Il caso della scuola
trevigiana in cui si è dispensato alcuni alunni musulmani dallo studio della
Divina Commedia di Dante fa discutere e ad esso si reagisce con le ispezioni
ministeriali o con un senso di scandalo. Siamo in un’epoca di superficie, in
cui il pensiero critico e profondo è stato sostituito da forme di autoritarismo
e reazioni il cui scopo è il consenso politico.
Si evita in questa maniera l’analisi sulle condizioni materiali e
storiche che conducono a soluzioni didattiche che lasciano interdetti. Si possono ipotizzare altre verità sul caso,
che sembra più il sintomo di una patologia generale in corso che la vera
malattia. Da anni la scuola è oggetto di un assedio che ha come fine la sua
trasformazione in una costola del mercato. Si ripete ai docenti di tagliare i
programmi e di eliminare le nozioni. I risultati di tali scelte-imposizioni
didattiche benedette dai pedagogisti di turno è il tonfo generale di alcune
abilità di base: la lettura e la scrittura anche nei licei sono ormai ad un
livello elementare. Dinanzi ai risultati della scuola-azienda che nessuno pone
in discussione – è un dogma simile all’Immacolata concezione – si continua a
ripetere “più autonomia e meno nozioni, più tecnologie e meno impegno, più scuola
crociera e meno lavoro disciplinare”. Si
umilia la tradizione pedagogica della scuola italiana con continui paragoni con
le scuole finlandesi, statunitensi e inglesi per comunicare ai docenti che
devono aggiornarsi per autoeliminare il ciarpame che recano con sé. Ancora una
volta la distruzione creativa. Insomma per preparare le future generazioni al
mercato bisogna renderle prive di carattere e di identità. Il globalismo
anglofono dichiara che l’unica lingua vera con la quale si lavora e si fa
carriera è l’inglese della “mercatura”, a cui bisogna aggiungere che le
identità culturali sono giudicate un limite, perché esse impediscono
adattamenti e sono foriere di tensioni. Pertanto tutto è nell’ottica del
togliere. Si tagliano i contenuti, il tempo scuola è eroso da una miriade di
attività disfunzionali all’apprendimento, alla fine si ha la chiara e vera
percezione che il sistema ha l’obiettivo di mortificare i docenti delle
discipline umanistiche e di usare i docenti delle discipline scientifiche come
veicolo degli ordini tecnocratici delle oligarchie della finanza. La scuola è
umiliata e offesa, deve insegnare che l’identità è un limite da superare,
affinché ci possa essere scambio tra le culture. Il multiculturalismo
che il globalismo europeista-atlantista insegna è lo scambio del niente, ovvero
eliminate o indebolite le culture nella loro valenza storica, etica e formativa
non resta che lo scambio di prodotti, denaro e merci. Multiculturalismo del
niente, in cui le culture al loro incontro devono negarsi per ritrovarsi in una tolleranza senza
identità. Larvatus prodeo, si “deve avanzare mascherati verso il reciproco
nichilismo dei popoli”, e in tale “niente” le diversità si incontrano e
festeggiano il loro trionfo che consiste nella liberazione dal gravame di
cultura, lingua e tradizioni. Il mercato è la verità umana troppo umana che
accoglie tutti e divora ogni asse valoriale. Il nuovo Leviatano è globale. In
questo clima di tenebre dell’ignoranza e del nichilismo è facile cedere a
pressioni e paure.
Il caso trevigiano è
parte di questa clima generale, non è da giudicare ma da comprendere, è il
sintomo dello sfacelo generale. Nella scuola docenti sempre più anziani e
presidi impauriti sono oggetto di pressioni e richieste sempre più inaudite.
L’alunno è un cliente, può cambiare scuola se vuole, e se i clienti non sono
soddisfatti saltano direzione e posti di lavoro, per cui al cliente si deve
dire sempre il fatidico “sì”. Questa è la condizione della scuola pubblica al
tempo del liberismo senza limiti e confini che l’ha cannibalizzata e ha reso tutti gli operatori scolastici
figure che vivono una condizione indefinibile e difficile sempre sul punto di
subire ricorsi e a volte violenza. Non bisogna giudicare ma riportare, dunque,
talune scelte al contesto sociale e al tessuto economico. L’unica realtà vera e
inossidabile è la pessima qualità del nostro multiculturalismo, il quale è una
finzione, perché chiede il generale suicidio delle culture e della cultura.
Se non si elimina la
scuola azienda sarà difficile per i docenti agire per difendere e trasmettere
l’umanesimo della scrittura e del pensiero, perché scuola di formazione e
scuola azienda non coincidono. I docenti sono presi da contraddizioni su cui
agiscono adattandosi (meno Dante e più tecnologie) o resistendo in modo
spesso solitario. In questo clima di
pressioni e richieste la soluzione più semplice per un docente per sopravvivere
non poche volte è “cedere” o “banalizzare i contenuti”. Nel caso specifico da
trattare con rispetto, perché dev’essere compreso nelle sue dinamiche
particolari e generali, il giudizio dev’essere cauto, si ha ancora una volta
l’occasione per capire lo sfacelo della scuola italiana e la tormentata
condizione dei docenti sempre meno formatori e sempre più operatori del mercato
che stringe in una mordacchia la formazione.
In ultimo ricordiamoci della grandezza eterna di Dante nella cui Divina Commedia è presente la teoria della luce tratta da Avicenna e ripensata in chiave cattolica, questo è multiculturalismo, ovvero risemantizzazione di contenuti all’interno della propria cornice identitaria che si rende profonda e si eternizza solo al contatto con le altre culture senza rinunciare alla propria. Ad uno studio attento Dante Alighieri e la cultura islamica (Averroè-Avicenna) sono in uno stato di perenne scambio, elaborazione e tensione generativa. Il passato ci dona paradigmi per decodificare il nichilismo della mercatura che ci sta divorando. Solo una Rivoluzione culturale collettiva potrà farci uscire dalla palude-abisso in cui siamo caduti e di cui non vediamo il fondo, perché stiamo rinunciando a capire. Dobbiamo riattivare “la luce del pensiero e il coraggio della prassi pedagogica” per uscire dalle oscurità del nichilismo. Il dialogo non è rinuncia ai contenuti, ma attraversamento di spazi per ricongiungere le differenze nel tempo della parola, ma affinché ciò possa esserci è necessario un clima culturale che ponga al centro la formazione liberata dai vincoli dell’economicismo.
Fonte foto: TrevisoToday (da Google)