La Bielorussia resterà al fianco di Putin?

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25 marzo 1918: viene proclamata la cosiddetta Bielaruskaja Narodnaja Respublika (Repubblica popolare bielorussa, nei passaporti della stessa, in francese, definita Repubblica nazionale bianco-rutena), tradizionalmente festeggiata dagli ambienti ”nazionalisti” a partire dal 1989-1991 e, in esilio, anche prima.

Appunto per questo, l’anniversario fu ignorato dall’attuale governo – al potere dal 1994 – sin verso il 2008. In quell’anno gli osservatori più attenti notarono un mutamento di prospettiva, dapprima impercettibile, che divenne più evidente nel 2012 e soprattutto nel 2014, nel senso che il presidente Aliaksandr Lukašenka iniziò con abilità ad appropriarsi anche del 25 marzo (che resta peraltro, de iure, un giorno come tutti gli altri), nell’ambito di una ripresa delle tradizioni culturali e linguistiche bielorusse che sono state neglette, se non combattute, dal 1995 fino al 2008.

Il tutto – e qui sta l’aspetto interessante – in una lenta, parziale ma costante politica di differenziazione da Mosca financo in politica estera, che risulta evidente nel 2014 sulla questione ucraina in cui sono balzate agli occhi differenze fra Putin e Lukašenka che non vanno sopravvalutate, in quanto il legame con Mosca – sentito dalla maggioranza dei bielorussi – resta fondamentale, ma nemmeno sottovalutate.

Il grado di ufficialità con cui il 25 marzo si celebrerà quest’anno sarà quindi una buona cartina di tornasole, anche se indiretta, dei reali obiettivi di politica estera e interna del presidente Lukašenka nell’attuale fase politica.

Non sarà quindi del tutto fuori luogo accennare brevemente alla storia bielorussa per meglio comprendere il ruolo del 25 marzo 1918, sia come avvenimento storico sia come simbolo dell’oggi e, in generale, dell’epoca post-sovietica.

Le terre che oggi chiamiamo bielorusse, un tempo incluse nella Rus’ antica (principato di Polack) ma sotto sovranità lituana da Gediminas (1315-1341) e in parte sin da Mindaugas (metà XIII secolo), restarono lituane sino al 1772-1793-1795, ovvero all’epoca delle tre spartizioni della Rzeczpospolita di Polonia-Lituania. L’Unione di Lublino del 1.7.1569 aveva unito la Lituania alla Polonia, già in unione dinastica dal 1386 e definitivamente dal 1501, ma le terre bielorusse restarono lituane, a differenza di quelle ucraine trasferite in quell’occasione alla Corona cioè alla Polonia. Molti vedono nel confine del 1569, che è in sostanza l’attuale confine bielorusso-ucraino, la precondizione per la lenta costituzione di una nazionalità bielorussa distinta anche linguisticamente dagli ucraini, conglobati in precedenza sotto il nome di ”ruteni”, nome con cui si indicavano gli Slavi orientali non-moscoviti e che sarà ancora usato in modo estensivo pure in seguito anche se ai bielorussi verrà crescentemente aggiunto il qualificativo ”bianchi”, donde ”bianco-ruteni” e ‘”Rutenia bianca”.

L’Impero russo divise le terre oggi bielorusse in cinque governatorati: Viciebsk e Mahilio? (la Russia bianca propria in quell’epoca, russa fin dal 1772); Minsk (russa dal 1793); Hrodna e Viĺnia (Vilnius, oggi in Lituania), russe dal 1795.

La rinascita nazionale fu però lentissima (le élites restarono polonofone mentre nel popolo si fece sentire la russificazione specialmente fra il 1863 e il 1905) e ancora nel 1900 era solo embrionale, come la stessa lingua nonostante alcune personalità ottocentesche come il rivoluzionario Kastuś Kalino?ski e il letterato Francišak Čačat.

