Andare controcorrente è uno dei pregi di Sarah Wagenknecht. La ormai ex leader della Linke tedesca, dopo una lunga battaglia interna, alcuni mesi fa ha rotto gli indugi e ha abbandonato insieme ad altri il partito, colpevole di una svolta liberale e cosmopolita, non più attenta alle lotte sociali, tradizionale patrimonio della storica sinistra tedesca operaista e socialdemocratica. Questa rottura è stata preceduta dalla pubblicazione in Germania nel 2021 di un suo libro (“Contro la sinistra neoliberale”) che ha fatto molto discutere e che è stato pubblicato nel maggio 2022 dai tipi di Fazi in Italia.
Va subito detto che da quando è stato scritto il libro di acqua sotto i ponti ne è passata veramente tanta.
A soli tre anni dalla sua pubblicazione uno sconvolgimento sistemico degli equilibri geopolitici ha ridisegnato le mappe dello scontro internazionale. L’inizio dell’operazione militare speciale russa in Ucraina in difesa delle popolazioni russofone del Donbass, l’estensione del conflitto alla NATO che dirige e sovraintende lo sforzo bellico ucraino, la distruzione delle linee strategiche di approvvigionamento del gas tra Russia ed Europa e la guerra di sterminio israeliana a Gaza di questi mesi con scenari di allargamento mediorientale, segnano un cambio epocale della prospettiva politica, anche interna, di quei movimenti “antisistema” che si muovono nel continente europeo. Il libro fa i conti solo in parte con gli effetti nefasti della crisi pandemica scoppiata nel 2020 e rientrata in sordina in corrispondenza con le note vicende del febbraio 2022. I tratti generali dell’analisi politica e sociale che l’autrice fa della situazione tedesca, e che si potrebbero estendere all’ Europa occidentale, vengono confermati, anzi rafforzati, osservando le posizioni assunte dalla larga parte dei ceti politici che dirigono la sinistra “progressista” liberale e “radicale”. Possiamo dire che la guerra mondiale in corso tra mondo occidentale e mondo orientale vede questa sinistra, basti pensare ai socialdemocratici e i Verdi tedeschi, ma senza dimenticare i nostrani PD e cespugli vari, in larga parte sostenitrice attiva delle scelte guerrafondaie atlantiche, e animate da uno spirito di presunta superiorità morale e culturale verso gli altri mondi. Fatta questa premessa, il libro ha il pregio di analizzare concretamente e con un linguaggio molto semplice le contraddizioni fondamentali del pensiero della sinistra alla “moda”, corrispondente alla nostrana sinistra del ceto medio riflessivo abitante nella ZTL delle grandi città metropolitane. Va apprezzato il coraggio con cui un personaggio storico della sinistra socialista tedesca, animatrice di battaglie storiche, abbia deciso di prendere il toro per le corna. La sua tesi parte dalla constatazione dell’avvenuta e compiuta mutazione genetica di gran parte dei gruppi dirigenti della sinistra storica che ha portato al tradimento della propria base sociale, fatta di lavoratori a basso reddito dei servizi e della classe operaia che negli ultimi trent’anni hanno subito tutte le controriforme del liberismo economico e il progressivo spostamento delle battaglie politiche e culturali verso i temi dei diritti individuali e delle minoranze sessuali, abbandonando completamente il campo della lotta per la difesa del lavoro pubblico e privato, della sanità e delle condizioni sociali generali delle classi subalterne.
La Wagenknecht non solo enumera molti dati ed esempi a dimostrazione di questa tesi ma dedica anche un capitolo alla definizione dei nuovi soggetti sociali che rappresentano la base elettorale di consenso di questa sinistra liberale, cosmopolita e alla moda. Questo punto è molto importante perché non si rimane nel vago, in una critica superficiale, ma si analizzano i gruppi sociali che dal liberismo hanno guadagnato posizioni economiche e di prestigio e che molto spesso hanno un atteggiamento di presunta superiorità morale verso i lavoratori a bassa scolarizzazione, verso quella parte di proletariato dei servizi che subisce la “modernità” liberista. E’ opportuno riportare questo passo che introduce la tesi del libro: “Due persone che vengono da diversi ambienti sociali hanno sempre meno cose da dirsi proprio perché vivono in mondi differenti. Se i borghesi laureati e benestanti delle grandi città riescono ancora a incrociare nella vita reale chi è meno fortunato, lo fanno solo grazie al prezioso lavoro di mediazione del settore dei servizi, in grado di offrire loro chi gli fa le pulizie in casa, chi gli recapita i pacchi e chi gli serve il sushi al ristorante. Le bolle non esistono soltanto nei social media. Quarant’anni di liberismo economico, di smantellamento dello Stato sociale e di globalizzazione hanno spaccato a tal punto le società occidentali che la vita reale di molti si muove ormai soltanto nella bolla in cui è situata la propria classe. La nostra società, apparentemente aperta, in realtà è piena di muri” (p.13)
Questo passo afferma una piccola verità quotidiana che segna profondamente la vita sociale e psicologica di una grande parte del proletariato scomposto e frammentato che ormai prevale nelle grandi aree urbane. L’incomunicabilità sociale, la divisione quasi atomistica del tessuto delle classi subalterne è una delle grandi questioni con cui dovrà fare i conti una sinistra che voglia parlare al variegato mondo dei lavoratori tipici e atipici, comunque subordinati, come proprio principale punto di riferimento.
