Il
testo che segue prende le mosse dalle recenti audizioni fatte in
Commissione Lavoro della Camera, relativamente all’esame delle
proposte di legge C. 142 (AVS), C. 1000 (M5S) e C. 1505 (PD), recanti
disposizioni per favorire la riduzione dell’orario di lavoro.
Da qualche anno a questa parte in Europa si sta diffondendo l’idea della riduzione dell’orario lavorativo. Probabilmente se ne possono rintracciare le origini all’interno dei nuovi modelli d’impresa flessibile nati dalla fine degli anni ’80, quando – allorché nei settori manageriali cominciavano a dissolversi i confini tra vita privata e lavoro (anche a causa della diffusione delle nuove tecnologie e dei personal computers) – diventavano più comuni le sperimentazioni sull’orario, principalmente orientate all’accorpamento di più ore in pochi giornii.
Soprattutto
a partire dalla pandemia da Covid-19, però, l’oggetto della
riduzione oraria è divenuto il lavoro dipendente e in particolare i
lavoratori specializzatiii.
La spinta in tal senso è composita, perché proviene allo stesso
tempo dalle grandi imprese, da una parte delle forze politiche, da
alcuni centri di ricerca e dai sindacati concertativiiii.
Ciò ha permesso che le modalità tramite cui concretizzare tale
nuova prospettiva si definissero abbastanza rapidamente: la
riduzione oraria non deve comportare cali di produttività (bisogna
lavorare quanto prima, ma in meno tempo) né, tendenzialmente, di
salario.
Apparentemente
si tratterebbe di un elemento di conciliazione fra imprenditori e
dipendenti, in luogo dei tradizionali conflitti dovuti a interessi
profondamente diversi, ma è davvero così? Del resto, un’azienda
che produce quanto prima ma in meno tempo è allo stesso tempo una
realtà evoluta, che investe nella modernizzazione dei processi di
lavoro e che esercita un adeguato grado di controllo sui dipendenti…
Interessi
imprenditoriali dietro la riduzione oraria
Secondo
la lettura dominante, la riduzione dell’orario di lavoro porterebbe
naturalmente il dipendente a sentirsi psicologicamente meglio, in
virtù dell’acquisizione di maggior tempo libero, ragion per cui
sarebbe in grado di sostenere ritmi più alti e fare lo stesso lavoro
che faceva prima ma in meno tempo. A noi però risulta che l’aumento
dei ritmi non si accompagni mai a uno sforzo volontaristico e
discrezionale del lavoratoreiv.
Questi, all’opposto, è indotto a “spingere sull’acceleratore”
da sistemi di controllo informatici che impongono ritmi di lavoro
preimpostativ.
Ciò è vero sia che si tratti del settaggio preventivo della catena
di montaggio, dell’imposizione di parametri temporali per lo
svolgimento delle operazioni oppure dell’obbligo di esaurire il
carico lavorativo entro la giornata (rischiando quindi di rimanere al
lavoro oltre l’orario).
L’organizzazione
del lavoro contemporanea, in Italia come negli altri paesi
economicamente dominanti, è questa. Pertanto, anche qualora il
lavoratore sentisse di poter e voler dare di più, difficilmente ne
avrebbe la possibilità: non gode dell’autonomia necessaria per
incrementare i ritmi di propria sponte. Per forza di cose, perciò,
ipotizzare l’esistenza di un effetto psicologico indotto dalla
riduzione dell’orario non cambia il fatto che l’aumento dei ritmi
sarà quantificato in maniera arbitraria. Gli imprenditori
decideranno quanto e come aumentare i ritmi cambiando parzialmente
l’organizzazione del lavoro in azienda, spesso tramite
l’inserimento di nuove tecnologie. Non vi sarà, dunque, alcuna
controprova possibile.