Le cose cambiarono solo dopo la rivoluzione del 1905, come in molti altri luoghi della Russia, e nel decennio successivo vi fu un discreto movimento nazionalista bielorusso, anche se meno vigoroso di quello coevo ucraino e di quello lituano. Da notare che, ancor più che in Ucraina, nelle terre bielorusse la popolazione che si definiva bielorussa o bianco-rutena viveva soprattutto nelle campagne ed era minima nelle città, Minsk e Viĺnia incluse, nell’ultima delle quali erano pochissimi pure i lituani, circa il 2 % all’epoca del censimento del 1897.

Un grande ruolo lo ebbe il giornale Naša Niva dal 1906, in cui scrivevano soprattutto bielorussi di estrazione cattolica; la cosa è evidente ancora oggi perché, in generale, i bielorussi occidentali, molte volte di educazione cattolica, sono più nazionalisti dei bielorussi orientali di tradizione ortodossa; in Bielorussia occidentale ci sono molti cattolici di rito latino e del resto sino al 1839 tutti i bielorussi o quasi (tranne nell’estremo sud-est) erano uniti, ovvero appartenenti alla chiesa Uniate, ma lo zar Nicola I abolì l’Unione religiosa stabilita nel 1596 a Brest e molti tornarono ortodossi mentre altri, soprattutto nel governatorato di Minsk, divennero cattolici latini, cioè ‘polacchi’ nel linguaggio dell’epoca.

I tedeschi nella Prima guerra mondiale occuparono nella tarda estate del 1915 i governatorati di Hrodna e Viĺnia e parte di quello di Minsk (la città però rimase russa sino a Brest-Litovsk e fu anche sede di un comando di Fronte russo nella guerra); dopo la Rivoluzione bolscevica, il potere sovietico fu proclamato immediatamente anche a Minsk (la presenza di molti soldati la rendeva particolarmentre ”rossa”) ma i nazionalisti bielorussi (alcuni di tendenza socialista, altri di tendenza liberale, altri ancora cristiano-democratici) si organizzarono anch’essi e dopo l’occupazione tedesca del febbraio 1918 (i bolscevichi evacuarono Minsk il 18.2.1918) crearono dapprima una Rada (9.3.1918) e poi il 25.3.1918 proclamarono la citata BNR (Repubblica popolare bielorussa), con bandiera bianco-rosso-bianca (la stessa bandiera ufficiale in vigore dal settembre 1991 al maggio 1995 e abolita da Lukašenka, che ora però -e anche questo è un segnale interessante con possibili connotazioni geopolitiche- è tornato a tollerarla).

La BNR fu il primo Stato bielorusso della Storia moderna (il secondo per alcuni nazionalisti che ascrivono ai bielorussi il Granducato di Lituania) e ha quindi un’enorme importanza simbolica anche se all’atto pratico volle dire poco: la Bielorussia era sotto occupazione tedesca, ma la Germania non la riconobbe diplomaticamente; inoltre il 9.12.1918 gli ultimi tedeschi, già sconfitti ad Occidente, evacuarono Minsk ed il giorno dopo vi rientrarono i bolscevichi).

Diversi studiosi (ad esempio, ma non solo, http://belarusjournal.com/article/grand-duchy-lithuania-belarusian-democratic-republic-idea-belarusian-statehood-1915-1919-234) ritengono che se Lenin decise di optare, per il centro delle terre bielorusse (area di Minsk), per una repubblica federata, anziché includerla nella Russia sovietica come diversi militanti del Partito avrebbero voluto e come fu effettivamente fatto, all’inizio, per gli ex-governatorati imperiali di Viciebsk e Mahilio, ciò avvenne proprio a causa della vitalità potenziale del nazionalismo bielorusso rivelato dalla pur effimera BNR. L’esperienza della BNR, per alcuni studiosi, non fu inutile perché senza la BNR non ci sarebbe stata neppure (dal 1.1.1919 e restaurata il 31.7.1920) la BSSR, cioè la Bielaruskaja Savieckaja Sacyjalistyčnaja Respublika (all’inizio nota come SSRB)

Dopo la guerra con la Polonia che finì con la pace di Riga del 18.3.1921, peraltro già stata regolata con un armistizio nella stessa città sei mesi prima, le terre bielorusse furono divise fra la Polonia (Bielorussia occidentale, cioè voivodati polacchi di Vilnius, Navahrudak, Brest e Bielastok-Białystok che oggi è in buona parte polacca) ed i sovietici (Bielorussia orientale, cioè BSSR, con capitale Minsk, che comprendeva la parte rimasta sovietica della BNR, cioè in essenza la parte sovietica del vecchio governatorato russo di Minsk).

