Gli avvenimenti e le rivolte in
atto in Nuova Caledonia riportano all’attenzione dell’opinione pubblica Italiana
e internazionale il tema dell’indipendenza nazionale, ormai messo ai margini
della riflessione politica dalla omologazione trasversale della destra e della
sinistra che entrambe aderiscono all’ideologia europeista. Rivedere in breve il
percorso del colonialismo francese in Nuova caledonia ci serve per evidenziare come
i grandi valori di democrazia e di sovranità nazionale siano giustamente
rivendicati dal popolo kanak e da noi colpevolmente dimenticati. La Francia
annette le isole melanesiane nel 1853, dove installa una grande colonia penale
di reclusi ai quali viene imposto di realizzare i primi piani di colonizzazione
al termine della pena. Dal 1864 si aggiunge alla presenza dei reclusi l’invio
nelle isole di cittadini francesi dal continente. In questa lunga fase, che
termina nel 1945, i kanaki subiscono l’espropriazione
sistematica e violenta delle proprie terre, dalle quali vengono trasferiti in
vere e proprie riserve, soprattutto nella parte nord della Grande Terra. Il
regime giuridico fissato per i kanaki è stabilito nel Codice dell’Indigenato, che
non li riconosce come persone libere, né tanto meno cittadini francesi, ma
semplicemente come soggetti alla Francia (sujets à la France). Il quadro
normativo cambia quando con legge costituzionale, vengono introdotti i TOM Territori
di Oltre Mare nel 1946 che abrogano il codice dell’indigenato e attribuiscono
ai kanaki la cittadinanza a cui segue l’accesso al diritto di voto che giungerà
solo nel 1957.
L’ambizione tutta retorica
dell’imperialismo di portare la civilizzazione fuori dal’Europa si è dimostrata
particolarmente falsa nel caso della Nuova Caledonia, dove la Francia ha
imposto fino al 1945 un doppio sistema scolastico, con una scuola per europei
divisa dalla scuola per i kanaki, e nel quale i diplomi erano riconosciuti e
accessibili solo per gli studenti franco-europei. Ma la sperequazione tra
studenti francesi e kanaki non cambierà di molto con l’introduzione nel secondo dopoguerra di una scuola unica con l’obbligo scolastico
stabilito per tutti. I risultati di questa politica di esclusione sono alla
fine disastrosi complessivamente anche per la stessa Francia, vista la scarsa
diffusione della lingua francese nella popolazione kanak e un conseguente
rifiuto sempre più marcato della assimilazione alla comunità francese.
Dalla fine degli anni ’60 si sviluppa una ampia area di rivendicazione culturale e identitaria dei kanaki, alla quale si associa un primo nucleo embrionale del movimento indipendentista in senso socialista del popolo kanak. Di fronte al crescere progressivo di una politica di emancipazione sociale e patriottica che riesce a coalizzare intorno a sé la popolazione kanak, la Francia si dispone a concedere degli statuti di autonomia, sempre più ampi nelle competenze normative attribuite agli organismi di governo locali. Ricordiamo gli statuti di Lemoine del 1984 e lo statuto di Pons del 1986 che prevedono il diritto alla autodeterminazione e il relativo referendum da tenersi nel 1987. Le istanze di libertà politica e di emancipazione sociale sono sostenute politicamente dal FLNKS, una coalizione di gruppi e partiti di ispirazione socialista e marxista con l’obiettivo fondamentale dell’indipendenza della Nuova Caledonia dalla dominazione francese. Durante gli anni ’80, la progressiva apertura dei governi francesi alle richieste di autonomia e di eguale rappresentanza politica dei kanaki spinge la popolazione francese ad una opposizione molto dura con una forte iniziativa politica istituzionale lealista, ma anche con azioni violente contro i nazionalisti comunque pronti a rispondere con la forza attraverso le milizie indipendentiste. Con gli avvenimenti tragici di Ouvea dell’aprile 1988, il conflitto tocca il suo punto apicale e spinge il governo socialista della presidenza Mitterand ad una svolta epocale nei rapporti tra Francia e Nuova Caledonia. Il primo ministro di allora Michel Rocard diviene l’artefice degli Accordi di Matignon del giugno 1988 che stabiliscono un nuovo statuto di autonomia dotato di maggiori poteri normativi e che fissa un nuovo sistema politico organizzativo di reale autogoverno. La Nuova Caledonia è divisa in 3 province con tre rispettive assemblee provinciali, è istituito poi un Congresso e un governo locale. Sono escluse solo le competenze sovrane dello Stato Francese, segnatamente la giustizia, la sicurezza, la moneta e la politica estera. E’ previsto soprattutto un referendum sulla autodeterminazione da tenersi alla scadenza degli accordi nel 1998, che però in modo consensuale tra le tre parti, Stato Francese-Comunità francese-Comunità Kanak, sarà posticipato ad altra data perchè giudicato ancora prematuro rispetto agli obiettivi di pacificazione sociale e politica stabiliti da Matignon. Agli