Ma vediamo cosa intende precisamente la Wagenknecht per sinistra alla moda: “L’immaginario pubblico della sinistra sociale è dominato da una tipologia che definiremo da qui in avanti sinistra alla moda, in quanto chi la sostiene non pone più al centro della politica di sinistra problemi sociali e politico economici, bensì domande riguardanti lo stile di vita, le abitudini di consumo e i giudizi morali sul comportamento. Questa offerta politica di una sinistra alla moda mostra la sua forma più pura nei partiti verdi, ma è diventata una corrente dominante anche in quelli socialdemocratici, socialisti e di sinistra un po’ tutti i paesi.”
Ecco, qua vanno dette alcune cose come precisazioni. Premesso che il ragionamento di fondo risponde alla reale mutazione della sinistra socialista, socialdemocratica o ex comunista, poi i contesti nazionali segnano anche delle diversità secondarie ma non irrilevanti. Ad esempio in Germania i Verdi hanno una storia politica e un radicamento sociale che non è paragonabile al nostro paese ma anche ad altri come la Francia. Anzi, in Italia la sinistra ex comunista, ex socialdemocratica (dipende dai punti di vista) ha fatto ben altro che limitarsi ad abbandonare le proprie classi di riferimento, sono stati agenti attivi delle peggiori controriforme sociali, del peggiore liberismo privatista, governando contro le classi popolari. Contemporaneamente a questa lunga macelleria sociale i gruppi dirigenti della “sinistra” si sono rifatti una verginità sostenendo l’immaginario europeista, le battaglie per le libertà sessuali e per lo stile di vita moderno come segni distintivi della sinistra “moderna” del XXI secolo. La natura di questa mutazione è profondamente sociale prima che politica. Questo aspetto è ben tratteggiato nel libro della Wagenknecht, in cui è dedicato un capitolo sulla base sociale di questa sinistra cosmopolita, europeista e “progressista”. Stiamo parlando della sinistra o più precisamente delle sinistre europee, che sono liberiste in economia, sostenitrici dell’architettura politica dell’UE e della narrazione della presunta superiorità democratica e di civiltà dell’europeismo, in politica estera proni satelliti dell’atlantismo anglo americano, nella società sostenitori delle campagne di opinione sui diritti individuali, strumentali partner dei mondi femministi e ambientalisti. Ecco, tutto ciò non ha più nulla a che fare con il vecchio mondo della sinistra novecentesca, comunista o socialdemocratica, operaia e del lavoro dipendente, anche se troviamo che spesso i gruppi dirigenti, almeno in Italia, provengono da quel mondo. Ecco un altro passo illuminante della Wagenknecht che nei suoi tratti generali definisce un paradigma, un tipo sociale e un carattere politico: “Il rappresentante della sinistra alla moda vive in un mondo completamente diverso e si definisce in base ad altri temi. E’ cosmopolita ovviamente a favore dell’Europa, anche se poi ciascuno intende queste parole d ‘ordine in modo leggermente diverso. Si preoccupa per il clima e si impegna in favore dell’emancipazione, dell’immigrazione e delle minoranze sessuali. E’ convinto che lo Stato nazionale sia un modello in via di estinzione e si considera cittadino del mondo e senza troppo legami con il proprio paese…” e ancora: “Dal momento che l’esponente della sinistra alla moda non viene quasi mai direttamente in contatto con le questioni sociali, esse lo interessano assai poco. Naturalmente l’obiettivo rimane una società giusta e priva di discriminazioni, ma il cammino per arrivarci non passa più attraverso i vecchi temi dell’economia sociale, ovvero stipendi, pensioni, tasse e ammortizzatori per la disoccupazione, bensì soprattutto attraverso simboli e linguaggio”.
Ma torniamo ai ceti sociali di riferimento, rimanendo sulla situazione tedesca di cui parla Wagenknecht.
