Solo nel novembre scorso il Governo
aveva approvato il “Pacchetto Sicurezza” ma dall’indomani è iniziata la
solita campagna ideologica e politica costruita ad arte per andare ben oltre
all’impianto securitario e repressivo approvato.
L’idea, diffusa e trasversale non
solo a tutto il centro destra ma ben accolta anche da esponenti di
centrosinistra, consiste nel rafforzare le pene a carico dei manifestanti,
reati che da amministrativi diventano penali, prova ne sia la pena del carcere da sei mesi a
due anni per i blocchi stradali e ferroviari che poi
riguardano manifestazioni sindacali, sociali e ambientaliste.
È sufficiente “il reato commesso da
più persone riunite” per prevedere pene severissime che andranno a colpire
innumerevoli proteste. E una volta approvate le norme potranno essere
ulteriormente rafforzate ed estese ad ulteriori reati, del resto con questa
pratica siamo arrivati alla istituzione di uno Stato penale che ha calpestato
gran parte dei diritti sociali acquisiti.
La spirale repressiva è stata
giustificata come “norma anti-Ultima Generazione” ma è evidente si rivolga ai
movimenti dell’abitare, alle realtà in lotta contro la costruzione di nuove
basi militari o il Ponte sullo stretto come i primi Pacchetti sicurezza erano
rivolti ai senza fissa dimora, ai migranti privi di permesso di soggiorno e ai
facchini della logistica.
Questa ennesima legge colpirà
ferocemente i partecipanti ai blocchi stradali, una pratica di lotta e di
protesta storicamente diffusa e utilizzata, per questo siamo certi che si
tratta di norme indirizzate a criminalizzare e colpire i movimenti sociali alla
vigilia dell’apertura di innumerevoli grandi opere.
È evidente la trasformazione di una
sanzione pecuniaria in un grave reato penale con tanto di pena detentiva anche
per manifestazioni simboliche e pacifiche, di mera protesta e testimonianza
sociale.
La norma antiblocco stradale è stata
approvata in fretta e furia dentro la apposita Commissione, esclusa a priori
qualsivoglia discussione per approvare un testo blindato da inviare al
Parlamento ove sarà approvato senza alcuna remora.
Ma è solo l’inizio di una spirale
repressiva che prevede l’innalzamento delle pene per chi protesterà in modo
“minaccioso o violento” contro le grandi opere infrastrutturali come
il Ponte sullo Stretto, il Tav, un inceneritore o una base militare. Se ne
parlerà a settembre ma è evidente la volontà del Governo di approvare queste
norme repressive in fretta e furia per avere un codice penale aggiornato con
pene draconiane per i reati sociali a partire dal prossimo autunno-
Sono anni che attraverso i Pacchetti
sicurezza si introducono nuovi e pesanti reati penali ma questa volta è
indubbio il salto di qualità perché la norma in discussione riguarda tutte le
manifestazioni di opposizione sociale, non si fa distinzione alcuna tra
manifestazioni violente e pacifiche, da qui al divieto a manifestare corre ben
poco
Le proposte di emendamento vanno poi
a colpire un’altra forma di lotta del movimento operaio, quella dei picchetti
equiparati a grave violenza privata. Recenti sentenze hanno stabilito che i
reati contro la produttività sono severamente puniti mentre costituzionalmente
accettabili sono gli scioperi che bloccano la produzione, pensiamo allora che
ben presto questa distinzione sarà annullata e la nozione di produttività
estesa oltre ogni limite ragionevole proprio per aprire le porte al
carcere per tanti attivisti
Non siamo quindi solo davanti a nuovi reati da inserire nel
Codice penale o all’inasprimento di pene, si mira
direttamente a costruire un clima di impunità delle forze dell’ordine ponendo
fine definitivamente al reato di tortura e rigettando la richiesta di codici
identificativi.
E su questo punto è bene esprimerci
con chiarezza perché numerosi addetti alle forze dell’ordine da tempo hanno
anche manifestato contrarietà al loro costante e crescente utilizzo in chiave
repressiva . Forse l’obiettivo del Governo è quello della militarizzazione di
tutte le forze dell’ordine dentro un processo di militarizzazione generale
della società annullando perfino parte delle riforme “democratiche” degli anni
Settanta. Le forze dell’ordine diventeranno il braccio armato di Governi
disposti a ogni forma repressiva e autoritaria per salvaguardare il loro
potere?
Ultima considerazione si indirizza
alle rivolte nei carceri e nei Cpr, pensiamo che manifestazioni di protesta
siano presto configurabili come vere e proprie rivolte e i reati contestati
andranno a colpire anche eventuali iniziative di sostegno esterno da parte di
familiari e solidali ai quali dobbiamo la denuncia avvenuta di tanti, troppi,
pestaggi avvenuti negli istituti di pena.
Sono riflessioni forse
scontate, volutamente semplificate per arrivare a un quesito elementare: una
volta approvate queste norme potremo ancora dire di vivere in un paese
democratico? E davanti alla criminalizzazione del dissenso esisteranno ancora
agibilità democratiche e sociali? E ogni qual volta i lavoratori si riuniranno
ai cancelli per scongiurare dei licenziamenti saranno accusati di reati
associativi e di eversione?
Le risposte sono scontate, o nel paese si svilupperà una opposizione a questi provvedimenti in atto o un domani la repressione busserà alle porte di ciascuno di noi, senza esclusione alcuna. E non basterà parlare di Garanzie costituzionali.
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