Nelle
Conferenze di La Paz, nel 1995, il teologo e filosofo argentino, tra i
pionieri della Teologia della Liberazione e in esilio dalla sua patria durante
il regime fascista sviluppa la sua attentissima lettura di Marx dal punto di
vista rivendicato dell’esternità e del lavoro ‘vivo’; ovvero della persona
effettiva, reale, completa. Questo, declinato nelle sue diverse forme,
marginali e ‘poveri’, stati subalterni e periferici, è il tema centrale della
filosofia e della prassi politico-culturale ed etica di Dussel. Proviamo,
dunque, a ripercorrere i temi principali che ancora ci parlano del testo.
Intanto cosa è, nella sua essenza al tempo pratica e onto-teologica il
“capitale”? per il Marx di Dussel: “il capitale è lavoro morto che si
ravviva, come un vampiro, soltanto succhiando lavoro vivo, e più vive quanto
più ne succhia”[1].
In questa frase di Marx (dal Capitale[2]), che ha in sé il risuono
di motivi ebraici, quello che chiama “l’istinto vitale” del capitale, che ha
un’anima la quale sovrascrive quella del temporaneo agente possessore (ma che
è, al più ed al contrario posseduto), si manifesta come istinto a
valorizzarsi. Tecnicamente ad assorbire con l’azione della sua parte
costante tanto più pluslavoro possibile (in modo da incarnarsi nel plusvalore
che poi può, o meno, ‘realizzarsi’). Si tratta, ancora una formula evocativa,
di una “cosa [che non] ha cuore che le batta in petto”[3].
Dicendo
in altro modo il ‘capitale’ non è una cosa, ma lo spirito che informa dietro
le spalle le ‘cose’ che sono create da esso (dal non-capitale, ovvero dal
nulla per esso, come vedremo) e quindi feticisticamente. Tutte le esperienze
nel suo ‘mondo’ sono feticci di questo movimento. Il ‘capitale’ è,
infatti, un movimento. Ma non si manifesta solo nel materiale ma anche, se non
più, nel simbolico. Come scrive Antonio Martone in un recente articolo[4], costruisce un simbolico
che tutti sono chiamati ad imitare (se vogliono esistere).
Non
stupisce che man mano si viene incorporati in questa logica, e quindi sussunti
dalla pratica di valorizzazione del capitale, o, in altre parole, a livello
sistemico man mano che il capitale si fa ismo e assorbe ogni dimensione
della società estendendosi nello spazio e nei tempi della vita, esso la colonizza
con tutti i suoi desideri[5]. La messa a disposizione
di questo meccanismo impersonale, ma ‘animato’ nella forma di ‘lavoro vivo’ nel
circolo della valorizzazione, ed agente a partire dalla vitalità e dalla natura
(che sono nel Marx di Dussel i due apriori esterni), determina per questo il
sacrificio. Sacrificio che riduce l’esistenza a produrre ed esistere per il
capitale, il mercato, la realizzazione del valore[6]. Questo è un classico tema
della “Teologia della Liberazione”[7], ripreso anche nel mio Classe
e Partito[8].
Nel capitalismo, visto come pratica religiosa quale in fondo è (una forma di
vita che attribuisce culto a dei valori e promette salvezza[9]), l’opera è del tutto
distinta dalla eventuale imperfezione (e dai crimini) delle intenzioni. La
cesura avviene separando drasticamente la natura di feticcio della merce, e
l’alienazione del produttore, dal valore. Esso, il valore, diventa pienamente ex
opera operato e non c’è più traccia di altro: persone, comunità. Ma c’è
anche altro, il capitalismo include una particolare etica del merito e ideale
di perfezione. È un’utopia di società perfetta, come tale fu visto ai suoi
albori dai moralisti settecenteschi, e per ciò una cultura della colpa.
Poiché,
come insegnava Polanyi[10], il “dono” insieme alla
“gerarchia” erano gli ordinatori della società pre-capitalista, e sono
rispettivamente uccisi e nascosti dallo spirito del capitalismo. La
trasformazione del valore conduce il capitalismo ad essere essenzialmente
gerarchia senza dono, ovvero senza impegno reciproco. La particolare
logica sacrificale della quale la Teologia della Liberazione non cessa di
parlarci è a senso unico. Non si sente mai in debito e quindi tradisce sempre.
In
altri termini, il predominio inesorabile e vorace del profitto promette
evangelicamente felicità e piacere, ma nasconde un sacrificalismo spietato
travestito da promessa.
Tramite
questi meccanismi, messi in luce da Marx, la vita pratica, comune, ed anche a
livello simbolico, viene determinata dal capitale. “Determinazione” si legge
qui, con Hegel, come negazione. Ovvero come esclusione di ciò in cui non
si potrebbe determinare e negazione dei suoi potenziali altri. E ciò in
cui la vita (vitalità e natura) viene, appunto, determinata è il “valore” come
oggettivazione del lavoro. Natura e vitalità che nell’umano sono, per Marx,
sempre comunitarie. Ovvero non sono date dall’accordo tra individui che
esistono in modo antecedente ed indipendente, ma dall’essere-insieme che
produce secondo una volontà comune che è in ricambio organico con la natura[11]. Si tratta di temi
pietistici che gli arrivano via Hegel e che compaiono nel primo Marx per non
più abbandonarlo[12].
