Il ciclo del capitale
con i suoi processi di valorizzazione è
trattato da Marx nel II Libro de Il
Capitale. Nell’esposizione marxiana vi è la condanna etica ai processi di
monetarizzazione del lavoro umano. La condanna assiologica è il fondamento
della critica marxiana. Il capitale è ciclo improntato all’accrescimento
illimitato del plusvalore nel quale gli esseri umani (i sussunti) sono
cannibalizzati da tale processo e incorporati nel sistema produttivo. Il
capitalismo è, quindi, una visione del mondo in cui si converte la vita in
morte, è “antiumanesimo militante”.
Il lavoro vivo è
trasformato in lavoro morto, ovvero in accrescimento del profitto e in allargamento
delle spire del mercato. Su tutto campeggia la sola categoria di quantità: il
totalitarismo della quantità condanna ogni essere umano a vendersi al
capitalista; è il rapporto di forza a determinare le relazioni di dominio legalizzate dai diritti astratti che li
“definiscono” eguali. La logica di dominio è inoculata nel sistema sociale fino
alla naturalizzazione della stessa mediante l’addestramento al’astratto. Si
educa a pensare senza valutare le condizioni materiali in cui il soggetto
opera. La quantità è il fine che muove
il capitalismo, esso deve spogliare ogni esperienza del suo contenuto
soggettivo, creativo e assiologico per immetterla nel mercato e per convertirla
in strumento-azione che sostiene il capitalismo. Le macchine con cui i capitalisti
si pongono in competizione incorporano il lavoro muscolare e intellettuale,
esse “non sono solo macchine”, perché sono l’effetto dell’incorporamento
nell’acciaio dei subalterni. Sono vampiri animati dal sacrificio dei popoli. La
schiavitù salariata dell’operaio come dei tecnici non è solo nel prodotto
finale ma in tutto il sistema produttivo. Il capitalismo è divenuto “il
sistema”, l’unico pensabile, ha lobomotizzato gli aggiogati alla
macchina-sistema. “Produrre e lobomotizzare” sono gli attributi della sostanza
(quantità) del capitalismo. Ad esso popoli
e vite sono sacrificati con un olocausto quotidiano.
La guerra, a cui
stiamo assistendo, è un’estensione dei processi di valorizzazione a livello
reale e simbolico. La produzione delle armi incorpora il lavoro vivo e lo
traduce in morte, da tale processo le oligarchie traggono le eccedenze
finanziarie per la competizione globale e per investire i proventi in scalate
finanziarie e in nuovi prodotti da vendere sul mercato. Tutto è morte. La
natura è l’immagine più vera e immediata della verità del ciclo di
valorizzazione, essa è solo res extensa
da riconvertire in denaro. Un intero pianeta è minacciato dalla monetarizzazione di ogni vita e di ogni
elemento naturale.
Marx descrive
l’incapsulamento della forza lavoro nel ciclo produttivo. Il lavoro,
espressione della creatività umana e della produzione finalizzata alla
soddisfazione dei bisogni primari, è reso esperienza di annullamento e di
cosalizzazione del lavoratore. Il lavoratore è incastrato in automatismi che
determinano la morte dell’uomo e la nascita di un ibrido: l’uomo-macchina. Il
transumanesimo non è che il punto finale di tale processo di disumanizazione,
il salariato è valutato in rapporto alle
macchine, è una macchina tra le macchine, in disperata competizione con esse:
“Dalla parte
dell’operaio: la messa in opera produttiva della sua forza lavorativa non è
possibile se non quando, dopo essere stata venduta, essa viene posta in rapporto con i mezzi di produzione. Essa esiste prima
d’essere venduta distinta dai mezzi di produzione, dalle condizioni oggettive
della sua messa in opera. Così isolata non può essere utilizzata
direttamente nella produzione di valori
d’uso per il suo proprietario, né nella produzione di merci, che gli darebbero
di che campare con la loro vendita. Ma
allorchè tramite la sua vendita essa è
posta in rapporto con i mezzi di produzione, diviene, al pari dei mezzi di
produzione, una parte costitutiva del capitale produttivo del suo acquirente[1]”.
