Da tempo avevo intenzione di scrivere qualcosa su Maxime Rodinson, ma la vastità e la complessità degli argomenti trattati, l’originalità e la ricchezza del suo pensiero mi hanno costretto a scegliere solo alcune considerazioni da lui articolate all’interno di quello che è il suo libro più importante,ovvero “Islam e capitalismo” che, anche se scritto nel lontano 1966, ha ancora molto da insegnarci, soprattutto in un periodo come quello che stiamo vivendo oggi dove il pregiudizio nei confronti della cultura islamica e’ fonte di grandi incomprensioni e strumentalizzazioni politiche sia in occidente che all’ interno del variegato mondo islamico e arabo.
“Islam e capitalismo” e’ un omaggio alla realtà; l’autore con dovizia di particolari e attraverso una ricca documentazione, passando in rassegna testimonianze storiche di autori musulmani ed europei, dimostra come la religione islamica e le sue strutture di potere nulla abbiano potuto per frenare determinati fenomeni sociali ed economici che nei fatti entravano nettamente in contraddizione con un sistema religioso comunque onnicomprensivo e globale.
Proibizioni religiose come l’usura erano infatti largamente disattese nonostante fossero presenti in alcuni passi del Corano e nella ricca tradizione giuridica islamica, anche perche’ a differenza del Cristianesimo l’Islam non ha mai avuto un’ autorità religiosa centrale come nel Cattolicesimo, e le divisioni religiose avevano sopratutto natura regionale o culturale o finanche politica.
L’Islam d’altra arte e’ nato in Arabia ma ha raggiunto la sua massima espansione in Indonesia.
Parlavo di un omaggio alla realta’ perche -come ben spiega Rodinson – le pratiche sociali e l’ attività economica hanno una natura autonoma che le rende indipendenti da qualsiasi ideologia o religione. Per cui quest’ultima puo’ solo adattarsi ad una realtà sociale in continuo divenire; certo la religione può regolare, attraverso il rispetto di alcuni valori condivisi, l’attività sociale ed economica, a seconda delle consuetudini storiche e culturali, nel rispetto di determinate tradizioni preesistenti ma, come scrive Rodinson, le ideologie religiose hanno comunque una natura secondaria che non tocca le costanti della realtà sociale.
Perche’ allora – si chiede Rodinson – e’stato l’Islam stesso (ma solo ad un certo momento del suo percorso storico e cioe’ quando i paesi europei hanno cominciato ad esercitare su di esso una forte pressione sfociata in un colonialismo di natura politica, economica e sociale) ad autorappresentarsi come un mondo orientato in maniera fortemente e prevalentemente religiosa?
Il motivo – spiega Rodinson – e’ eminentemente politico e di rivalsa culturale; una reazione all’occidentalizzazione causata dal colonialismo.
Ovviamente una riscrittura cosi’ radicale della tradizione religiosa aveva ed ha un valore e una funzione di argine ideale , di differenza valoriale, ma non tocca le preesistenti pratiche sociali frutto di interazioni secolari e di consuetudini condivise; assume cioe’ un valore eminentemente simbolico.
L’ Islam che emerge dal libro di Rodinson e ‘ un Islam laico che sin dalla sua nascita ha tentato di armonizzare tradizioni preesistenti , tendenze all’innovazione, libertà e uguaglianza, che ha cercato di integrare all’interno del suo sistema di valori le culture con le quali e’ entrato in contatto, con culture molto diverse tra loro, come quella persiana e greca.
Certo, molte volte oggi le classi dirigenti, sopratutto quelle di alcuni paesi arabi, stanno facendo un pessimo uso della loro tradizione religiosa, negandone sicuramente l’afflato ideale e proponendo a fini politici un Islam conservatore e ideologico.
E’ anche vero pero’ che l’Occidente ha le sue responsabilità. Se realmente (ma solo all’interno di un quadro anche questo eminentemente ideologico) siamo solo noi occidentali ad essere democratici, perche’ invece di criticare e dividere il mondo islamico, non lo aiutiamo a comprendere il senso della democrazia in modo che possa tradurla secondo le categorie della sua ricca e diversificata cultura?