Il percorso che porta al comunismo inizia con il lavoro comune per sovvertire le condizioni di sfruttamento delle classi subalterne. Emancipare dallo sfruttamento significa non solo soddisfare i bisogni materiali, ma anche educare alla partecipazione politica. Senza categorie valide per decodificare lo sfruttamento e progettare un diverso modo per gestire struttura economica e sovrastruttura non vi è comunismo. La parabola di Mao Tse- tung[1] è da leggersi nella Cina divorata da decenni di invasioni e sfruttamento e che ha conosciuto due guerre dell’oppio ( la prima dal 1839 al 1842 e la seconda dal 1856 al 1860) e la rivolta dei Taiping (1851-1864). Decine di milioni di morti è stato il risultato dello sfruttamento e del razzismo del liberismo dell’Inghilterra e degli Stati Uniti, in primis, a cui si sono affiancate le potenze europee minori tra cui l’Italia verso la Cina. Nelle guerre dell’oppio e nella violenza con cui le potenze europee hanno sostenuto lo sterminio della rivolta dei Taiping vi è la verità del capitalismo non ancora riconosciuta. In questo contesto la Lunga Marcia del comunismo conclusasi con la presa del potere il primo ottobre 1949 e gli errori e le tragedie conseguenti erano, purtroppo, inevitabili: sollevare seicento milioni di persone da uno stato di miseria secolare e da una condizione di subalternità non poteva che comportare nella cornice storica della Guerra fredda il rischio del tragico. Tragedie vi furono, ma assieme ad esse, secondo la lezione marxiana, il comunismo è da realizzarsi non necessariamente secondo lo sviluppo stadiale, ma esso deve essere progetto politico che tenga in gran conto le circostanze storiche reali. Pensare il comunismo significa pensare la storia. Il discorso di Mao Tse Tung del 1957 dimostra la capacità teoretica e pratica del comunismo cinese. La contraddizione è la condizione che muove la storia, essa può essere antagonista, ovvero conflittuale e senza sintesi come nella lotta tra sistemi sociali e politici diversi e non antagonista, ovvero interna al sistema, la contraddizione non antagonista è costituita dalle tensioni positive e negative risolvibili interne al sistema comunista. Tra i lavoratori l’antagonismo è espressione di diverse modalità di raggiungere e attuare il comunismo, non è antagonismo ma partecipazione dialettica che deve trovare una sintesi. Tra la classe sfruttatrice e gli sfruttati vi può essere antagonismo, ma nel contempo l’azione progettuale del comunismo e del partito può usare le capacità tecniche e mercantili degli sfruttatori per la produzione del benessere generale limitando gli effetti negativi. Nel passaggio dal socialismo al comunismo le forze borghesi antagoniste sono in tal maniera orientate verso il bene comune, malgrado resti un residuo antagonista da sublimare con la politica e l’educazione:
“Le contraddizioni tra noi e i nostri nemici sono contraddizioni antagoniste. In seno al popolo, le contraddizioni tra i lavoratori non sono antagoniste, mentre quelle tra le classi sfruttate e le classi sfruttatrici hanno sia un aspetto antagonista sia un aspetto non antagonista. Le contraddizioni in seno al popolo non datano da oggi, ma il loro contenuto differisce in ogni periodo della rivoluzione e nel periodo dell’edificazione socialista[2]”.
Lunga Marcia e dittatura del proletariato
La forza del comunismo è nella sua duttilità teoretica e pratica, esso non deve fuggire dalle circostanze storiche, ma deve orientarsi su di esse e con esse. La Lunga Marcia del comunismo non è solo militare, ma è specialmente teoretica, i due livelli devono coerentizzarsi. La riflessione politica e filosofica conduce a usare l’antagonismo borghese e la sua capacità produttiva all’interno del progetto comunista. Non si abbatte la classe sociale che ha le capacità tecniche per liberare il popolo dalla miseria e dalle tragedie conseguenti, ma la si usa per il benessere collettivo. La si inserisce nel sistema e mediante tale politicizzazione la si educa verso il superamento della contraddizione antagonista. I processi sono lunghi e irti di ostacolo, ma la Lunga Marcia non è certo terminata nel 1949 con la proclamazione della Cina comunista:
“Tuttavia nelle condizioni concrete del nostro paese, se la si tratta nel dovuto modo, la contraddizione antagonista tra queste due classi si può trasformare in una contraddizione non antagonista ed essere risolta con metodi pacifici. Se invece noi non la trattiamo correttamente, vale a dire se non applichiamo nei riguardi della borghesia nazionale una politica di unione, di critica e di educazione, o se la borghesia nazionale non accetta una tale politica, la contraddizione tra la classe operaia e la borghesia nazionale può trasformarsi in una contraddizione tra noi e i nostri nemici[3]”.