La
prima forma di interesse materiale dietro l’idea della riduzione
dell’orario è, quindi, l’aumento della produttività oraria del
lavoro e lo sviluppo complessivo di un’organizzazione aziendale
atta a sostenerla, soprattutto nel senso dell’implementazione delle
infrastrutture aziendali e dei meccanismi di controllo sulla
forza-lavoro.
Un
altro elemento, sempre attinente all’organizzazione del lavoro, è
lo sviluppo di un sistema di turnazione differente. La riduzione
dell’orario, specie se espressa nella forma dell’accorpamento di
più ore in meno giorni (generalmente quattro: cd. “settimana
corta”), dà al capitalista la possibilità di assumere nuovi
lavoratori per le giornate rimaste scoperte (e, nel caso, per coprire
i turni di notte). L’aumento dei ritmi dovuto allo sviluppo di
un’organizzazione aziendale migliore rende l’operazione
tendenzialmente meno onerosa e non per caso Landini si sente “pronto”
«ad aumentare l’utilizzo degli impianti o l’apertura dei servizi
anche su più̀ giornate»vi.
Ciononostante, l’idea di un’azienda in attività per 24 ore su 7
giorni non è per forza l’opzione più conveniente: i tassi di
utilizzo della capacità produttiva sono in netto calo nella maggior
parte delle potenze economiche, dai paesi cosiddetti “occidentali”,
alla Cina e all’Indiavii.
Un
sistema di turnazione che consenta di “spalmare” la forza-lavoro
su orari e giorni che normalmente non sono lavorativi, però, conduce
anche a un altro tipo di vantaggio per i capitalisti: la riduzione
del costo del lavoro a causa della scomparsa delle maggiorazioni
(festivi, notturniviii
e straordinari).
Nel
2022 abbiamo raccolto una interessante testimonianza di un lavoratore
italo-macedone emigrato in Svizzera, dipendente della
multinazionale Advaltech in una fabbrica di cialde per il caffè,
che riportiamo integralmente. Il weekend
di riposo è concesso ogni quattro giorni di lavoro, anziché cinque,
e ogni quattro giorni si cambia turno. Si lavora per 8
ore nel turno della mattina, 8 in quello del pomeriggio e 7,15
durante la notte.
«non
riusciamo ad avere un sonno regolare, perché appena ci abituiamo a
un turno dobbiamo subito ricambiare abitudine. Le 48 ore previste fra
un turno e l’altro non bastano affinché il corpo si abitui al
cambio turno, perché cambiare ogni quattro giorni non fa bene.
Quindi ci sono persone che vengono assonnate, con mal di gambe, mal
di schiena, emicrania… Praticamente quasi tutti i dipendenti hanno
questi disturbi, ma lo stress è tantissimo e coinvolge tutti senza
eccezioni. (…) Ci hanno già detto, però, che un turno regolare
dal lunedì al venerdì non ritornerà mai, perché l’azienda ci
andrebbe a perdere. [Fino a settembre 2021 si lavorava dal lunedì
al venerdì, cambiando turno ogni settimana] (…) I turni sono
difficili… È capitato anche un incidente sul posto di lavoro, un
signore di 55 anni che è stato trasportato in ospedale e per due
mesi non è venuto al lavoro. Soprattutto il turno da notte a
mattina è il più difficoltoso di tutti, in quanto è difficile
cambiare l’orario del sonno e ci sono infatti difficoltà fra
tutti i dipendenti [ix].
In questi mesi stiamo cercando di fare pressioni sull’azienda:
abbiamo avuto 2-3 confronti coi nostri superiori, i quali hanno
rifiutato di ritornare ai vecchi turni. Loro
dicono che in Svizzera non ci sono più fabbriche che lavorano su
questi vecchi turni [corsivo
nostro]. Quindi loro stanno facendo di tutto per avere un guadagno,
sia sul dipendente che sull’orario del dipendente. Noi stiamo
facendo di tutto per farci cambiare i turni, però le sensazioni
sono negative».
