Proprio ieri mi sono recato ad una conferenza dal titolo “le guerre contemporanee”, tenuta dal direttore di “Limes”, Lucio Caracciolo. L’iniziativa faceva parte di un programma di formazione e aggiornamento professionale che prevede vari corsi a cui tutti i giornalisti iscritti all’albo sono tenuti a partecipare.
Il tema è naturalmente vastissimo e il relatore, dopo una brevissima panoramica generale, ha scelto giustamente di concentrarsi sul quadrante mediorientale.
Per chi si è occupato e in qualche modo continua ad occuparsi di politica internazionale, come il sottoscritto, la relazione non presentava particolari novità. Ciò detto, una “lectio” di Caracciolo, che è indiscutibilmente un grande ed autorevole analista ed esperto di geopolitica, si ascolta sempre volentieri, al di là, ovviamente, delle sue posizioni politiche sulle quali mi accingo a dire qualcosa .
Gli argomenti da lui affrontati sono stati molti; Iran, Iraq, Siria, Turchia, Libia, Arabia Saudita, Isis, sunniti, sciiti, USA, UE ecc.
Nulla da dire, come ripeto, sulla sua (altissima) professionalità; molto, invece dal punto di vista politico, come è ovvio. Al termine della relazione, egli stesso chiede se ci sono osservazioni o domande.
Nonostante si trattasse di un corso di aggiornamento al quale tutti (compreso il sottoscritto) partecipano controvoglia perché obbligati e non appena suona metaforicamente la campanella, si sgattaiola via in tutta fretta e pure un po’ scocciati, non ce la faccio (è più forte di me, evidentemente ) a non alzare il ditino e a porre un paio di questioni .
La prima, sulla Libia. A sentire lui sembra quasi che se da una parte è vero che noi (l’Occidente) ci ritroviamo coinvolti nelle guerre per interessi economici e/o geopolitici di questa o quella potenza, è anche vero che il “caso”, diciamo così, gioca anch’esso un ruolo importante, nel senso che da cosa nasce cosa, a un’azione corrispondono delle reazioni, per cui se si occupa un paese si crea un effetto domino, entrano in scena altri attori e così via, in un crescendo di cui non si possono prevedere le conseguenze. Molto spesso poi ci sbagliamo pure, perché quelli che pensavamo fossero amici si rivelano non esserlo o non esserlo più di tanto, e quelli che invece erano nemici forse erano addirittura meno peggio di quelli che pensavamo fossero amici e che invece successivamente sono diventati nemici. La qual cosa significa che noi, cioè la NATO, gli USA, l’UE, e in particolare in questo caso specifico, la Francia, e i relativi apparati politici, militari e di intelligence, non potevamo prevedere ciò che sarebbe accaduto una volta distrutto il regime di Gheddafi. Non potevamo immaginare che avremmo dato la stura alle varie bande qaediste e dell’IS (ciascuna controllata e finanziata da questa o da quella potenza mediorientale, Araba Saudita , Qatar o altre, nello stesso tempo alleate ma in competizione con le potenze occidentali) che noi stessi abbiamo armato e foraggiato in funzione anti Gheddafi e che ora scorrazzano indisturbate su tutto il territorio libico e sulle quali non abbiamo più nessun controllo. Eppure la lezione dell’Afghanistan – dico io – avrebbe dovuto insegnare qualcosa ai governi occidentali, ai loro apparati e alle loro varie “intelligence” . Sembrerebbe proprio di no, sempre a sentire Caracciolo, il quale infatti nega risolutamente che ci sia una strategia da parte dell’Occidente e delle sue potenze egemoni, soprattutto nel caso dell’aggressione alla Libia. E ciò sarebbe dimostrato proprio dal fatto che ora la situazione in quel paese è completamente fuori controllo.