Il fuco del capitale
Il capitalista è
anch’egli una funzione del sistema, che con le sue leggi e con il suo gigantismo
globale diviene “assoluto”, ovvero si autonomizza con la smisurata espansione.
In tale sistema, in cui tutto dev’essere convertito in produzione, il capitalista
è improduttivo, è il fuco del sistema, egli prospera senza produrre, si è
installato all’interno dell’alveare-industria. Egli è l’addetto-funzione alla
compra-vendita delle anime vive per farne anime morte. Il capitalista è il
Cerbero-fuco del modo di produzione capitalista, traghetta le vite dei
lavoratori verso “la loro mortale usura”. Il capitalista è sterile, non produce
e non crea concetti, è la tragica e pericolosa funzione che muove masse umane
verso l’inferno della negazione di sé; gli aggiogati sono solo forza muscolare-intellettuale
da vendere-comprare o da licenziare-distruggere:
“Per il capitalista il
quale faccia lavorare altri al suo posto, la compra-vendita diviene una funzione fondamentale. Dato che
egli si appropria il prodotto di molti
in una misura sociale più grande, deve anche venderlo in tale misura e
convertirlo poi di nuovo da denaro in
elementi di produzione. In ogni caso il tempo di compra-vendita non dà luogo a
valore alcuno. (…). Tuttavia, senza approfondire, oltre, sin dall’inizio è
evidente: qualora per mezzo della
divisione del lavoro una funzione che è in se stessa improduttiva, ma è un
momento necessario della riproduzione, viene trasformata da compito secondario
di molti in compito esclusivo di pochi, viene trasformata nel loro affare
particolare, non muta tuttavia il carattere della funzione stessa[2]”.
I fuchi-padroni del capitale gestiscono il sistema produttivo
e la politica. Gli improduttivi sono idrovore di plusvalore che come re Mida convertono
ciò che toccano in oro, ma l’immensa ricchezza prodotta uccide la vita e affama
corpi e spirito, perché il capitale nega
la relazione comunitaria dell’economia, l’unica in grado di umanizzare, la svuota
di ogni componente dell’umanità. I fuchi-padroni sono i vampiri dell’umanità. Gli
esseri umani sono solo numeri; si estraggono da essi numeri da vendere alle
aziende per organizzare il consumo. Si è ad un un passo dalla riproduzione
delle medesime logiche di funzionamento già sperimentate nei campi
concentrazionari nel Novecento. Per i fuchi-padroni tutto è numero, niente è
vivo.
Svelare il “feticcio capitale”
Il lavoratore è così cosalizzato, è solo quantità muscolare
attraverso cui il processo di valorizzazione si decuplica. Similmente al
processo di transustanzazione, dalla sostanza uomo attraverso un processo
apparentemente oscuro e velato da parole e pubbliche liturgie si ottiene per
“merito miracoloso” il prodigio (il profitto). Il processo va riportato alla
sua verità storica e reale. Il capitalismo è un “feticcio”, non è la verità ultima,
esso è esperienza storica posta dalle oligarchie, che i subalterni caduti nella rete della propaganda e della
violenza organizzata hanno divinizzato. Marx, invece, dimostra che il dio
capitale è umano troppo umano, e dunque, il disvelamento dei meccanismi non può
che liberare le vite intrappolate nell’ingannevole ordito. Il capitalismo con
il salario schiavile paga al lavoratore il sufficiente per riprodurre la forza
lavoro, ciò che non è pagato è il bottino del capitalista, è il “merito del
Cerbero/fuco” che ha condotto le anime
dei lavoratori nell’inferno del capitalismo. Il lavoratore è disumanizzato, è
soltanto energia da usare secondo le leggi del mercato. L’essere umano è solo
corpo, a cui si concede di usare le facoltà intellettuali che consentono al
sistema di funzionare fatalmente. La morte è in questa negazione della natura
sociale, creativa ed etica di ogni essere umano:
“Come abbiamo già
osservato, il denaro che il capitalista paga all’operaio per l’uso della forza
lavorativa non è in realtà che la forma generale di equivalente per i mezzi di
sostentamento indispensabili all’operaio[3]”.
