Sarebbe sbagliato pensare che l’ultima strage che si è consumata a Gaza ad opera dell’esercito israeliano sia dovuta a fattori accidentali, come ha tentato di spiegare il governo israeliano in una risibile nota, cioè a soldati che si sono impauriti (di cosa non si sa…) e hanno aperto il fuoco sulla folla che si accalcava intorno ai camion con gli aiuti alimentari oppure che la maggior parte delle vittime sia rimasta uccisa travolta nella calca e nel fuggi fuggi generale.
Siamo in realtà di fronte ad una lucida quanto criminale strategia terroristica di Israele la cui finalità è quella di far capire alla popolazione palestinese che non avrà comunque scampo. Quando si arriva ad affamare la gente e a sparargli addosso nel momento in cui, disperata, cerca di procurarsi del cibo, sia in modo disordinato e compulsivo (e vorrei pure vedere che in quelle condizioni si mettesse educatamente e ordinatamente in fil per prendere il taxi come si fa nella City di Londra…), è evidente che la volontà è quella di annientarla.
Quindi la “strategia” – se così può essere definito il progetto di annientamento di un popolo – consiste nel bombardare indiscriminatamente, affamare e bombardare di nuovo.
Le reazioni di alcuni capi di stato europei, come Macron, che chiede di aprire una inchiesta “indipendente” o della stessa Von der Leyen che si dice “profondamente turbata dalle immagini provenienti da Gaza” (ma va?…), sono ridicole. La verità è che Israele ha mano libera nel processo di espulsione violenta dei palestinesi dalla Striscia di Gaza e l’atteggiamento degli USA che hanno bloccato al Consiglio di Sicurezza dell’ONU una dichiarazione di condanna di quanto avvenuto, lo conferma.
Siamo di fronte ad una seconda “Nakba”, forse, se non sicuramente peggiore di quella del 1948 quando ci fu la prima grande cacciata dei palestinesi dalla loro terra da parte di Israele, a cui seguì nel ’67 l’occupazione della Cisgiordania, di Gaza e di Gerusalemme est.
Israele sa di poter agire impunemente, forte del sostegno degli Stati Uniti, dell’immobilismo opportunista dell’Arabia Saudita, del Qatar, e degli Emirati Arabi Uniti preoccupati solo dei loro interessi economici e quindi di inserirsi nel futuro piano di ricostruzione di Gaza (sempre ammesso che Israele, dopo aver fatto terra bruciata, non si impossessi di tutta la Striscia, cosa del tutto verosimile, a questo punto), e dei paesi arabi cosiddetti “moderati”.
L’Egitto teme il possibile nonché probabile esodo forzato nel Sinai di centinaia di migliaia di palestinesi in fuga fra i quali – questo preoccupa Il Cairo – potrebbero annidarsi anche molti militanti e simpatizzanti di Hamas che, è bene ricordarlo, è parte della Fratellanza Musulmana con la quale il governo egiziano è in aperto conflitto. La Giordania è un mero satellite degli USA quindi non ha nessuna voce in capitolo. La Siria è uscita, sia pure con esito favorevole grazie all’appoggio della Russia e dell’Iran, da una guerra che l’ha stremata, e quindi è fuori gioco. Restano Hezbollah che fa quel che può per tenere impegnato Israele al confine settentrionale, gli Houthi che creano qualche difficoltà ad Israele e agli USA nel Mar Rosso e naturalmente l’Iran che però non può permettersi certo di forzare troppo la mano. Dell’UE non vale neanche la pena parlarne. Non è mai esistita politicamente e con la guerra in Ucraina si è definitivamente squagliata, figuriamoci se è in grado di esercitare un ruolo in Medioriente.
Israele ha, dunque, mano libera, ed è bene prepararsi al peggio. Del resto quanto sta accadendo non ha certo una valenza soltanto locale. Il controllo del Medioriente sta tornando ad essere ancora una volta strategico soprattutto per impedire l’accesso al Mediterraneo e quindi (anche) all’Europa, della Cina. La “Via della Seta” deve essere bloccata a tutti i costi. Rispetto a tutto ciò i palestinesi di Gaza sono soltanto un ostacolo da rimuovere.
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