accordi di Matignon subentra l’accordo di Noumeà del giugno 1998 che punta a consolidare e ampliare il processo di decolonizzazione con l’introduzione di principi e finalità di integrazione culturale ed economico sociale sostanziale tra le due comunità da conseguire con un riequilibrio delle disparità che le violenze del sistema coloniale ha causato al popolo kanak. Questo comporta il riconoscimento formale della Francia della sovranità fondamentale del popolo kanak sulla Nuova Caledonia, ma anche da parte kanak la disponibilità a spartire parte della sovranità con la comunità francese una condivisione dei poteri e delle responsabilità del governo della Nuova Caledonia. Cio che più o meno avviene nell’Irlanda del Nord con il sistema del power -share di governo tra repubblicani irlandesi e unionisti dell’Ulster. La strategia dello Stato Francese è dunque quella di garantire in Nuova Caledonia il massimo grado di autonomia politico-istituzionale in modo da scongiurare un malcontento tale da rendere giustificabile la lotta indipendentista del FLNKS. Ma le ragioni della lotta del FLNKS vanno ben oltre la richiesta di uno spazio di agibilità politica parziale, come quello dell’autonomia, e risiedono in una visione liberatrice e di ridefinizione della intera società della Nuova Caledonia sulla base dei principi di democrazia e di socialismo da poter applicare in una dimensione di totale libertà come è quella che può essere data solo col conseguimento della effettiva indipendenza. Solo con il riacquisto della sovranità originaria si potranno superare tutti gli squilibri economici, sociali, culturali, umani che il dominio coloniale ha prodotto a danno della popolazione kanak. L’accordo di Noumea ha previsto 3 referendum, sulla base di un corpo elettorale “congelato” perché limita il diritto di voto ai soli residenti in Nuova Caledonia nel 1998 da almeno 10 anni, che si sono svolti nel 2018 nel 2020 e nel 2021. In tutte le consultazioni ha sempre vinto il no alla separazione dalla Francia, ma nella prima in modo parziale e insufficiente, con un 53% dei suffragi e nella terza con un tasso di astensione altissimo da parte dei kanak e del FLNKS che avevano chiesto un rinvio della consultazione che cadeva in piena emergenza pandemica covid. Con la forte e legittima contestazione degli esiti del 3°referendum del dicembre 2021 si entra in una fase di incertezza politico istituzionale visto che anche Noumeà viene a scadere in assenza di un risultato ampiamente e stabilmente riconosciuto di mantenimento del vincolo con la Francia. Tutto ciò implicherebbe, nello spirito di Matignon e di Noumea, la ripresa dei negoziati tra le parti per convenire ad un nuovo accordo costituzionale e ad una nuova consultazione referendaria di risoluzione della questione dell’appartenenza o meno della nuova Caledonia alla Francia. Adesso invece Macron decide esattamente il contrario, annuncia nel luglio del 2023 di voler abrogare la norma che restringe il corpo elettorale stabilita da Noumea, a tutela del popolo Kanak, per impedire che i numerosi e costanti arrivi di nuovi cittadini francesi alteri a favore della Francia il rapporto numerico tra le due popolazioni. A sostenere Macron in questa politica neocoloniale e in spregio dei principi di comunità di destino e di pacifica convivenza troviamo, non casualmente, le principali forze della destra europeista neoliberale quali Les Republicains e gli omologhi partiti francesi della Nuova Caledonia capeggiati dalla loro leader Sonia Beckes e, ancora più a destra, il Ressemblement National di Marine Le Pen. Il progetto di legge costituzionale è stato approvato dall’Assemblea Nazionale il 14 maggio scorso e ha segnato l’inizio della mobilitazione popolare e della rivolta degli indipendestisti nelle principali città della Nuova Caledonia. Macron e il governo Attal intendono però andare fino in fondo, tanto che il presidente ha minacciato esplicitamente che in assenza di un accordo consensuale tra le parti porterà il testo di riforma direttamente al Congresso per l’approvazione. In Francia però la questione è dibatuta visto che le indicazioni di Noumea sull’organizzazione politica e sul corpo elettorale sono state fissate in costituzione con un carattere di assoluta irreversibilità. I sostenitori di un nuovo negoziato e di un nuovo accordo ritengono dunque la fissazione del corpo elettorale entro i limiti di Noumea immodificabile a livello costituzionale. Per questo siamo concordi nel ritenere che la politica aggressiva di Macron fornisce motivi e ragioni ulteriori a tutti coloro che denunciano nell’europeismo un liberalismo neocoloniale ed autoritario, un fattore attivo di un espansionismo aggressivo e di guerra, come già stiamo constatando nei due casi della guerra in Ucraina e della distruzione sistematica di Gaza e della Palestina.
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