Nel febbraio 2022 (lo scrissi già all’epoca) Vladimir Putin assunse forzatamente l’iniziativa, reputando un azzardato salto nel buio meno pericoloso della supina accettazione dell’imminente insediamento di truppe e missili NATO a un tiro di schioppo da Mosca. La dimostrazione di forza avrebbe dovuto convincere gli ucraini a scendere a più miti consigli, ma i conti non vanno mai fatti senza l’oste, in veste stavolta di sponsor e “suggeritore”.
Alla luce degli avvenimenti successivi direi che, dopo il sabotaggio angloamericano dei colloqui di pace della primavera 2022, il presidente russo ha optato in Ucraina per una guerra convenzionale, prolungata e a bassa intensità (malgrado l’ecatombe di uomini in divisa).
La scommessa si basava sull’ipotesi che USA e sottordini avrebbero sì sostenuto gli ucraini, ma in maniera poco più che simbolica, per poi tirarsi indietro come hanno fatto (dopo lustri, però!) in Iraq e in Afghanistan. In effetti le copiose forniture militari a Kiev non sono bastate a garantire un’improbabile vittoria totale (terrestre) sulla Russia, ma la sbandierata volontà di riconquista delle regioni annesse, Crimea compresa, non corrispondeva probabilmente alle reali intenzioni. I piani dovevano essere più complessi, subdoli e ambiziosi.
Nell’ultimo periodo la strategia della NATO si va chiarendo: a interessare non sono le vicende sul campo propriamente detto, dove l’esercito russo lentamente avanza, ma l’erosione di risorse più difficili da rimpiazzare rispetto agli sventurati fantaccini sbattuti in prima linea. È sugli attacchi a porti, infrastrutture, navi militari e aerei “paganti” (in particolare gli AWACS) che gli specialisti occidentali si vanno concentrando, con risultati che nel medio termine potrebbero rivelarsi – se non decisivi – perlomeno assai rilevanti, e tali da influenzare gli esiti di un futuro e verosimilmente programmato “scontro finale”.
L’asticella si alza di giorno in giorno, e la riluttanza russa a reagire ad azioni sempre più sfrontate che hanno “nome, cognome e firma” costituisce un incentivo a proseguire senza remore nella direzione intrapresa.
Considerato che per gli strateghi d’oltreoceano l’annichilimento della Federazione val bene il rischio – magari sottovalutato, ma nient’affatto escluso – della distruzione delle principali città europee, la prospettiva di colpi sempre più formidabili e clamorosi (e non solo in Crimea e nei territori di frontiera: anche nel Baltico, ad esempio) non è affatto remota, anche perchè la NATO dispone degli strumenti per condurre un fulmineo e devastante assalto combinato su più fronti. Invero la babele di rivelazioni uscite in questi giorni e gli apparenti contrasti – o piuttosto il battibecco mediatico – tra “statisti” vassalli degli USA sembrano mirare a confondere opinioni pubbliche giustamente impaurite dall’escalation in corso, ma soprattutto a disorientare l’avversario, che non sa più cosa aspettarsi.
La rana seguita imperturbabile a nuotare, ma l’acqua sta arrivando al punto di bollitura – e la temperatura potrebbe raggiungere i 100 gradi in un istante, senza alcun esplicito preavviso.
La partita è nelle mani del c.d. Occidente, che può stravincere anche perdendo per strada mezza dozzina di Avdeevka e Kramatorsk, per non parlare di insignificanti villaggi senza nome: in fondo l’Ucraina è per Washington soltanto un paraurti, un sacrificabilissimo bene strumentale.
Zavorrata dalle imminenti elezioni la leadership russa si trova di fronte a un bivio: o accelera il passo e costringe l’Ucraina alla capitolazione (ma come? Il Paese “aggredito” non ha voce in capitolo sul punto…) oppure si rassegna a un confronto sempre più aspro e sbilanciato con un’alleanza che, oltretutto, può cambiare e riscrivere le regole del sanguinoso”gioco” a piacimento.
Insomma: o si riesce a invertire in extremis l’inerzia sfavorevole con una vincente contromossa a sorpresa (ma, sia chiaro, “convenzionale”) o si aspetta con rassegnazione che l’avversario cali l’asso al momento opportuno e incameri l’intera posta, forse sin dall’inizio troppo elevata per lo sfidante.
Confidare nelle arti di una diplomazia relegata ai margini è da illusi: l’Occidente non intende affatto trattare, puntando alla resa a discrezione del nemico vinto.
Come finirà? O la Russia trova il modo di sparigliare le carte, persuadendo Washington della sua determinazione senza ricorrere al jolly disperato dell’atomica, oppure si aprono due scenari: il primo è il ritorno a un unipolarismo ancor più brutale del precedente e senza diritto di replica, il secondo la fine della civiltà umana come la conosciamo.