Obbedienza
Il processo di
valorizzazione non è controllato dai capitalisti, essi sono gli obbedienti
esecutori delle leggi che hanno innescato e che si sono rese autonome. Il
capitalismo con suo accrescersi smisurato imprigiona nelle sue maglie e nella
sua gabbia d’acciaio gli stessi capitalisti. La rete del capitalismo per sopravvivere produce la guerra globale.
Per il capitalismo e i capitalisti la guerra è un prodotto utile ad attrarre
investimenti e a liberare energie monetarie accumulate. Il capitale non può che volere nuove guerre
di conquista dei popoli da sacrificare ai processi di accumulo. La
globalizzazione del profitto è il fine aspansivo del capitalismo. Come il dio
spinoziano il capitalismo non può non obbedire alle sue leggi. La libertà è
solo un orpello giuridico per consentire al sistema di proliferare senza
impedimenti.
Nulla deve
sopravvivere, ogni sistema di produzione dev’essere annichilito, solo il
capitalismo deve sopravvivere. A tale logica il capitalista deve attenersi,
ecco che il Cerbero/fuco diventa il manager della vita e della morte, deve
vendere il “progresso” che il capitalismo apporta con la menzogna, deve
illudere per conquistare fette di mercato da cannibalizzare. Il processo non ha
katechon,perché non ha fondamento
metafisico e assiologico, deve mettere
in atto solo la hybris:
“Quanto più acute e
continue si fanno le rivoluzioni di valore, tanto più il movimento del valore
resosi autonomo, automatico, agente con l’irruenza d’un processo elememtare della natura, si fa valere contro
la previsione e il calcolo del singolo capitalista, tanto più l’andamento della
produzione normale viene sottomesso alla speculazione anormale, tanto più
grande si fa il rischio per i singoli capitali. Queste rivoluzioni di valore
periodiche danno la riprova proprio di quello che, come si vorrebbe, dovrebbero
confutare: il rendersi autonomo del valore in quanto capitale, condizione che
esso conserva e rafferma attraverso il suo movimento[4]”.
Qual è dunque l’essenza del capitale?
Marx è chiaro e inequivocabile
nella risposta: il capitalismo è nel segno della morte. La mercificazione e la
quantificazione sono gli unici processi pensabili e possibili, esse sono la
morte in Terra.
Con il vivo lavoro
scambiato con la morte il processo risorge, esso procede per salti quantitativi
ed estensivi, ad ogni salto l’esperienza della morte diviene sempre più
incombente fino al punto, lo viviamo nel nostro tempo, di minacciare la vita
nella sua interezza. La morte è parte del paradigma ideologico del capitalismo,
per cui “l’uccidere” non reca scandalo, è la normalità della vita negata al
tempo del capitale. L’automatismo non arretra neanche dinanzi al pericolo dell’autodistruzione
del sistema-capitale. Il collasso di un pianeta non turba il capitalismo con i
suoi fedeli sicari, anzi il pericolo diviene un affare potenziale da manovrare
attentamente per estrarne plusvalore. Il tempo del capitalismo è inchiodato
alla sola produzione di profitto:
“La materia reale del
capitale investito in forza lavorativa è proprio il lavoro, la forza produttiva
che si pone in movimento, che crea valore, il vivo lavoro che il capitalista ha
scambiato con il lavoro morto, oggettivato, incorporandolo al proprio capitale,
al quale soltanto è dovuta la trasformazione in valore autovalorizzantesi del valore che si trova nelle sue mani[5]”.