Il consenso attivo e passivo di questa sinistra si radica tra i laureati del ceto medio che lavorano nell’amministrazione pubblica, con incarichi medio alti, professionisti della comunicazione e del marketing, nei servizi finanziari che lavorano nel sociale, nelle imprese della mobilità green, pezzi della burocrazia sindacale e il variegato mondo degli ambientalismi e delle culture alternative. In questo milieu cresce e prospera una narrazione postmoderna, dei mille linguaggi, del vago pacifismo, dell’odio verso ogni recupero di una sovranità nazionale e popolare, etichettato sempre e comunque come un residuo reazionario e di destra e alfieri convinti dell’astratto europeismo che non significa altro che un cosciente e interessato sostegno alle politiche liberiste di Bruxelles.
Insomma, questa sinistra ha mutato forma e contenuto rispetto alle sue origini. Ha scelto di rappresentare gli interessi, le aspettative e i sentimenti di quei ceti che sono usciti vincitori e/ o garantiti dalle trasformazioni sociali degli ultimi decenni. Fatte queste brevi incursioni nella deriva del mondo delle sinistre politically correct e compatibiliste, il valore aggiunto della riflessione della socialista tedesca sta nelle parti dedicate alla questione dello Stato nazionale e del suo recupero nella lotta politica e nell’immaginario collettivo per l’emancipazione sociale delle classi subalterne. Se oggi non si affronta anche nettamente questa contraddizione, si rimane inevitabilmente, volenti o nolenti, consciamente o inconsciamente, in buona o in malafede, nella subordinazione totale agli interessi del grande capitale. Premesso che la vulgata di sinistra, anche e soprattutto radicale, secondo cui il richiamarsi a una sovranità nazionale sarebbe antistorico, come minimo, e ideologicamente decisamente a destra se non fascista, questo modo di vedere le cose è spesso prodotto di ignoranza totale della storia del movimento operaio e socialista internazionale. E questo sarebbe il meno, visto l’andazzo generale dalle nostre parti. Il punto è che richiamarsi ad un internazionalismo dei popoli vago e generico è nel migliore dei casi segno di inguaribile estremismo senile, e nel peggiore dei casi significa lavorare per il nemico.
Il nodo è assolutamente cogente soprattutto alle nostre latitudini e la guerra della Nato alla Russia conferma la necessità di riaprire un dibattito serio nelle fila di una sinistra popolare e di classe, se esiste. Soprattutto se consideriamo che il nostro paese è una nazione a sovranità limitata, non solo perché sono presenti sul nostro territorio decine di basi militari americane, ma essenzialmente perché ogni decisione degna di rilevanza è prima approvata e ratificata dalle oligarchie anglosassoni e dalla potente lobby israelo-sionista. Possiamo fare spallucce di fronte a questa realtà o limitarci a vaghi slogan sull’internazionalismo senza frontiere?
Ciò detto, non mancano punti deboli nell’impianto propositivo della Wagenknecht. Innanzitutto rimane molto in superficie sulla questione dell’Unione Europea e il suo carattere strutturalmente antidemocratico e antipopolare, una gabbia che imprigiona da decenni ogni possibile progetto di emancipazione popolare e di recupero di una sovranità basata sugli interessi della maggioranza delle classi lavoratrici. Manca un’idea di fondo nel testo, un percorso programmatico radicale che approfondisca e sottolinei delle potenzialità antisistemiche.
Pur esprimendo una dura critica al capitalismo finanziario e liberista, nella Wagenknecht c’è l’idea, a mio avviso ingenua e non fondata, di proporre o aspirare al ritorno a un capitalismo “diverso”, “veramente meritocratico”, non monopolista, (cosa che non è mai stato), se non nei desideri dell’ideologia riformista della socialdemocrazia, figlia di un mondo che non esiste più e al quale non è possibile, anche volendo, tornare. Quando si afferma che la “proprietà privata e la ricerca del profitto possono favorire il progresso tecnologico e quindi innalzare il potenziale di benessere dell’economia soltanto dove c’è competizione genuina e regole e leggi chiare si curano di non far ricadere i costi sui dipendenti e sull’ambiente”, l’autrice scivola nella narrazione nostalgica di un capitalismo dal volto umano che, se è esistito, era il prodotto storico e determinato di due correnti storiche fondamentali: l’esistenza di un blocco socialista contrapposto al mondo capitalista e una lotta di classe che aveva nella classe operaia e nel proletariato più genericamente inteso una forza relativamente omogenea in grado di guadagnare posizioni e miglioramenti progressivi. Nonostante alcune debolezze programmatiche e come direbbe qualcuno una visione frammentaria del compito antisistemico, rimane un libro che offre spunti critici e affonda il coltello nel mondo delle sinistre. Di questo abbiamo bisogno ma c’è ancora tanta strada da fare.