L’ex presidente Donald Trump, a seguito del
processo per corruzione che l’ha visto recentemente coinvolto, ha definito –
correttamente – gli Stati Uniti d’America uno “Stato fascista”. Trump ha
indubbiamente ragione: Washington accoglie l’offensiva padronale degli “elementi
più terroristici del capitalismo finanziario” (riprendendo la celebre
definizione di Dimitrov), ridefinendo (come nel caso del G7) le
dinamiche concernenti l’aggressione neocoloniale all’Eurasia. Chiarito
ciò, il conflitto interno alla classe dominante statunitense è organico
alla dicotomia fra “cosmopolitismo senza radici” e “nazionalismo
imperialista”: “entrambe le scelte sono peggiori”.
Donald Trump doveva essere condannato, anni
addietro, per ben altre ragioni; dai legami della lobby israeliana dei Kushner
(Jared Kushner è marito di sua figlia, Ivanka) con Netanyahu, al vile
assassinio del generale-martire Qasem Soleimani. L’ex presidente, appoggiato
dalla fazione “jaksoniana” della borghesia commerciale USA, ha imposto a
Cuba e Venezuela un bloqueo alimentare delinquenziale, in linea con la
proiezione unilaterale del Pentagono. Dall’altra parte, Biden – seguendo la
tradizione di Obama e della Clinton – ha accelerato la transizione ad una nuova
Architettura di potere, rilanciando la dottrina della “guerra
eterna”. Il conflitto Trump/Biden concerne due modi differenti di
proiettare il genocidio nel ventunesimo secolo.
Il Partito democratico, ovvero il Partito
dei reazionari, non ha nessuna intenzione d’opporsi alla fascistizzazione
degli Stati Uniti; questo processo antecede Trump. Come spiegò il giornalista
antimperialista Alexander Cockburn, Obama ha globalizzato il fascismo USA,
mentre il Partito repubblicano l’aveva circoscritto all’interno dei
confini nazionali, inasprendolo con l’ideologia razzialista. La lobby
progressista, o meglio la “sinistra zombie”, utilizzando l’involucro
politico della democrazia borghese ha mondializzato la transizione verso la “società
della sorveglianza”. Il fascismo, in quanto necessità politica del complesso
militare-industriale, è stato approfondito dagli Anglo-Sionisti che, nel
tentativo di stabilizzazione di un regime di per sé anarcoide, hanno militarizzato
l’antifascismo “radical”, una forma inedita di “dissenso artificiale”
(pensiamo ai finanziamenti di Soros agli “ANTIFA”) e “compatibile”.
I Soros, in prima fila nella
destabilizzazione dei governi sovranisti e nazional-populisti, sono gli usurai
del mondo. Scrive l’analista strategico messicano-libanese Alfredo
Jalife-Rahme:
“Oggi
la società israeliana è fratturata a tutti i livelli, ma risalta il confronto
di lunga data tra i due Khazariani George Soros e Benyamin Netanyahu, a tal
punto che il controverso figlio del premier israeliano, Yair, 32 anni – e che
non di rado il premier israeliano usa come suo portavoce non ufficiale – ha
deriso George Soros coi suoi meme virulenti [6].
La
frattura e le sue conseguenze hanno raggiunto le donazioni di miliardari
Khazariani, come Bill Ackman e Miriam Adelson, vedova del proprietario del
casinò Sheldon [7], che nello stesso giorno dell’apparente sovietizzazione
giudiziaria del caso Trump [8], della moderna applicazione della legge –
giudiziarializzazione della politica settaria –, ha fornito generose donazioni
al presunto “criminale condannato”.
Secondo
Bloomberg, una schiera di miliardari khazariani di Wall Street, molto vicini a
Netanyahu e ai repubblicani, si sono precipitati a sostenere Trump, irridendo
il verdetto [9], tra cui il potentissimo khazariano Steve Schwarzman, capo di
BlackStone, predecessore di BlackRock.” 1
Il
genocida Netanyahu e suo figlio Yair, un fascistello a cui andrebbe
diagnosticato un disturbo bordeline della personalità, appoggiano Trump
e l’Alt Right; i Soros spadroneggiano ai vertici del deep state
‘’dem’’ co-gestendo la pianificazione del caos. George Soros e suo
figlio, Alexander, hanno sistematizzato la dottrina della “guerra eterna”
contro Russia e Cina, contemplando cinicamente la distruzione d’una porzione
del pianeta; Netanyahu ed i neoconservatori repubblicani (es. Pipes)
hanno proiettato, dopo l’11 settembre 2001, la dottrina della “democrazia
blindata”, ispirata al Leviatano del filosofo inglese Thomas Hobbes,
nel ventunesimo secolo. In entrambe le circostanze, l’Occidente collettivo è
destinato a diventare una dittatura post-moderna, dominata dall’oligarchia
sionista. Il sionismo è il “nemico principale” della classe operaia
internazionale e delle forze antimperialiste che lottano per la pace e la
pacifica convivenza fra i popoli.
Non esiste un meno peggio, Netanyahu/Trump e Soros/Biden materializzano, con la loro sete di potere, un quadro della perversione borghese nella transizione al “capitalismo della sorveglianza”. La classe operaia e le nazioni “non allineate” devono combattere il piano Global-fascista del Super clan di Davos: gli Anglo-Sionisti (kazaki, come scrive Jalife-Rahme) possono essere sconfitti attraverso una mobilitazione del mondo del lavoro, “dagli ingegneri fino all’ultimo manovale” (celebre espressione di Marx).