La perversione del
“senso” è il sostrato che dà il movimento al capitalismo. L’economia, come la
sua etimologia indica, οἶκος “casa”e νόμος “legge”, è attività che
consente la vita, è prassi che deve soddisfare i bisogni della comunità, in primis la famiglia. Il capitalismo muta la qualità dell’economia
in crematistica (quantità senza misura) della morte. Sull’altare del profitto
si sacrificano uomini e popoli. I subalterni sono sfruttati sul lavoro e nel tempo libero. La
catena del capitale è invisibile, non molla mai le sue vittime, non dà loro mai pace, deve incutere inquietudine per
dominare. I lavoratori sono chiamati al sacrificio perenne. A
prescindere dalla classe sociale di origine tutti devono restituire al mercato
ciò che “hanno guadagnato” nella forma del consumo per sopravvvire o per
soddisfare desideri e voglie che il mercato ha indotto. Tutto ritorna al
capitale; il saccheggio non conosce pause. I lavoratori nel tempo libero sono erosi dai
desideri infiniti e dall’infelicità indotta. Essi sono macchine desideranti che
con la loro abissale insoddisfazione nutrono la crematistica. Ancora una volta
per poter riprendere le fila della storia è necessario smascherare il capitale
nelle sue metamorfosi. La prassi non può che “passare” per la definizione del
senso dell’economia e, quindi, del bene.
La politica di opposizione
senza la chiarezza del fine
dell’economia, non può inaugurare una “nuova stagione di lotta”. Senza il
giudizio etico e la chiarezza del “senso” nulla può iniziare, si è condannati a subire
il giogo del capitale.
L’economia
capitalistica uccide “rubando” la gioia di vivere e il tempo di ogni singola vita, le divora
mai sazio.
Nel tempo di Marx
uomini, donne e bambini erano negati con lo sfruttamento lavorativo, oggi nell’Occidente prevalgono l’adattamento
coercitivo ai desideri del mercato e l’addestramento al narcisismo che preparano
ad un’esistenza di solitudine e di impotenza politica compensate dal consumo
vorace. Il capitalismo somministra il consumismo alle sue vittime per “curare”
il dolore, le avvelena con il male (consumismo) per destrutturarle e renderle
schiavi ubbidienti. La strumentalizzazione dell’essere umano assume nuove forme, ma in modo sempre eguale
si scambia la vita con la morte:
“Le macchine, dando la
possibilità di fare a meno della forza dei muscoli, divengono il mezzo per
impiegare operai senza forza muscolare o dal fisico non ancora sviluppato, ma
di membra maggiormente flessibili. Lavoro di donne e bambini, questo è stato il
primo grido del capitale quando iniziò
ad usare le macchine![6]”.
Il grido del capitale ha attraversato i secoli ed è giunto
fino a noi. Quel grido attende una
risposta che possa donare giustizia ai vivi e ai morti. Al linguaggio dell’impero grondante di fango e sudore bisogna opporre
un nuovo linguaggio, che possa aprire scenari e prospettive che riportino
“l’anticapitalismo e la lotta agli sfruttamenti” nella progettualità politica,
solo in tal modo le grida di coloro che invocano giustizia saranno ascoltate.
L’antiumanesimo dev’essere ribaltato in un nuovo Umanesimo, nel quale l’essere
umano deve riportare la cura dove vige la violenza organizzata dell’incuria
pianificata dal mercato.
[1]
Marx, Il Capitale, Libro II, Newtin Compton Editori, Roma 2015, pag. 583
[2]
Ibidem pp. 647 648
[3]
Ibidem pag.671
[4]
Ibidem pag. 631
[5]
Ibidem pag. 709
[6] Ibidem Libro I pag. 293
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