Il che significa, se tanto mi da tanto e se la logica ha ancora un valore (ma io non la vedo come lui…) che siamo governati, oltre che da guerrafondai, anche da sprovveduti, avventuristi, “pressappochisti” e anche un po’ (parecchio) ingenui, incapaci di un qualsiasi barlume di strategia (che non significa e che non va confusa con il “complotto”…), che fanno le cose così, tanto per farle, come si suol dire, e poi si vedrà. Questo naturalmente Caracciolo non lo dice o forse non può dirlo, ma se prendiamo per buona la sua interpretazione dei fatti, le cose stanno messe in questo modo
Ora, che le cose possano sfuggire di mano è assolutamente possibile, però pensare che finanziare, armare fino ai denti, fornire supporto logistico, aereo, militare a delle organizzazioni terroristiche che a loro volta godono dell’appoggio di altre potenze che le sostengono per i loro interessi strategici, economici e geopolitici, non produca necessariamente delle conseguenze, è quanto meno da folli o appunto da sprovveduti. E io personalmente non credo che le cose stiano così. Anche perché lo stesso Caracciolo ha sottolineato come le organizzazioni terroristiche, e in particolare il cosiddetto Stato Islamico, siano legate a doppio filo con l’Occidente (oltre che con alcune potenze regionali, Arabia Saudita in particolare, come abbiamo già detto) con il quale c’è un sostanziale scambio commerciale, non solo di petrolio, grazie al quale si finanziano, sono in grado di pagare gli stipendi a decine e decine di migliaia di combattenti e di mantenere la propria struttura.
A queste mie osservazioni critiche lui ha cortesemente risposto ribadendo con le argomentazioni di cui sopra.
Seconda questione da me posta. Caracciolo, nel suo intervento , giustamente, a mio parere,rilevava quanto noi (occidentali) siamo atterriti dai terroristi dell’IS anche e soprattutto per le loro modalità estremamente brutali e violente, come il taglio della testa dei prigionieri, peraltro spettacolarizzato dagli stessi terroristi che hanno imparato proprio dall’ Occidente le tecniche della propaganda mediatica. Nello stesso tempo, sottolineava come in realtà queste modalità, che sempre per noi occidentali sono terrificanti, in alcuni contesti siano purtroppo del tutto normali. “In Arabia Saudita – spiegava – ogni settimana vengono decapitate a volte anche decine di persone in mezzo a un tripudio di folla accorsa ad assistere allo spettacolo”. “Per cui – proseguiva – ciò che a noi sembra così tremendo , in realtà in quel contesto non lo è poi più di tanto”. Verissimo e condivisibile.
“Però – questa la mia obiezione, rimasta senza risposta – come mai in Occidente si montano campagne mediatiche per protestare contro la pena di morte in Iran, dove peraltro vengono giustiziate molte meno persone rispetto a quante ne vengono giustiziate in altri paesi dell’area e non solo (anche perché la legge prevede che se il condannato viene perdonato dai parenti di chi è stato ucciso dal reo, la sentenza di morte venga commutata in pena detentiva) e non si muove una foglia per protestare contro l’ecatombe che avviene ogni anno in Arabia Saudita? Come mai è stato scatenato un vero e proprio bombardamento mediatico-politico per liberare Sakineh, la donna iraniana accusata di aver ucciso il marito e successivamente liberata, e non si spende una parola che è una per le centinaia e centinaia di persone, peraltro pressoché tutti uomini e per la gran parte lavoratori immigrati asiatici sfruttati fino all’inverosimile che vengono ogni anno giustiziati in Araba Saudita?
Questa domanda – come dicevo – è stata letteralmente glissata dal relatore. Forse per problemi di orario (doveva rispondere anche ad altre domande e il tempo stringeva)? O forse perché questo secondo quesito poneva due questioni ,troppo delicate, in una, entrambe assai scomode e politicamente scorrette, anche per un giornalista abile e preparato come lui? E cioè: 1) si mette in movimento la grande macchina mediatica occidentale quando si tratta di mettere alla berlina un paese ostile, un cosiddetto “stato canaglia”, e si fanno spallucce quando si tratta di coprire un paese “amico” anche se nei fatti è molto più “canaglia” del primo 2) è molto più facile e tocca molto di più le corde della pubblica opinione occidentale mettere in movimento quella stessa macchina quando ad essere colpita dalla mannaia della “giustizia” è una donna piuttosto che centinaia di uomini.
Non lo sapremo mai e non è, per la verità, neanche importante saperlo, perché ciò che conta non sono le opinioni (o le omissioni) pur autorevoli, del direttore di Limes, bensì i fatti.
Ma a quel punto è suonata la “campanella”. Fine della lezione, tutti al bar…