Da
allora è passato quasi un anno e i lavoratori hanno ottenuto un
sistema di turnazione a “doppio binario”: un gruppo fa dal lunedì
al venerdì, con alternanza fra turni di mattina, pomeriggio e notte,
mentre l’altro lavora per tre giorni a 12 ore, comprendenti sempre
i fine settimana. Prima erano state previste maggiorazioni per il
lavoro notturno e festivo mentre ora, nel caso dei turni di 12 ore,
le maggiorazioni “festive” non si applicano più. Né prima né
dopo si applicavano maggiorazioni per gli straordinari, che invece
fino al 2021 venivano riconosciute. E siamo in Svizzera, non in
Italiax.
I
lavoratori utilizzati per riempire i turni rimasti scoperti, poi,
possono essere associati a forme di contratto precarie (come i
part-time
o i contratti a espansione), che rispetto agli indeterminati
normalmente comportano costi inferiori per l’imprenditore che li
attiva, generando un’ulteriore possibilità di risparmio sul costo
del lavoro.
La
diffusione di figure precarie e l’articolazione variabile dei turni
possono, infine, migliorare la flessibilità aziendale, vale a dire
la capacità di reagire prontamente alle fluttuazioni del mercato
adattandosi alle esigenze dettate da domanda e offerta. Con ciò si
riduce il rischio di trovarsi in difetto o in eccesso di produzione.
In
conclusione, perciò, la riduzione dell’orario può avere come
output
l’aumento della capacità produttiva, la riduzione del costo del
lavoro e l’incremento della flessibilità produttiva. A seconda del
tipo di business
e del livello di specializzazione della forza-lavoro può essere
ricercata più l’una o l’altra cosa, anche se in generale la
riduzione oraria risulterebbe più conveniente per le aziende grandi,
quelle in grado di realizzare innovazioni di processo ed economie di
scalaxi.
Forse uno dei motivi, quest’ultimo, per cui la riduzione oraria
viene foraggiata anche dal PD.
Una
battaglia di consapevolezza
La
ragione di quanto affermato, ovvero del non aver ancora illuminato
gli aspetti positivi che una riduzione d’orario potrebbe e dovrebbe
naturalmente comportare, risiede nel fatto che i rapporti di forza
tra imprenditori e lavoratore, estremamente sfavorevoli per i
secondi, non consentono al momento attuale di influenzare in alcun
modo il modello di organizzazione aziendale del lavoro. A
nostro parere, dunque, i
rischi connessi a una politica di riduzione dell’orario derivano
dal fatto che questa verrebbe gestita liberamente dagli imprenditori
e dal Governo.
Detto
ciò, non pensiamo che si possa dire a una coppia di lavoratori con
due figli piccoli a carico che non devono accettare la riduzione
oraria a parità di stipendio perché potrebbe trattarsi di un
inganno… quando nell’immediato avrebbero il venerdì pomeriggio
libero per poter stare con loroxii.
«Nelle condizioni presenti una battaglia per la consapevolezza e la
cultura politica è l’unica scelta che abbiamo, nel tentativo
di rendere
i lavoratori vigili (anche
in riferimento ai propri sindacati) e in grado di ingaggiare uno
scontro sul piano della regolazione della riduzione oraria»xiii,
a tutela della stabilità contrattuale del lavoro e delle
maggiorazioni salariali, dell’intensità dei ritmi, della
regolarità d’orario e via dicendoxiv.
Le
tre proposte di legge
Le
audizioni fatte alla Camera per esaminare le proposte di legge di
Fratoianni, Conte e Schlein finalizzate alla riduzione dell’orario
lavorativo parlano chiaro: tutte e tre fanno leva sull’aumento
della produttività e l’estensione del tempo di attività
dell’impianto.