Una delle accuse rivolte al comunismo è di aver generato mediante la dittatura del proletariato il totalitarismo. Mao Tse-tung chiarisce che cosa sia la dittatura del proletariato. Dittatura è dominio lobbistico di pochi su molti, mentre la dittatura del proletariato nel sistema comunista è la gestione del potere del partito che dovrebbe difendere gli interessi della maggioranza, ovvero del popolo. La dittatura ha la sua ragion d’essere nella lotta senza quartiere e limiti dei nemici antagonisti dall’esterno e dall’interno. Il comunismo è ribaltamento di una visione e di una pratica dello stare al mondo, in cui lo sfruttamento è sostituito con la partecipazione politica. La reazione non può che muovere ad esso guerra con ogni mezzo, molti degli “errori” dei sistemi comunisti sono da leggere all’interno di tali tensioni internazionali:
“Il nostro Stato è una dittatura democratica popolare diretta dalla classe operaia e basata sull’alleanza tra operai e contadini. Quali sono le funzioni di questa dittatura? La sua prima funzione riguarda l’interno, cioè la repressione all’interno del paese delle classi e degli elementi reazionari e di quegli sfruttatori che si oppongono alla rivoluzione socialista, di coloro che cercano di sabotare la nostra edificazione socialista; in altre parole la sua prima funzione è quella di risolvere le contraddizioni tra noi e i nostri nemici all’interno del paese Per esempio: arrestare e giudicare alcuni controrivoluzionari e, per un certo periodo, non dare diritto di voto ai proprietari terrieri e ai capitalisti burocratici e negare loro la libertà di parola, tutto ciò rientra nell’ambito della nostra dittatura. Per mantenere l’ordine sociale e difendere gli interessi delle larghe masse popolari è anche necessario esercitare la dittatura sui ladri, sugli imbroglioni, sugli assassini, sugli incendiari, sui banditi e sui diversi elementi nocivi che compromettono seriamente l’ordine sociale. La seconda funzione della nostra dittatura è quella di difendere il nostra paese contro le attività sovversive e una possibile aggressione dei nemici dall’esterno. Quando si presenta una simile situazione, alla dittatura si pone il compito di risolvere la contraddizione tra noi e i nemici esterni. Lo scopo di questa dittatura è insomma proteggere tutto il popolo perché esso possa dedicarsi al lavoro pacifico e possa trasformare la Cina in un paese socialista. Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo dotato di un’industria, un’agricoltura, una scienza e una cultura moderne. Chi esercita la dittatura? Naturalmente la classe operaia e tutto il popolo che sta sotto la sua direzione. La dittatura non si esercita in seno al popolo. Il popolo non potrebbe esercitare la dittatura su se stesso né una parte del popolo può opprimerne un’altra[4]”.
Nel tumulto della storia il centralismo non è contro il popolo, ma è il mezzo mediante il quale il comunismo pianifica la sua sopravvivenza e il suo progetto. L’elemento della qualità è già presente in questa fase, nel discorso di Mao Tse-tung, in quanto il socialismo necessita dell’autodisciplina del popolo, ciascuno è chiamato a difendere le conquiste del socialismo con comportamenti, gesti e parole consapevoli. Libertà è partecipazione politica ad un progetto, ritorna il tema della Lunga Marcia, la quale è una condizione interiore e collettiva di un popolo intero:
“All’interno del popolo non può mancare la libertà come non può mancare la disciplina; non può mancare la democrazia come non può mancare il centralismo. Questa unità di libertà e disciplina, di democrazia e centralismo costituisce il nostro centralismo democratico. Con un regime di questo tipo il popolo gode di un’ampia democrazia e di un’ampia libertà, ma nello stesso tempo deve autolimitarsi con una disciplina socialista. Queste ragioni, le larghe masse popolari le comprendono molto bene. Prendere posizione a favore di una libertà che abbia una direzione e di una democrazia sotto una direzione centralizzata, non significa in alcun modo che i problemi ideologici e i problemi della distinzione tra la ragione e il torto in seno al popolo possono essere risolti con misure coercitive. Tutti i tentativi di risolvere le questioni ideologiche e le questioni della ragione e del torto con ordini amministrativi o con misure costrittive sono non soltanto inefficaci, ma anche nocivi[5]”.
