Mentre si consuma un
altro 25 aprile non si può non constatare il servile provincialismo con cui la
festa della liberazione è utilizzata per
tacitare ancora una volta il paese reale. La nazione reale è oppressa da
precariato, da tempi disumani per il pensionamento e dal taglio sanguinoso dei
diritti sociali. Si è sempre giovani,
per cui si può lavorare a “tempo indeterminato”, quando il lavoro c’è. La
schiavitù salariata è per sempre. L’età avanzata e le misure di sicurezze
sempre più competitive provocano morti sul lavoro e un senso di infelice
reificazione generale. Nell’Italia che discute di antifascismo si muore per
vivere e si resta sempre più soli, se poi l’esistenza diviene insopportabile per
il dolore fisico e psichico si fa strada il diritto alla morte, ma è una libera
scelta. I diritti sociali sono avversati e combattuti, mentre la cultura della morte avanza,
essa è un ottimo espediente per evitare spese sociali improduttive. Il totalitarismo
liberale con i suoi paradigmi crematistici e individualistici può continuare ad
operare e a rendere la nazione un’azienda, in cui è il censo a determinare la
posizione che si occupa nell’azienda Italia, la quale non è una patria o una
casa comune, è solo un luogo anonimo dove il profitto impera.
La censura avanza in
ogni campo e la verità è diventata selvaggina da abbattere. In questa
condizione si discute di fascismo e di antifascismo. La sinistra che ha rimosso la sua storia fa
appello ai suoi militanti per allertarli contro i fascisti. La fuffa mediatica e
politica (è un unico corpo con un’unica anima) continua a tamburo battente con
le sue urla di circostanza a denunciare i fascisti.
Totalitarismo
liberista
Il totalitarismo
liberista si bea dell’inutile fracasso e come un acido può continuare a
distruggere servizi sociali e cultura per trasformare il popolo in plebe, sempre
sul limite della povertà e sempre più terrorizzato dalla precarietà. Chi urla
contro il fascismo dovrebbe guardare i nostri giovani, consumano l’ultimo
grasso che cola dalla tavola dei genitori e dei nonni. Sono stati resi sterili
dall’addestramento quotidiano all’angloglobalismo senza alternative.
Si può lavorare ed
essere poveri. Il liberismo colpevolizza
i precari, in quanto sono colpevoli di non essere sufficientemente scaltri per
far quattrini. Ogni velo etico è caduto, lo Stato asservito alle oligarchie economiche penetra
in ogni istituzione e pone le condizioni,
affinché il mercato coincida con la vita. La nuova religione forma le nuove
generazioni ad essere consumatori seriali, sono le infelici protesi consumanti
del mercato dell’osceno. In questo clima si urla contro i fascisti. Si dovrebbe
chiedere a costoro se a procurare tanto nocumento al popolo siano i fascisti o il capitalismo globale. Da tale risposta consegue che il fascismo è
morto nel 1945, possono esserci i nostalgici, certamente, ma il nemico del
popolo e della nazione è l’ordoliberismo europeista nichilista e ateo. Sono
atei, perché credono solo nella religione del profitto; la verità è niente per la razza padrona/ladrona come
l’umanità umiliata e offesa.
La chiarezza lessicale
è fondamentale per la politica, non si può chiamare “fascismo” ogni autorità a
prescindere dal tempo storico, dal modo di produzione e dal dispositivo
operativo che mette in campo. Coloro che
combatterono contro il fascismo, non lottarono contro un generico ed eterno
potere, ma rovesciarono la cricca mussoliniana e le classi di cui erano
espressione.
Se il 25 aprile ha un
senso, esso è nel rammentarci che ogni epoca ha le sue spinte antisociali e
antipopolari. Nei nostri giorni di guerra curvati alla religione del mercato il
nemico è il capitalismo nella forma liberista. Esso non è più contenuto nei
suoi effetti deleteri da nessuna forza critica, poiché ha divorato tutto, per
cui accapigliarsi sul fascismo che non c’è, è vittoria e vita per il mercato,
in quanto è sottratto alla critica e resta al riparo ben celato. Può presentarsi,
in tal modo, come “il salvifico sistema
che difende la democrazia”.
25 aprile
Riprendiamoci il 25
aprile per capire chi è il nemico vero e reale e favorire una nuova coscienza
critica nelle classi subalterne, in modo da progettare una nuova prospettiva
storica, ma se restiamo inchiodati al passato, il 25 aprile sarà una stanca e
sterile liturgia. Oggi il mercato ha
neutralizzato la lotta di classe sostituendola con la stratificazione
omologante dei consumatori. L’uguaglianza è stata sostituita
dall’egualitarismo. Si è tutti consumatori e non più persone e cittadini. Se
vogliamo disporci in continuità con gli antifascisti che donarono il loro
tempo, il loro impegno e spesso la vita, dobbiamo essere capaci di individuare
il nemico del nostro presente e lottare per la democrazia e la Costituzione.
Dobbiamo tornare ad essere persone capaci di sentire e ascoltare la realtà al
fine di renderla razionale. Senza la sincronia storica non può esservi progetto
politico e libertà. Essere cittadini del nostro tempo che ripensano il passato
per trarne energia etica per il presente, questo è il senso profondo del 25
aprile.
Le parole di Bertold Brecht
ci ricordano che il lavoro non è povertà dell’anima ed
economica e di questo tema non si parla mai in questo giorno che festeggia la
liberazione. Dalla qualità del lavoro si deduce la qualità della democrazia,
coloro che rovesciarono il fascismo lottarono per il lavoro datore di vita e di
pensiero come dev’essere in una democrazia autentica:
“Dici:
per noi va male. Il
buio
cresce. Le forze
scemano.
Dopo che si è lavorato
tanti anni
noi siamo ora in una
condizione piú difficile di quando si era
appena cominciato.
E il nemico ci sta
innanzi piú potente che mai.
Sembra gli siano
cresciute le forze. Ha preso una apparenza
invincibile.
E noi abbiamo commesso
degli errori, non si può negarlo.
Siamo sempre di meno.
Le nostre
parole d’ordine sono
confuse. Una parte delle nostre parole
le ha stravolte il
nemico fino a renderle irriconoscibili.
Che cosa è errato ora,
falso, di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto? Su
chi
contiamo ancora? Siamo
dei sopravvissuti, respinti
via dalla viva
corrente? Resteremo indietro, senza
comprendere piú nessuno e da nessuno compresi?
O dovremo contare sulla
buona sorte?
Questo chiedi. Non
aspettarti
nessuna risposta oltre
la tua”.
Al 25 aprile mediatico e alla rassicurante retorica dell’antifascismo in assenza di fascismo opponiamo un sano senso storico di lotta. Fedeltà al 25 aprile significa discernere i nemici del nostro tempo. Il sospetto è che intellettuali e politici che dichiarano il loro antifascismo cercano un facile consenso, in quanto la lotta se diventa solo ricordo è storia monumentale, è una visita nel museo della storia. A tale orientamento dobbiamo opporre un 25 aprile silenzioso e impegnato che possa gradualmente ricostruire la coscienza nazionale.