Per Conte la nuova articolazione dei turni che ne risulterebbe
dev’essere in grado «di tener conto dei picchi di produzione delle
imprese, degli investimenti in attività di formazione e sviluppo,
della tecnologia utilizzata e di ogni altra variabile suscettibile di
incidere sulla qualità e sulla produttività del lavoro»xv;
per Fratoianni «Se lavorassimo 36 ore alla settimana 3 milioni di
disoccupati potrebbero avere un posto di lavoro», e «la riduzione
degli orari a parità di salario e l’aumento dei posti di lavoro
potrebbero portare a una concorrenza fra imprese maggiormente fondata
sulla piena e buona occupazione, anziché sul contenimento dei costi
produttivi»xvi;
secondo Schlein bisogna prendere «atto di come i nuovi sistemi
organizzativi e tecnologici consentano guadagni di produttività e
riduzione della fatica del lavoro e la indubbia possibilità di
rimodulare gli orari dei dipendenti, secondo modelli organizzativi
condivisi e incentrati su un lavoro per obiettivi di crescita»xvii.
Complessivamente
la
proposta del PD
ci sembra la più seria da un punto di vista tecnico-gestionalexviii
e, non per niente, è
quella che promette il sistema di incentivi per le imprese più
strutturato e l’unica che non millanta il ridimensionamento della
disoccupazione o, addirittura, delle problematiche di genere.
Conte e Fratoianni sembrano invece vittime di un certo massimalismo –
o, più correttamente, demagogismo – di “sinistra”, perlomeno
laddove ipotizzano che la riduzione oraria creerebbe nuova
occupazione e, addirittura, che questa sarebbe principalmente
femminile. Fratoianni si spinge persino a paventare un effetto
positivo sui consumi per i dipendenti che lavorino su 4 giorni, in
quanto questi ultimi sarebbero più propensi a spendere nei «settori
della cultura e dell’intrattenimento»! Abbiamo spiegato che non è
scontato che le imprese scelgano di riconvertire il tempo di
inattività dell’azienda in nuovi posti di lavoro… ma sostenere
che, in virtù del fatto che la nuova occupazione creatasi sarebbe
principalmente precaria (in quanto non a tempo pieno), i nuovi posti
andrebbero soprattutto a figure femminili, e poi vantarsene, è
vergognoso di per sé ed equivale alla rinuncia preventiva a
combattere per la loro stabilizzazione.
Chiarito
che tutte e tre le proposte si muovano sul medesimo terreno
ideologico è opportuno entrare nel dettaglio e mostrarne le
differenze, perlomeno per rendere conto a chi legge di quella che è
la variabilità degli orientamenti politici in campo.
-
La questione degli
straordinari
Conte
propone esplicitamente di «articolare, a fronte di una complessiva
riduzione dell’orario, schemi orari in cui non siano considerate
come lavoro straordinario le ore lavorative giornaliere prestate
oltre l’ottava»xix.
Fratoianni,
per quanto auspichi «la rimodulazione degli orari, che consente di
intervenire per rendere più elastica l’organizzazione del lavoro»,
nel proprio documento vieta di sovrapporre l’articolazione
irregolare dei turni (cd. “flessibilità dell’orario”) al
regime degli straordinarixx.
Quest’ultimo è un aspetto positivo, ma bisogna anche notare che
entro i limiti massimi di impiego, individuati nelle 40 ore
settimanali e nelle 8 giornalierexxi,
il datore di lavoro non è tenuto alla maggiorazione salariale
nemmeno con questa proposta di legge.
Anche
Schlein vede «l’istituto della riduzione dell’orario di lavoro
come la possibilità di introdurre una nuova e diversa organizzazione
dei tempi di lavoro»xxii,
rimodulando «gli orari dei dipendenti, secondo modelli organizzativi
condivisi e incentrati su un lavoro per obiettivi di crescita»xxiii,
ma non interviene sulla questione delle maggiorazioni salariali.
Questo aspetto non è casuale.
