Capitalismo
e guerra sono ormai coincidenti in modo evidente, benché i giornali
di sistema traducono l’economia e le missioni di guerra con la
parola “difesa”. L’economia di guerra “pare” sia
finalizzata esclusivamente alla “difesa”, le “missioni” sono
anch’esse il frutto di tale politica. La storia ci insegna che
l’economia di guerra prepara l’aggressione e nel contempo cerca
di ridisegnare il profilo antropologico dei cittadini. La “difesa”
diviene in tale contesto “guerra”. Si dice pace-difesa per dire
guerra. La nostra è l’epoca del linguaggio orwelliano tutto da
decriptare. Presto tale “pudore lessicale” sarà superato con la
conversione della popolazione tutta all’economicismo capitalistico.
Nel silenzio quasi totale dei media è giunta in Giappone la
portaerei Cavour capace di supportare nell’azione gli F-35 B.
Questi ultimi sono aerei di ultima generazione, la cui finalità è
il bombardamento tattico e la supremazia aerea. Le uniche nazioni
interessate alla produzione degli F-35B sono gli Stati Uniti, la
Francia e l’Inghilterra nazioni che si sono sempre distinte per la
loro aggressività ad esse si è aggiunta l’Italia.
L’area
indo-pacifica è divenuta d’interesse per l’Italia e per l’Unione
europea. La portaerei mostrerà la capacità difensiva (aggressiva)
italiana, pertanto lo scopo è vendere le capacità tecniche
italiane-europee e, non solo, all’industria militare giapponese e
avviare manovre congiunte con i soldati giapponesi. I giornali
dichiarano che lo scopo è rendere il Pacifico libero e aperto agli
scambi. Lo scopo reale è palese: la Russia è distratta dal
conflitto ucraino e nel contempo si vogliono mostrare i muscoli alla
Cina e preparare, si può ipotizzare, il Giappone e le Filippine ad
un conflitto con la Cina. Il progetto finale è dunque doppio:
stremare la Russia ed eliminare la Cina vero competitore
dell’Occidente (Stati Uniti).
La Cina è ormai penetrata stabilmente in Africa, dove costruisce infrastrutture e investe nel benessere degli africani in cambio di mercati dove esportare stabilmente i suoi prodotti. La Russia è potenza minore rispetto alla Cina, è poco popolata e con un PIL inferiore a quello italiano. La Russia non è nelle condizioni di essere una potenza imperiale, pertanto si deduce che il nemico è la Cina. I venti di guerra soffiano e si rafforzano. L’Italia che dovrebbe avere una economia speculare all’articolo 11 della Costituzione: economia di pace volta a soddisfare i bisogni reali della popolazione, ormai è nell’ottica dell’economia di guerra pagata con i contribuenti: non bastano 41 anni per le pensioni, i costi sarebbero eccessivi; la scuola e l’università sono prive di risorse; curarsi è divenuto un privilegio per benestanti ecc. Si taglia al sociale giudicato “insostenibile”, ma le risorse per l’economia di guerra continuano non solo a crescere, ma a diventare “l’economia”, la quale non è solo produzione ma una visione del mondo. Si prepara l’abbattimento definitivo dei valori di solidarietà per innalzare le bandiere dell’economia di guerra. Si profila la trasformazione dell’uomo imprenditore in un guerriero alla difesa dei mercati. La globalizzazione sognata dalle oligarchie liberal dopo il crollo dell’Unione Sovietica finisce nelle guerre, perché il vecchio non vuole morire e resta abbarbicato ad un sogno di onnipotenza impossibile. Delirio e capitalismo sono anch’essi un binomio a cui si deve rispondere con l’elaborazione dell’alternativa politica e riportando la Costituzione al centro della vita sociale e istituzionale, affinché ciò sia possibile è necessario insegnare alle nuove generazioni le ambiguità linguistiche del nostro tempo e il valore del “silenzio mediatico” su taluni argomenti ed episodi. Nel frattempo i media ci raccontano della separazione di Arianna Meloni e delle vacanze della Premier. Sta a noi ricostruire un tessuto sociale solidale, nel quale l’economia sia al servizio della persona e dei popoli. La storia non è degli F-35B, ma degli uomini e delle donne che aprono orizzonti dialettici di pace, se non crediamo in questo, siamo condannati all’economia di guerra, a prescindere dai sistemi, ad essa dobbiamo contrapporre l’economia del “pane” e dei veri bisogni. Ricordiamoci ogni F-35B costa circa 80 milioni di dollari. L’Italia ne ha previsti, riportano le fonti, 131, benché fossero stati ridotti a 90 dal Governo Monti. Ogni velivolo ha un costo ulteriore per manutenzione e per gli eventuali problemi tecnici.