e alla dipendenza da esso. Il modello del consumo pornografico del sesso è dunque il simbolo vivente della concezione della libertà dell’Occidente. Chi gode in modo indiscriminato e non ha altro fine che godere non ha attenzione alcuna per nessuno, è emotivamente indifferente, è solo un fascio di nervi pronto a rispondere agli stimoli del mercato fluido del sesso. “I nostri valori” retorica che inonda il mondo mainstream si riducono alla “nuda vita erotica”. La vittima del godimento assoluto non aspira ad altro che a godere, si ritira dal mondo per diventare corpo fluido che attraversa la storia e il proprio tempo con la mistica rinuncia ad ogni progettualità. Misticismo dell’immanenza nel quale il piacere rende il soggetto astratto e avulso dalla vita reale. Il corpo è sempre esposto, si pensi a talune mode, in ogni contesto il vestiario è sempre eguale, “deve mostrare”, si vive la parabola dell’impolitico e una solitudine dolorosa che resta incompresa. Godere e ritrovarsi nel vuoto ontologico è la condizione delle nuove generazioni e non solo, esse non ammettono limiti, ma tanto più la libertà si configura come informe, fluida e senza identità quanto più il vuoto ontologico diviene il sordo dolore che conduce a depressioni o a malinconie da cui si fugge con un ulteriore salto verso l’illimitato. La tagliola del godimento assoluto sanguina, ma non ha risposte politiche, etiche e sociali, anzi il sistema offre sempre nuove geometrie erotiche in cui rifugiarsi e da cui si attende il godimento perenne. Sui social sono esaltare le peripezie erotiche di ogni genere, è una corsa verso l’autodistruzione che non incontra urto alcuno: genitori e istituzioni tacciono soggiogati in modo ipnotico dai “nostri valori”, a cui anch’essi accondiscendono silenziosi nel timore di non essere “adeguati”. In tutto questo campeggiano i numeri che affermano la denatalità e la necessità di importare migranti per compensare il vuoto demografico. Tutto è accettato pur di non mettere in discussione un modello sociale distruttivo nella psiche e nel corpo. Il godimento senza limiti è divenuto il baluardo dell’Occidente, mentre il mercato consuma i consumatori il tragico imperversa nell’Occidente nella forma della violenza che è penetrata in ogni relazione. L’incapacità di tollerare le frustrazioni non può che determinare una violenza disperata. Il sistema condanna i casi singoli, ma difende il sistema in sé, in tal modo godimento e tragedie diventano il sintomo di un modo eroso dall’interno da contraddizioni irrazionali. La pedagogia della disinibizione sostenuta dai pedagogisti di regime-mercato trova unanime consenso; nelle famiglie come nelle istituzioni scolastiche si coltiva l’individualismo informe, in tal modo le istituzioni etiche divengono organiche al sistema del godimento-mercato. La colpa sembra dunque scomparsa dall’orizzonte del libero Occidente, in realtà essa continua sovrana a imperare. I colpevoli sono coloro che non riescono ad adattarsi al sistema e coloro che sono espulsi dal mercato, in quanto non sufficientemente benestanti per accedervi, sono colpevoli di non essere all’altezza dei “nostri valori”. Sono condannati a vivere dietro una vetrina, vedono il mondo orgiastico dei consumi e degli intrecci dei corpi, ma non sono stati sufficientemente competitivi per entrare in esso. La pedagogia della vetrina insegna loro come vivere ed indica i loro errori esistenziali e dunque li colpevolizza per le loro “mancanze”. La politica tace e la filosofia che dovrebbe essere radicale nel cercare le risposte attraversando la via della critica è silenziosa, in tal modo la violenza dilaga. Bisogna prendere atto che il dominio usa l’edonismo per sopire le coscienze che soffrono e colpevolizzano le stesse per non essere adeguate alla libertà del capitale. Non bisogna solo cercare risposte, ma è necessario individuare linguaggi e modalità comunicative per far comprendere la genetica del problema e, specialmente, per introdurre in un contesto dominato dal piacere della sola quantità la gioia qualitativa della progettualità comunitaria, in cui si è riconosciuti come “persone”. La sfida politica è evidente, bisogna prendere atto delle armi formidabili del sistema, ma anche della sua intrinseca fragilità, poiché non risponde ai bisogni umani ma del solo mercato, da questo dato inaggirabile bisogna ricostruire l’alternativa con un nuovo Umanesimo comunista-comunitario.