-
La contrattazione
della riduzione d’orario
Mentre
Conte e Fratoianni, infatti, affidano rispettivamente alla
contrattazione nazionale e alla legge il compito di regolare il
percorso nazionale verso una più generalizzata riduzione oraria del
lavoro, il
PD opta per lasciare alla contrattazione decentrata (e quindi al
mercato) l’onere di trovare le strade più adatte, stabilendo di
conseguenza un sistema di incentivi e sgravi fiscali più corposo
rispetto alle altre due proposte di legge, al fine di rendere le
imprese più interessate
(e di fare della propria proposta politica un elemento centrale nel
dibattito d’opinione pubblica). Inutile dire che in realtà la
deregolamentazione normativa favorisce da decenni, in Italia, la
diffusione del lavoro sottopagato e con scarse tutele, ma come
dicevamo l’istituto della riduzione oraria nasconde interessi
imprenditoriali consistenti, di cui (almeno a sinistra) è il Partito
Democratico, tradizionalmente, il miglior interprete.
Per
il PD, quindi, è vincente il modello di contrattazione proposto
dalla CISL, ma anche le minoranze di Conte e Fratoianni mostrano
grossi limiti nel voler perpetrare l’attuale modello concertativo
di contrattazione.
Tutte e tre le proposte di legge,
comunque sia,
optano per una contrattazione dell’articolazione dei turni che
preveda la partecipazione delle sole “organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative”,
con ciò escludendo a priori quelle più conflittuali, che potrebbero
non aver firmato accordi e Contratti Collettivi.
Nota positiva – per quanto non sufficiente –, il fatto che la
proposta di Conte apra alla possibilità di indire un referendum
interno all’azienda per ratificare l’accordo sulla riduzione
dell’orario.
-
Incentivi e
sanzioni
La
proposta di Avs concederebbe sgravi contributivi, principalmente
nell’ordine del 10/15%, e sovvenzioni statali per coprire eventuali
aumenti del totale dei salari pagati (cd. “monte retributivo”),
in misura prossima al 50% delle spese aggiuntive.
Il
Movimento 5 Stelle propone sgravi contributivi fino a 8.000€ annui
per impresa, prevedendo uno stanziamento complessivo per lo Stato che
non potrebbe superare i 250 milionixxiv.
Il
PD ha studiato un impianto simile, sempre basato sugli sgravi
contributivi, che stavolta sarebbero da attuarsi prevalentemente
nella misura del 30% del totale. Le risorse, previste nella misura di
100 milioni per il primo anno e poi 200, andrebbero prelevate da
quelle previste per la formazione della forza-lavoro in aziendaxxv.
La
conclusione politica è che tutte
le forze politiche che si propongono di rappresentare il lavoro non
riescono a prescindere dalla necessità di stimolare gli investimenti
aziendali.
Che si tratti di sviluppo dell’organizzazione aziendale del lavoro
(come in questo caso), di ammodernamento produttivo o di formazione
dei dipendenti, ogni sforzo viene regolarmente assecondato e
finanziato dallo Stato. I margini di profitto sugli investimenti, del
resto, in Italia non sono più così alti e il timore di vedere
abbandonati importanti progetti di sviluppo imprenditoriale è la
prima preoccupazione di chi si avventura a stilare leggi sul lavoro
dipendente.
-
Un aspetto
interessante della proposta di Avs
Leggendo
uno studio tecnico sulla proposta di legge in questione ci siamo resi
conto del fatto che quest’ultima introdurrebbe un elemento
innovativo e positivo, nel panorama della legislazione del lavoro
italiana: la regolazione dell’orario lavorativo non più sulla base
della garanzia di un certo quantitativo di ore di riposo, bensì
sulla base del numero di ore di lavoro effettuate. Secondo il D. Lgs.
66/2003, infatti, «il riposo giornaliero è quantificato in 11 ore
consecutive, ogni 24 ore, con la conseguenza che, nella disciplina
vigente, (…) l’orario massimo giornaliero è di 13 ore»xxvi.