La BSSR fu allargata (a spese della RSFSR, Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa) ad est nel 1924 (Viciebsk, Polack, Mahilio?) e a sud-est nel dicembre 1926 (Homieĺ, proprio l’area da cui proviene Lukašenka, la più russificata) tanto da raggiugere i confini orientali attuali.

Negli anni ’20 la politica di ”bielorussificazione” attuata in BSSR ottenne grandi successi (fra le figure più importanti, Usevalad Ihnatoski) e fu appoggiata anche da vari esponenti della BNR in esilio, alcuni dei quali tornarono. Casi simili, e più noti, avvennero nella stessa epoca in Ucraina dove tornò dall’esilio anche il notissimo storico Myxajlo Hruševs’kyj (nella Polonia di Piłsudski, invece, la cultura bielorussa ed ucraina erano represse).

La politica cambiò nel 1930-1931 – epitomizzata dal cambiamento ortografico del 1933 che avvicinò il bielorusso al russo; nello stesso anno ci fu anche una riforma ortografica in Ucraina, di stesso segno – e in Bielorussia la repressione delle correnti nazionaliste fu non certo lieve.

Durante l’occupazione tedesca (1941-1944) la BNR non fu restaurata, ma la bandiera bianco-rosso-bianca tornò a sventolare ed il 27 giugno 1944 si tenne a Minsk un Congresso nazionalista pan-bielorusso. Ma ormai si era fuori tempo massimo, dato che il 3 luglio 1944 i sovietici tornarono a Minsk. Il giorno della riconquista di Minsk da parte dell’Armata Rossa è attualmente la festa nazionale della Bielorussia.

Negli anni post-bellici, specialmente dopo il 1956, iniziò una forte russificazione (talora spontanea, o comunque non ordinata da Mosca) che raggiunse il suo apice nel periodo della stagnazione brezneviana. In Bielorussia la russificazione fu minore anche grazie a figure locali molto prestigiose quali il Primo segretario del KPB originario della voblasć di Viciebsk, Piotr Mašera, morto nel 1980 in un incidente stradale da alcuni ritenuto sospetto. Anche dal punto di vista economico la situazione della BSSR era fra le migliori dell’URSS.

In Bielorussia la perestrojka iniziò in ritardo, solo nel 1988, e il Fronte Popolare bielorusso dovette essere fondato, nel 1989, nella vicina Vilnius, città peraltro ritenuta bielorussa dai nazionalisti bielorussi il che non ha facilitato l’intesa con i lituani; fra i suoi dirigenti c’era Zianon Paźniak, di estrazione cattolica e in esilio dal 1996.

Dopo i noti fatti avvenuti a Mosca nell’agosto del 1991, i simboli della BNR furono ufficialmente riadattati nel settembre 1991, all’epoca di Stanislao Šuškievič (presidente del Viarchoni Saviet dal settembre 1991 al gennaio 1994, allorché fu deposto) anch’egli di estrazione cattolica (come del resto l’allora Primo Ministro, 1990-1994, e suo rivale Viačasla Kiebič) ed in quel periodo la BNR venne esaltata in articoli, opere storiche, cerimonie…

Restò però un’esperienza parziale perché un gran numero di bielorussi russofoni e pro-sovietici, non vedevano nulla da celebrare e Lukašenka salito al potere con le elezioni del 1994 si affrettò ad abolire i simboli della BNR nel maggio 1995, dopo un referendum popolare, restaurando quelli sovietici, ma lievemente modificati, senza falce e martello e senza ”proletari di tutto il mondo unitevi”.

Per una dozzina d’anni il ricordo della BNR fu limitato ai gruppi, sempre più sparuti, dell’opposizione nazionalista o filo-occidentale, che organizzavano ogni 25 marzo piccoli cortei (in genere disertati o quasi) cui seguivano ogni tanto scontri con la milizia.

