Aldo Cazzullo, sulle colonne del “Corriere” di lunedì
scorso, si è lanciato in fantasticherie esterofile. A suo modo di vedere la
Francia solo da poco, rispetto a noialtri, fa i conti con la metamorfosi della
destra che rigurgita di impressioni fascistoidi. Particolare considerazione
perché, al contrario, non riesco a contare con le dita di una mano le volte che
si è evocato il dramma alle porte alla vigilia di tornate elettorali
d’oltralpe. Già Le Pen padre fu simbolo di uno sbigottimento generalizzato nel
lontano 1988 per l’exploit del Front National, consolidato nel 2002 quando riuscì
a contendere a Jaques Chirac la presidenza della Repubblica in un ballottaggio
scabroso. Quando, sul finire degli ’80, la destra innamorata della Vandea
iniziò a urbanizzarsi, in Italia il Movimento Sociale era ancora relegato
all’angolo della Costituzione e della Repubblica dei partiti. Quindi Aldo
Cazzullo mente, sapendo di mentire.
Il punto è capire perché. La costante dei governi
europei, negli anni in cui impera la Costituzione economica comunitaria, è da
ricercare in una coloritura estremista, ma di centro. Non un centro di
tradizione popolare, d’ispirazione cattolica, capace negli anni del secondo
dopoguerra di transitare, anche con efficacia, tra la fedeltà atlantica e una
sorta di compromesso pubblico con le forze del lavoro, ma un estremismo
centrista fagocitato dall’ossessione per il libero mercato e per l’ideologia
d’impresa. Con l’avverarsi della guerra, queste truppe, appartenenti a ceti
professionali, manageriali e tecnici, perfettamente omogenee ai partiti della
sinistra raggruppata nel Partito socialista europeo e nella destra
istituzionale, hanno aggiunto alla precedente fede liberal-scambista quella di
un supino assoggettamento alle strategie geopolitiche di Washington, spesso in
contrasto con gli interessi nazionali.
Contraddizione in termini che porta il centro a una
schizofrenia politica, nel momento in cui è il solo luogo politico legittimato
a governare secondo i parametri sovranazionali e, contemporaneamente, viene
sconfitto, quasi con regolarità, negli appuntamenti elettorali. Non bastano,
per evitare questo fastidio (le elezioni, occorre rammentarlo, per gli stati
che compongono l’Unione Europea, sono assimilabili a degli stress test),
leggi elettorali cucite su misura per l’abito centrista, affluenze ai minimi
storici, data la sensazione di impotenza paralizzante percepita dalle
popolazioni o la progettazione di candidati asettici, ammantati dall’aura
impersonale dei curriculum dirigenziali, come nel caso di Emmanuel
Macron.
Proprio per ovviare alla disfatta elettorale europea,
lo stesso Macron, di fronte all’avanzata apparentemente ostile dell’estrema
destra, ha lanciato una chiamata alle armi delle forze antifasciste. Il primo
ad accogliere l’invito è stato colui al quale era stato recapitato con maggior
premura. A Jean-Luc Mélenchon, il reale nemico dell’estremismo di centro, si
chiedeva di soprassedere a una radicalità ideologica troppo ostile ai
condizionamenti liberali e statunitensi, perché Parigi non tornasse ad
arredarsi con gli stendardi del Regime di Vichy. Forte della propria
credibilità e della propria tenuta sociale, grazie al consolidamento di guida
della sinistra francese, Mélenchon ha accettato dapprima di avocare a sé i
reduci della sinistra costumata e convenzionale e in seguito di accettare il
patto di desistenza con i liberali tutto progresso e guerra, fedeli al
Presidente della Repubblica.
L’opportunità di far pesare i rapporti di forza con le
forze della sinistra, di accreditarsi come logico candidato alla presidenza, di
egemonizzare il campo socialista con parole d’ordine in controtendenza rispetto
al conformismo mercantilista del progressismo civilizzatore, ha
comprensibilmente convinto Mélenchon nell’accettare la sollecitazione all’unità
dei giusti. Peccato però che gran parte di quei giusti lavorino per salvare il
centro e per depotenziare proprio Mélenchon. Dapprima i suoi più stretti
alleati si sono contraddistinti per ricercare una leadership meno
divisiva, rispetto a chi dimostra intransigenza nel difendere le classi
popolari, nel contraddire le presunzioni occidentali sulla guerra o nel
condannare il genocidio dei palestinesi; e ora, in vista dei ballottaggi, la
grande stampa d’ordinanza raggela l’ambiente con le consuete accuse di
antisemitismo, enfatizzate proprio dalla Le Pen. Le stesse che tempo addietro
uccisero Corbyn.
In realtà all’Occidente diffuso, rappresentato
plasticamente dalla NATO, interessa poco e niente del fascismo lepenista; già
la Meloni, nel suo piccolo, ha dimostrato una certa affidabilità di fondo,
certo corredata da strafalcioni comportamentali che però non guastano più di
tanto l’allegra compagnia. Ciò che preme è stroncare sul nascere una forza
capace di portare nell’alveo socialista il malcontento sociale, in grado di far
convivere spinte ribellistiche del capitale individuale, una rinnovata
politicizzazione del mondo del lavoro e una presa di coscienza, meno propensa
alla frustrazione impolitica, delle banlieue. È questa opzione politica,
nel momento in cui diventa consolidata e di massa, che gli estremisti di centro
hanno il dovere istituzionale di sconfessare e immiserire. Per questo motivo
Aldo Cazzullo ha così premura nel descrivere un nuovo fascismo francese, che
solo alle precedenti legislative preoccupava molto meno. In quel caso la
desistenza con la sola France Insoumise Macron la boicottò platealmente.
Sia per la tecnocrazia austera di Bruxelles che per l’impeto bellicista a stelle e strisce non esiste altra opzione politica rispetto al centro; in sua vece potrà, quando sarà inevitabile, prendere le redini l’estrema destra (anche in Germania si inizia a sdoganare un po’ l’AFD), ma mai e poi mai si permetterà di condizionare i mercati e la guerra da slanci socialisti. Motivo per cui è bene imparare a convincersi che la tenuta di forze che trasformano la loro legittimità sociale in legittimità politica, quali France Insoumise, passa attraverso l’ambizione nel presentarsi come forze d’opposizione. Solo restando all’opposizione si potranno, dal basso, contrapporre richieste di giustizia sociale agli imperativi di mercato e delle armi, in attesa di tempo. Un tempo nel quale si avrà la robustezza politica e culturale per conquistare lo Stato e non il governo. Quindi per porre nuovi vincoli sociali e costituzionali agli esecutivi contrapposti a quelli con i quali si amministra irrazionalmente da almeno trent’anni.
Fonte foto: da Google