Welfare
aziendale o welfare state?
La
proposta del PD è l’unica, a nostro parere, che abbia qualche
chance
di essere prima o poi applicata: è l’unica che concepisce il
vantaggio della riduzione oraria per le imprese come un elemento
variabile, che cioè andrebbe configurato in maniera diversa per ogni
impresa. Non sorprenderà sapere che già
oggi, nel campo dei rinnovi contrattuali (nazionali come aziendali),
le sperimentazioni sulla riduzione d’orario aprono un ventaglio di
opzioni differenti molto più ampio di quello complessivamente emerso
nel dibattito di questo ultimo anno e mezzo e nelle tre proposte di
legge esaminate.
Il
CCNL dei bancari, ad esempio, opta per una riduzione oraria di una
sola mezz’ora a settimana ma le ore di formazione retribuita
aumentano di oltre il 50%, visto che il settore degli impiegati di
banca è uno di quelli in cui le mansioni sono cambiate di piùxxvii.
Può darsi che la scarna riduzione dell’orario nasconda un aumento
della produttività maggiore, accumulato negli ultimi anni, che
libera tempo che è più conveniente “convertire” in corsi di
formazione anziché in libera uscita per i lavoratori o in lavoro
extra.
Per
gli alimentari il nuovo Contratto Nazionale prevede invece di ridurre
l’orario estendendo il sistema dei Rol (“riduzione orario di
lavoro”), un tipo di permesso che spesso le aziende trasformano in
ferie aggiuntive usufruibili obbligatoriamente nei periodi che fanno
comodo alle aziende, ossia quelli in cui c’è un calo della domanda
e quindi può essere auspicabile un calo di produzione.
Dunque,
a causa della riduzione oraria probabilmente si sta facendo strada un
modello orario multi-periodale che fa lavorare tanto nei momenti di
picco produttivo e meno in altri, al contempo risparmiando sullo
straordinario e sulle assunzioni a tempo determinato.
Se
la riduzione dell’orario diverrà un fatto diffuso bisognerà
essere attenti al fatto che, presto o tardi, le imprese potrebbero
cercare di barattare maglie via via più larghe sull’aumento dei
ritmi di lavoro e il pagamento di festivi, straordinari e notturni,
principalmente in cambio di welfare
aziendale.
In questi anni, però, il nostro modello di stato sociale
tradizionalmente incentrato sul lavoro e le esigenze di chi lavora
(pensioni, disoccupazione, cassa integrazione, sanità “gratuita”
e universale) sta venendo progressivamente modificato dai Governi
affinché aderisca sempre meglio al modello universalista
anglosassone, basato su bonus ed emolumenti vari da corrispondere in
base alle condizioni di vita (presenza nel nucleo famigliare di figli
a carico, di persone anziane e fragilità di vario tipo, ecc.) e,
soprattutto, su un livello complessivo di spesa tendenzialmente
inferiore.
Il
definanziamento del nostro vecchio welfare
state
lavorista fornirebbe allora alle imprese l’opportunità di agire in
senso compensativo, magari
tramite l’istituzione di asili nido aziendalixxviii
o la stipula di convenzioni con aziende sanitarie private,
determinando
un risparmio per il lavoratore molto più alto della spesa sostenuta
dall’aziendaxxix
e, per di più, a fronte di un livello di protezione sociale
che
senza dubbio nel complesso sarebbe nettamente inferiore
a quello cui siamo stati abituati nella seconda metà del XX secolo.
i
In
tal senso abbiamo rintracciato casi di responsabili aziendali che
lavoravano 12 ore al giorno per tre o quattro giorni, mantenendosi
liberi per il resto della settimana.