Però
bisogna capirsi: il capitale non è il denaro. In un certo senso, anzi,
ne è la negazione (qui il paradosso, spesso rilevato, del continuo movimento di
patrimoni enormi, che basterebbero per generazioni); si deve sempre trasferire
in lavoro (“morto” e “vivo”), per ripresentarsi (determinandosi) come merce. Ma
la merce è solo potenziale, essa stessa deve realizzarsi nella circolazione (il
pluslavoro in plusvalore e quindi profitto). È un grande processo, un turbinio
distruttore, nel quale da una parte si determina un ‘essere’, il valore,
e dall’altro un ‘non essere’, la vita. Tuttavia, è dal ‘non essere’, tuttavia
‘reale’, che scaturisce tutto. Il valore quindi crea dal nulla. Ma il
nulla del capitale, in questo rovesciamento di Hegel a partire da Schelling, è in
effetti l’autentica soggettività e ciò che produce il ‘valore’. Sono le vite
esterne, le porzioni ancora esterne delle nostre vite, ad essere ciò a
partire dal quale si può dare ancora ‘valore’. Il sangue che può ancora essere
estratto dal vampiro.
Ciò
che accade è perciò la messa dentro (del circuito di valorizzazione) di ciò che
è fuori. Dell’essere dal non essere[13]. Determinandolo al fine
come “lavoro morto”. Per questo la critica della totalità del movimento del
capitale, di Marx, è condotta a partire dalla sua esteriorità[14]. Da ciò che non ha
prezzo.
Ciò
che fa è trasformare la persona in strumento di valorizzazione, quindi in cosa,
e la cosa in una nuova e ‘persona’ (il capitale stesso)[15].
Se
si sposta tale tema sul piano del concatenamento dei capitali mondiali compare
il tema della ‘Teoria della dipendenza”. Perché ciò che determina la
crescita del capitale è proprio il trasferimento del valore a partire da ciò
che nel mercato è ancora escluso (o sotto-valorizzato). E ciò avviene nel
circolo tra produzione e consumo, ovvero distribuzione e realizzazione. Come
scrive Marx nei Grundisse, la struttura della distribuzione è internamente
determinata dalla struttura della produzione, e ciò va necessariamente e sempre
visto a livello del sistema-mondo (al quale, solo, si chiudono gli anelli di
valorizzazione nel tempo). “Se si considerano intere società, la distribuzione
sembra ancora per un altro aspetto precedere e determinare la produzione; per
così dire, come fatto pre-economico”[16]. Come scrive “produzione,
distribuzione, scambio, consumo sono tutti momenti di una totalità”[17], denaro, capitale
costante, capitale variabile, mezzo di produzione, lavoro, plusvalore, tempo
necessario, prodotto, merce, sono in questa totalità determinazioni del
‘valore’.
E
sempre, su un altro piano, vita umana (e natura) oggettivata.
[1]
– Enrique Dussel, Marx e la modernità, Castelvecchi, Roma, 2024, p. 18.
[2]
– Karl Marx, Il capitale. Vol. I, Editori Riuniti, Roma, 1980, (da
ultimo 1890), p.267.
[3]
– Ivi, p. 268.
[4]
– Antonio Martone, “Il capitalismo perde il ‘pelo moderno’ ma non il vizio”,
L’Interferenza, 2 aprile 2024 (www.linterferenza.info).
[5]
– Questo è il tema centrale del lavoro di Karl Polanyi.
[6]
– Enrique Dussel, op.cit., p. 49
[7]
– Cfr. ad esempio, Gustavo Gutierrez, Teologia della liberazione,
Editrice Queriniana, Brescia, 2012 (ed or. 1971), p.38.
[8]
– Alessandro Visalli, Classe e partito. Ridare corpo al fantasma del
collettivo, Meltemi, Milano, 2023, p. 104
[9]
– Dando risposta alle stesse domande e radicandosi negli stessi tormenti ai
quali dà risposta la religione.
[10]
– Si veda, ad esempio, Karl Polanyi, La sussistenza dell’uomo. Il ruolo
dell’economia nelle società antiche, Mimesis Edizioni, Sesto San Giovanni,
2020.
[11]
– Cfr. l’interessante interpretazione di Kohei Saito, L’ecosocialismo di
Karl Marx, Castelvecchi, Roma 2023.
[12]
– Cfr. Enrique Dussel, Le metafore teologiche di Marx, Schibboleth
edizioni, Roma, 2018, p. 72
[13]
– Dussel, Marx e la modernità, op.cit., p. 85
[14]
– Ivi, p. 113
[15]
– Ivi, p. 129
[16]– Karl Marx, Lineamenti fondamentali di critica
dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1976 (1857-58), cit. in Dussel,
op.cit., p. 66.
[17] – Marx, Ivi, p. 23.