Ieri sera nel salotto di Floris
il padre di Ilaria Salis ha pronunciato le seguenti parole: “Mia figlia è in
carcere perché è una donna, perché è antifascista e perché non è ungherese”.
Ora, un padre direbbe e farebbe
di tutto pur di tirar fuori la propria figlia dalla galera, e questo ci sta
tutto ed è ciò che lo nobilita. Dopo di che se crede o meno in ciò che dice o
sia solo una escamotage per aiutare la figlia non lo sappiamo perché non siamo
nella sua testa e, tutto sommato, è anche irrilevante saperlo.
Chiarito questo, lo spropositato can
can mediatico che questa vicenda in sé e per sé insignificante sotto il profilo
giudiziario ha scatenato è dovuto in larga parte proprio al fatto che si tratta
di una donna. Se infatti, si fosse trattato di un uomo, sarebbe stato
considerato come un pericoloso e violento estremista in primis da quell’Unione
Europea che finge di indignarsi per le condizioni di detenzione della stessa
Salis e della loro spettacolarizzazione (le catene ai piedi e alle mani,
portata al guinzaglio da una guardia come un cane). La stessa “sinistra” che
soprattutto in vista delle prossime elezioni europee ha fatto del caso Salis
uno dei suoi ennesimi ipocriti cavalli di battaglia, non avrebbe speso neanche
un millesimo di quell’enfasi che sta profondendo nella sua difesa se la Salis
fosse stata “un Salis”. E questo è il primo aspetto di grande ipocrisia di
tutta la vicenda.
Poi ci sono i risvolti politici,
quelli che contano veramente e che hanno fatto sì che questa vicenda si
ingigantisse oltre misura rispetto alla sua reale entità (che in sé, come
ripeto, è quasi nulla). Quali sono questi risvolti politici?
L’Unione Europea ha interesse a
tenere l’Ungheria aggrappata al suo carro – e per la proprietà transitiva a
quello americano – e per questo è disposta a sborsare una montagna di quattrini
ogni anno per il governo ungherese e a chiudere gli occhi sugli aspetti
liberticidi della legislazione di quel paese in materia di diritti. Del resto,
l’UE chiude gli occhi di fronte a contesti ben peggiori sia in casa propria – penso
alla Polonia (che è molto peggio dell’Ungheria di Orban ma è allineata e
coperta e soprattutto visceralmente antirussa) – sia fuori del proprio
orticello; penso in questo caso ad Israele e al genocidio che sta perpetrando a
Gaza con la complicità di tutti i governi europei. Figuriamoci quindi se il problema può essere
il governo ungherese che non è certamente meno reazionario di quello polacco o
italiano. Se l’UE, ipotesi per assurdo, fosse coerente con quanto proclama di
essere, cioè paladina dei diritti e della democrazia, non avrebbe dovuto permettere all’Ungheria
così come alla Polonia (che infatti prima dello scoppio ufficiale della guerra
in Ucraina era osteggiata per le sue politiche xenofobe e omofobe) di entrare a
far parte dell’Unione.
Dal canto suo Orban rivendica la
sua indipendenza e sovranità e invita l’UE a non intromettersi nei suoi affari
interni, però i quattrini a palate dell’UE li prende eccome, e in cambio non si
prende neanche un immigrato, anzi, fa circondare il paese da fili spinati,
torrette con mitragliatrici e guardie con pastori tedeschi. E naturalmente,
nello stesso tempo, strizza l’occhio a Mosca. Mutatis mutandis, potremmo dire
che ci sono degli aspetti comuni fra Orban ed Erdogan, con la differenza che il
primo non ha neanche un centesimo della potenza economica e militare del
secondo e quindi ha un peso specifico (e di ricatto) molto minore ma comunque
sufficiente per tenere in scacco l’UE che non può permettersi defezioni,
specialmente mentre è in corso la guerra in Ucraina e l’imperativo categorico è
tenere insieme tutto il carrozzone in funzione antirussa.
E’, dunque, evidente, qual è la
partita che si sta giocando. La sorte ha voluto che questa ragazza – che di
politica a mio parere capisce molto poco, altrimenti invece di andare in
Ungheria a cercare di impedire un raduno nazista (cosa in sé e per sé giusta perché
nessun paese sedicente democratico dovrebbe permettere un simile scempio, ma
sicuramente all’ultimo posto dell’agenda politica nell’attuale fase storica) sarebbe
andata a manifestare la sua rabbia a Washington, Londra, Bruxelles Tel Aviv e
Parigi – si sia trovata in mezzo ad un gioco politico infinitamente più grande
di lei e sia diventata una sorta di oggetto di trattativa politica fra il
governo ungherese, quello italiano e la stessa Unione Europea.
Questo “gioco” viene ovviamente
occultato e camuffato dai media e trasformato nel solito teatrino mediatico da
talk show per cui da una parte c’è la “sinistra” che invoca ai diritti e ad un antifascismo
stucchevole e di maniera contro il governo “fascista” ungherese, e dall’altra
la destra che sostiene il diritto di Orban a fare quel che gli pare in casa
sua. Facce della stessa medaglia, della stessa ipocrisia e soprattutto dello
stesso sistema capitalista (e imperialista) che si declina in forme politiche
diverse e in tal modo produce inevitabilmente anche delle contraddizioni. La
vicenda Salis è in realtà la vicenda “UE-Ungheria” e tale dovrebbe essere
chiamata. Reazionario è il governo ungherese e altrettanto reazionari, sia pure
in forme diverse, sono i governi europei.
In tutto ciò – dispiace dirlo
perché comunque non è bello vedere una persona in galera e in catene da ormai
un anno e mezzo senza essere ancora processata (l’accusa mi pare tuttora fumosa
e non è ancora stata definita nei particolari) – Ilaria Salis risulta di fatto (al
di là delle sue intenzioni e delle sue convinzioni ideologiche che non conosco
ma che posso intuire) essere funzionale al versante liberal, cioè quello
egemone, dell’Unione Europea. Tutt’al più una persona ingenua che, di fatto,
viene oggi utilizzata per finalità politiche che poco o nulla hanno a che
vedere con l’antifascismo vero (che è una cosa molto seria e che hanno
praticato i nostri nonni e i nostri padri e in parte anche quelli della mia
generazione, certamente non pontificando in un salotto mediatico o digitando su
un telefonino…).
Come se ne può uscire concretamente?
A mio parere c’è una sola possibilità. Passate le elezioni europee, il governo italiano e quello ungherese potrebbero arrivare ad un accordo. Innanzitutto si tratterebbe di silenziare mediaticamente la cosa, poi di far passare un periodo di tempo fra i sei e i sette mesi, dopo di che la Salis potrebbe essere condannata ad una pena relativamente lieve (ad esempio per aver partecipato, e quindi per responsabilità morale, ma non avere materialmente agito nell’aggressione ai due neonazisti), diciamo tre o quattro anni di reclusione, ma avendone scontati già due gliene rimarrebbero uno o due che potrebbe scontare ai domiciliari, in Ungheria o in Italia. A quel punto, con i riflettori spenti e le acque che si sono calmate, questa soluzione potrebbe essere una via d’uscita che salverebbe la faccia sia del governo ungherese che di quello italiano.
Lo faranno? Questo non sono in
grado di dirlo, dipende anche dall’evoluzione della situazione politica europea
in seguito alle elezioni, dall’andamento della guerra in Ucraina, da quanto
Orban sarà in grado di reggere il braccio di ferro con chi lo tiene in vita
finanziariamente, cioè l’UE, e da chi prevarrà nelle prossime elezioni presidenziali
in USA.