ii
Citiamo i casi di Luxottica, Sparda Bank, Lamborghini, Intesa San
Paolo, Awin Italia, Tria Spa, ma ce ne sono molti altri. Peculiare è
la sperimentazione fatta in Islanda nel pubblico impiego.
iii
Cfr. E. Gentili,
Ridurre l’orario di lavoro a
parità di salario. Il significato delle aperture del Governo,
«laCittàFutura», 31 marzo 2023,
https://www.lacittafutura.it/dibattito/ridurre-l%e2%80%99orario-di-lavoro-a-parit%c3%a0-di-salario-il-significato-delle-aperture-del-governo.
iv
Tranne
che in certi casi di dipendenti di fascia alta, i quali, credendo
nella “vision
aziendale”, vengono indotti all’aumento dei ritmi principalmente
da meccanismi di controllo psicologico.
v
Se
la gestione del lavoro informatizzata è il fattore determinante,
non dimentichiamo che esistono altri meccanismi coercitivi, dal
controllo psicologico in azienda ai meccanismi premiali, spesso
ridicoli ma comunque manipolativi, fino alla classica sorveglianza
del responsabile aziendale o di chi ne fa le veci (capo-reparto,
preposto, team
leader).
vi
Adnkronos,
Lavoro, Landini: “Settimana
4 giorni obiettivo strategico sindacato”,
17/01/2023.
vii
Cfr. A. Pannone,
Che cos’è la guerra? La
logica dei conflitti capitalistici tra XX e XXI secolo.
Bologna: DeriveApprodi, 2023, pp. 40-41.
viii
Si consideri che allo stato attuale i Contratti Nazionali presentano
ancora una distinzione fra lavoro diurno e notturno, almeno
formalmente.
ix
Anche in Italia il riposo previsto fra un turno e l’altro di
lavoro (11 ore) (L. 66/2003, art. 6) e la giornata di riposo
aggiuntiva che di norma spetta al lavoratore dopo la fine di un
turno notturno possono coincidere, visto che la normativa europea lo
permette esplicitamente (Dir. 93/104/CE, art. 5).
x
Cfr. E. Gentili,
op. cit..
xi
Per quanto riguarda il manifatturiero, Pancini, Segretario CGIL
della Camera del Lavoro di Prato, propone di «avviare
la sperimentazione nelle imprese più strutturate e meglio
organizzate del
manifatturiero». In “L.
Pancini, Riduzione
orario,
https://www.cgilprato.it/riduzione-orario-pancini-cgil-avviare-la-sperimentazione-anche-a-prato/.
xii
L’ultimo rapporto del Censis dice che il 67% della forza-lavoro è
favorevole alla riduzione oraria.
xiii
E. Gentili
e F. Giusti,
Riduzione dell’orario
lavorativo: rischi e obiettivi,
«laCittàFutura», 13 maggio 2023,
https://www.lacittafutura.it/interni/riduzione-dell%e2%80%99orario-lavorativo-rischi-e-obiettivi.
xiv
Del resto, gli imprenditori sono soliti a concedere qualcosa in
cambio di un aumento della produttività per poi riprenderselo
surrettiziamente in seguito. In Fiat, ad esempio, una riduzione del
6% della velocità della catena di montaggio prevista per le
necessità fisiologiche dei lavoratori è stata convertita nel 1993
in una pausa di 20 minuti da godere tutta in una volta. Peccato che
alla fine tale pausa abbia sostituito una pausa preesistente (la
“pausa disagio-vincolo”) e che perciò i lavoratori si siano
ritrovati col cerino in mano.
xv
G. Conte, D. Carotenuto
et alii,
Proposta di Legge n. 1000
presentata alla Camera dei Deputati il 15 Marzo 2023,
p. 3.
xvi
N. Fratoianni, F. Mari
et alii,
Proposta di Legge n. 142
presentata alla Camera dei Deputati il 13 Ottobre 2022,
p. 5.
