Sono consuete queste ramanzine nelle discussioni avvinazzate dei sabato sera: “guarda che i giovani d’oggi sono molto più consapevoli di quello che pensiamo, sono attenti a mille questioni che noi neanche immaginiamo”. Così per chi non ha figli non resta che un silenzio dignitoso; ormai si deve parlare di qualcosa solo se la si è vissuta sulla propria pelle. Le mamme sono severissime a riguardo. I ragionamenti sulla dissolvenza dell’impegno, sulla crescita dei ragazzi priva di politicizzazione, sarebbero frutto di fantasticherie.
Ora è da poco conclusa la stagione delle occupazioni studentesche. Tendenzialmente fioriscono in anticipo di qualche giorno alla stasi natalizia. Il Tasso – liceo romano dove i figlioli della borghesia illuminata e intellettuale misurano la giusta dose di cinismo da utilizzare poi, nel corso della vita intrisa di classismo compiaciuto, nelle loro carriere apparecchiate – è da sempre in prima linea nella scaltra gesticolazione ribellistica. Ma al ritorno in classe, dopo i ristori familiari nei doppi saloni dalle librerie monumentali, ecco che arriva l’intoppo inatteso che offende le anime pure. Volano i 5 in condotta.
Un oltraggio ovviamente da affrontare con il cipiglio tipico delle buone famiglie. Ecco dunque che l’esercito della mamme cappuccino e dei padri maternizzati, improvvisamente scosso dal torpore dignitoso dei quartieri purificati, improvvisa una barricata a difesa del buon cognome portato sulle spalle. Quello che rende orgogliosamente pastose le presentazioni a sconosciuti. L’inchiostro che sancisce la punizione per i rampolli va cancellato con assoluzione piena; un annullamento da Sacra Rota.
Nessuno può scalare ostilmente l’investimento azionario sul futuro dei ragazzi, faticosamente costruito nei divani ad angolo abbracciati dalle piante da terra, che arredano i palazzi in stile umbertino. Lì si progettano percorsi pieni di cura e dedizione, di attenzione per qualsiasi capriccio. Nessuno può torturare l’avanzare delle personalità di adolescenti programmati nazisticamente per salvaguardare un’appartenenza di sangue alla classe dirigente.
Così le occupazioni non si manifestano più come atti di coscienza politica in formazione ma si riducono a uno dei tasselli esperienziali che costruiscono la volumetria del carisma. Una sorta di Erasmus più accigliato, nel quale si teatralizza la propensione al leaderismo. Si disperde, si è dispersa da tempo, l’idea che la militanza politica possa portare a conseguenze indesiderate. Al carcere, al confino, all’invisibilità programmata, tipica dei nostri tempi, o persino alla morte, quando si difende la propria visione del mondo o un collettivo.
La reazione indispettita dei genitori sancisce la definitiva estinzione della figura paterna, che inchioda alle proprie responsabilità, che impone di fare i conti con le proprie convinzioni in una realtà che non sempre sarà accomodante. Non si invogliano gli eredi al proseguimento della lotta, se è quello in cui si crede, con tutte le conseguenze che essa potrà comportare. Non si ordina una presa di responsabilità. Si vorrebbero barricate ingentilite, accompagnate dalla compiacenza delle autorità e profumate dall’odore soave della carriera.