Nel 2023 sono stati 1041 i morti sul lavoro. Dovremmo immaginarceli, uomini (la grande maggioranza) e donne morti con dolore, a volte in modo terribile; dovremmo ricostruire mentalmente la loro ultima giornata: il loro risveglio, il saluto ai loro cari, l’attesa di mogli e figli per il ritorno e il tragico schianto, la telefonata a casa che annuncia la morte per “incidente”, le vite che vanno in frantumi e i figli senza un padre o una madre. Un dolore che permane nel tempo e che rovina tante vite già fragili, perché c’è solo la violenza di una realtà economica che non mette in atto le misure di sicurezza e che usa i lavoratori precarizzati e ricattabili come mezzi che si possono usare e sostituire. In questo clima di disprezzo verso i lavoratori e di insicurezza sui posti di lavoro le morti si moltiplicano e gli incidenti sono innumerevoli, spesso con mutilazioni ed effetti permanenti, a cui si devono aggiungere le patologie professionali di cui spesso si muore. I lavoratori dell’edilizia e dei trasporti sono i più colpiti dalla strage, perché si tratta di morti che si consumano nella normalità della guerra sul lavoro: immaginiamoci ancora una volta uomini che cadono e si schiantano al suolo, in gran parte sono lavoratori oltre i 55 anni, i più anziani, costretti da leggi disumane e anticristiane a continuare a lavorare nei cantieri, ormai quasi anziani; è macelleria sociale.
Stipendi al limite della povertà, lavoratori ricattabili e insicurezza/competizione lavorativa” è il trittico della sofferenza a cui sono sottoposti i lavoratori, è il percorso che conduce alla morte o alla sofferenza psichica.
Dobbiamo immaginarci i loro volti, le loro storie e lo schianto, e poi l’indifferenza sociale. Non hanno un volto, le loro storie sono abilmente espunte dai dibattiti, sono niente. La prima morte si aggiunge alla seconda, forse più terribile, in quanto gli uomini che muoiono sul lavoro subiscono una sorta di interdizione sociale. Non compaiono nei dibattiti televisivi, non si assiste alle lunghe discussioni con foto, immagini e testimonianze, tutto è silenzio; la morte intorno a loro si riproduce mille volte e il dolore anche di coloro che li hanno amati e hanno subito una mutilazione affettiva permanente diventa morte silenziosa che entra nel corpo sociale disgregandolo. La violenza sociale è dinanzi a noi, è l’incrocio tra visibilità verso talune tragedie fino al limite della spettacolarizzazione, che vengono usate per occultare altre morti. Gerarchia della morte e della visibilità dietro la quale si cela il gioco ideologico dei media e dell’oligarchie che usano i morti contro i morti e attraverso l’occultamento della morte di alcuni e l’esaltazione di altre riproducono la società di classe ordinata secondo il censo e i generi. Il grande inganno diabolico-divisorio è in questa dinamica che rende tutti vittime, in quanto anche coloro che trovano spazio per la loro ingiusta fine sono doppiamente vittime dei loro assassini e della strumentalizzazione sospetta che ne viene fatta.
Chiunque subisce una morte ingiusta merita di essere onorato con la discussione e l’azione al fine di elevare la sensibilità sociale e la consapevolezza politica allo scopo di prevenire le tragedie con il mutamento del paradigma sociale e culturale. L’occultamenti di 1041 morti nel 2023 e l’esaltazione di altri fatti di cronaca è la contraddizione che bisogna risolvere dietro la quale si celano interessi economici e gerarchie di dominio che ipostatizzano il presente in un rigor mortis senza speranza. L’Osservatorio indipendente sulle morti sul lavoro di Bologna ha censito negli ultimi dieci anni 13000 morti, la guerra è sul lavoro, la morte è il punto finale di una condizione lavorativa sempre più alienante e mortificante. Ai 13000 mila morti aggiungiamo i ricatti psicologici, il timore di essere licenziati, giacché nessuno è più assunto a tempo indeterminato dopo l’abolizione dell’articolo 18 e gli stipendi da fame, poiché molti lavoratori sono poveri; dopo aver pensato e inanellato le forme del dolore dei lavoratori avremo il quadro reale della guerra sociale che ha le sue vittime quotidiane nella carne e nello spirito. Su tutto aleggia mortifero e complice il silenzio della politica da destra a sinistra che spingono verso l’aziendalizzazione della società intera, ovvero inoculano la guerra mediante la competizione e il “salvifico liberismo”.
Riprendiamo ad immaginare le vite delle vittime tutte e forse rientreremo nella storia reale lasciando alla TV spettacolo il suo rigor mortis.
Riprendiamoci le parole e l’immaginazione che il capitale ci sa negando, usciamo dal rigor mortis di un sistema che coltiva la morte in modo polimorfico. Anche la poesia può aiutare
“Claudio Toso andava al lavoro
andava al lavoro Franco Viberti
ci andava Gemma Corradi
e ci andava sua figlia Carla
pure Marco Guerriero andava al lavoro
e ci andava suo figlio Piero
e tutti andavano sulla soglia della morte,
anche Carlo Volterra andava al lavoro
e forse quello era l’ultimo giorno,
andava al lavoro Cristiana Ferrari
e ci andava Fabrizio Pietri
e tutti conducevano la loro vita al termine
tutti erano destinati alla morte,
dove andavano costoro?
Andavano al lavoro
andavano a morire,
dove andava Francesco Colasante? Andava
al lavoro, aveva venticinque anni
andava a morire, saliva sul traliccio,
il traliccio si incendiò,
abbracciato alle fiamme scivolò
dal traliccio, era il 18 agosto 2020
quel giorno andava a morire,
e dove andava Michele Cacco? Andava
al lavoro, aveva quarantanove anni,
nato da sangue operaio andò come ogni giorno
in quella fonderia di Marcon,
morì schiacciato sotto
il peso di una porta forno, era il 4 novembre 2020
quel giorno andava a morire,
e dove andava Stefano Zanni?
Esperto come nessuno di carpenteria
andava al lavoro, di anni ne aveva sessantuno,
salì sull’impalcatura di una cappella privata
nel cimitero di Orta Nova
e cadde dall’impalcatura,
era il 27 maggio 2021
quel giorno moriva,
e dove andava Ugo Gilardi il
25 novembre 2020?
Quel giorno Ugo Gilardi andava al lavoro,
aveva trent’anni,
è morto sotto il carico di un furgone,
la morte gli aveva stipulato un bel contratto”.
La poesia di Guido Caserza ci invita a dare un nome e un volto a coloro che sono scomparsi nelle fauci del sistema, volevano solo vivere da uomini e donne che costruiscono nel presente il loro futuro. Nel frattempo i ricchi sono sempre più ricchi, domandiamoci da dove viene tanta ricchezza e cerchiamo le risposte nel silenzio di coloro che non ci sono più.
P.S. Segnaliamo questa raccolta di firme per trasformare gli incidenti sul lavoro in reato di omicidio.
https://leggeomicidiosullavoro.it/
Fonte foto: Cobasconfederazionepisa.it (da Google)