Dal 2007, in modo lento, selettivo ma progressivo, Lukašenka ha però gradualmente rivisto la sua posizione sul 25 marzo anche se finora mai in modo ufficiale e inequivocabile.

La stampa ufficiale e ufficiosa ha iniziato a ricordare gli avvenimenti del 25 marzo 1918; alcuni esponenti governativi hanno partecipato, seppur a titolo privato, a cerimonie di commemorazione; talvolta è stata sventolata la bandiera bianco-rosso-bianca (vietatissima per un quindicennio dopo il 1995) e, più frequentemente, la pahonia, ovvero il simbolo simil-lituano anch’esso legato all’esperienza della BNR, che fu stemma di stato dal 1991 al 1995 e che è praticamente eguale allo stemma della Repubblica di Lituania, il vytis, il che non stupisce perché entrambi derivano dall’esperienza storica del Granducato di Lituania.

Lukašenka ha inoltre fatto dichiarazioni a favore della specificità della cultura bielorussa criticando, in rarissime occasioni, ”l’invadenza” russa e ha reintrodotto in molte città la toponomastica in lingua bielorussa; il suo ministro della Cultura, specialmente dalla metà del 2009, ha valorizzato la lingua bielorussa, a rischio ormai di estinzione.

Il presidente Lukašenka, uomo indubbiamente saggio e benvoluto dal popolo – per quanto i suoi modi possano dispiacere all’Occidente – sta quindi cercando una sintesi fra il tradizionale patriottismo bielorusso-sovietico, da lui non rinnegato e sempre messo in prima linea e il nazionalismo bielorusso, ultimo nato fra i nazionalismi della parte occidentale dell’Impero russo (se escludiamo quello moldavo, ma lì il problema è diverso), recuperando e integrando molte tradizioni, allo scopo di rafforzare l’indipendenza e la nazionalità del suo Stato; ciò gli potrebbe anche servire per acquisire maggiore consenso nella popolazione di estrazione cattolica (solo una parte della quale è religiosa, ma ha un’eredità culturale cattolica), tradizionalmente più sensibile al nazionalismo bielorusso che fu in gran parte un suo prodotto.

Che il governo desideri rafforzare i legami anche con la Santa Sede lo dimostra la visita a Minsk fatta il 12 marzo 2015 dal Cardinale Parolin, Segretario di Stato, che ha ricevuto una copertura importante nel sito ufficiale del ministero degli Esteri.

Tutto questo significa che Lukašenka voglia abbandonare, in futuro, l’amicizia con la Russia ?

Non lo pensiamo: coloro che si illudono o temono, a seconda dei punti di vista, che vi sia o vi sarà una rottura fra Minsk e Mosca commettono, a nostro parere, un grave errore di giudizio.

Lukašenka vuole senza dubbio mantenere i legami privilegiati e storici con i russi, ma vuole nello stesso tempo rendere chiaro che la nazionalità bielorussa ha una sua dignità e specificità che va coltivata e non negata.

Lukašenka, ci sembra, vuole dimostrare che è possibile, per un popolo slavo orientale, avere orgoglio nazionale e, al tempo stesso, mantenere il legame forgiato da secoli di storia comune con la Russia.

Riusciranno Lukašenka e la Bielorussia a portare a termine questa politica nazionalista e di amicizia verso la Russia? Oppure la situazione sfuggirà di mano e prevarranno gli occidentalisti?

Solo il futuro potrà rispondere a queste domande, ma già il modo con cui le autorità tratteranno l’anniversario del 25 marzo potrà servire per capire le tendenze in atto.

Massimo Vassallo

Paolo Torretta

 

 

2 commenti per “La Bielorussia resterà al fianco di Putin?

  1. armando
    20 Marzo 2015 at 11:23

    Vedremo, ma se la Bielorussia intende riaffermare la sua specificità nazionale nell’ambito di un’amicizia con la Russia, non vi vedo nulla di male, anzi. D’altra parte non mi risulta che Putin voglia russificare a forza nessuno. Altro sarebbe se nella questione ci fosse lo zampino della Nato e degli americani per destabilizzare la regione.

  2. armando
    7 Maggio 2015 at 14:14

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