xvii
A. Scotto, E. Schlein
et alii, Proposta
di Legge n. 1505 presentata alla Camera dei Deputati il 20 Ottobre
2023, p. 2.
xviii
È anche l’unica delle tre che limita l’ambito di applicazione
al settore privato.
xix
A. Marchiotti,
E. Zanella, A. Zaniboni,
Oggetto, finalità e ambito di
applicazione delle proposte di legge in materia di riduzione
dell’orario di lavoro,
Bollettino speciale ADAPT 10 Luglio 2024, n. 4,
https://www.bollettinoadapt.it/oggetto-finalita-e-ambito-di-applicazione-delle-proposte-di-legge-in-materia-di-riduzione-dellorario-di-lavoro/.
Si veda anche “G. Conte, D.
Carotenuto et
alii, op.
cit., p. 5”.
xx
N. Fratoianni, F. Mari
et alii,
op. cit.,
p. 25.
xxi
Ivi, pp.
14-15.
xxii
A. Marchiotti,
E. Zanella, A. Zaniboni, op.
cit..
xxiii
A.
Scotto,
E. Schlein
et alii,
op.
cit.,
p. 2.
xxiv
All’interno di questa proposta di legge è sicuramente buona
l’idea di istituire un Osservatorio Nazionale sull’Orario di
Lavoro. Questo «ha
il compito di raccogliere e di elaborare dati statistici e
socio-economici relativi a determinati aspetti dell’organizzazione
del lavoro – quali le modalità di organizzazione del lavoro e dei
relativi orari, l’attuazione delle disposizioni della presente PdL,
le dinamiche del mercato del lavoro, l’impiego dei contratti di
solidarietà e le specifiche intese raggiunte in sede di
contrattazione collettiva di prossimità in riferimento alla
disciplina dell’orario di lavoro (…) – e di predisporre una
relazione annuale sulla propria attività». Camera
dei Deputati, Servizio Studi,
Disposizioni
per favorire la riduzione dell’orario di lavoro A.C. 142, A.C. 1000,
A.C. 1505,
Dossier n. 272, 3 Aprile 2024.
xxv
Cfr. D. L. 34/2020, art. 88.
xxvi
C. Nardo, A. Sannipoli,
L’organizzazione del tempo
di lavoro all’interno delle tre proposte di legge relative alla
riduzione dell’orario di lavoro,
Bollettino speciale ADAPT 10 Luglio 2024, n. 4,
https://www.bollettinoadapt.it/lorganizzazione-del-tempo-di-lavoro-allinterno-delle-tre-proposte-di-legge-relative-alla-riduzione-dellorario-di-lavoro/.
xxvii
Negli
ultimi anni le banche si sono aperte a tutt’un insieme di
operazioni finanziarie nuove che prima non esistevano, da proporre
anche a sportello e che infatti sono appannaggio dell’impiegato di
base. L’inserimento di tecnologie informatiche è stato
particolarmente corposo e, non per caso, rispetto alla situazione di
fine anni ’90 questa fascia del lavoro dipendente è forse in
assoluto quella che ha sperimentato gli aumenti dei ritmi più
consistenti. La formazione, dunque, risulta quantomai necessaria e
si configura anche come uno strumento di controllo sul dipendente ai
fini di un corretto svolgimento della mansione lavorativa.
xxviii
Cfr. F. Giusti,
Una inchiesta di Openpolis
induce ad aprire una seria riflessione sul depotenziamento del
welfare universale,
«InTheNet»,
https://www.inthenet.eu/2024/08/02/i-centri-estivi-un-ricordo-del-passato/
xxix Ciò non toglie che un robusto welfare aziendale esiste in genere nelle grandi aziende, anziché nelle PMI. Esempi di aziende con asili nido aziendali sono, ad esempio, Fiat, Ferrari, Eni, UniCredit, Intesa Sanpaolo, Ferrero, Nestlé, Chicco (Artsana Group), Telecom, Wind e Vodafone.