Il socialismo è un ideale esposto alle tempeste della storia, è un corpo vivo che deve incontrare e scontrarsi con le contingenze e i nemici del socialismo. Il tema della Lunga Marcia ritorna in modo carsico e implicito. Il socialismo compiuto necessita dell’impegno quotidiano per la sua difesa, per questo esso è democratico. Non vi può essere socialismo senza democrazia, si tratta di una democrazia differente rispetto alla democrazia borghese. Quest’ultima è solo adesione formale ad un sistema elettorale che non contempla radicali trasformazioni. La democrazia socialista difende la trasformazione avvenuta con un percorso di adesione educativa verso i principi reali e razionali del socialismo-comunismo:
“Dobbiamo continuare a risolvere tali contraddizioni in conformità alle nostre circostanze concrete. Beninteso, una volta risolte queste contraddizioni, sorgeranno nuovi problemi. Nuove contraddizioni dovranno essere risolte. Per esempio, per trattare la contraddizione tra la produzione e i bisogni della società, che per un lungo periodo continuerà a esistere come una realtà oggettiva, sarà necessario un processo costante di adattamento attraverso la pianificazione statale. Ogni anno nel nostro paese si fa un piano economico per stabilire una proporzione appropriata tra accumulazione e consumo e per giungere a un equilibrio tra la produzione e i bisogni. Questo equilibrio costituisce l’unità relativa e temporanea di opposti[6]”.
La Lunga Marcia e il nostro tempo
Il socialismo non si forma nello spazio di un mattino, per noi del nostro tempo, abituati ad una percezione del tempo frammentata e priva di ogni fondamento politico, il socialismo della Lunga Marcia può sembrarci un evento lontano, esso invece, ci comunica la verità sulla crisi del nostro tempo e delle sinistre arcobaleniche senza progetto e senza finalità autonome:
“Il nostro partito e il nostro esercito hanno profonde radici nelle masse, sono stati forgiati nel fuoco di una lunga lotta rivoluzionaria, sono forti e hanno capacità combattive. La nostra repubblica popolare non fu creata in un sol giorno, al contrario essa si è sviluppata gradualmente dalle basi rivoluzionarie. Anche alcune personalità democratiche, in maggiore o minore misura, si sono temprate nella lotta e hanno attraversato tempi duri insieme con noi. Alcuni intellettuali si sono temprati nelle lotte contro l’imperialismo e la reazione; dopo la liberazione molti sono passati attraverso un processo di trasformazione ideologica che aveva per scopo di rendere loro possibile una chiara distinzione tra noi e il nemico. Inoltre il consolidamento del nostro Stato è dovuto al fatto che le misure economiche prese sono fondamentalmente giuste, che le condizioni di vita nella popolazione sono stabili e migliorano gradualmente, che la nostra politica verso la borghesia nazionale e le altre classi è anch’essa giusta e così via[7]”.
Socialismo è prassi è trasformazione interiore e sociale, i due aspetti sono inscindibili, il socialismo evoca l’etico presente in ciascun essere umano. Esso indica il fine da potenziare e sviluppare e tale fine è fondato ontologicamente. L’essere umano per sua natura è un essere comunitario e politico, il socialismo attualizza la natura umana, ma tale realizzazione deve scontrarsi con le resistenze egoistiche individuali e di gruppo e, specialmente, con le circostanze storiche. L’educazione collettiva non può che favorire il superamento di tale resistenze; l’uomo nuovo è già nel presente, è in ogni essere umano, il socialismo non deve forgiare in modo prometeico l’essere umano, ma favorisce la sua natura etica e razionale:
“Quando si costruisce una società socialista, tutti devono trasformarsi, sia gli sfruttatori sia i proletari. Chi dice che la classe operaia non deve trasformarsi? Naturalmente, la rieducazione degli sfruttatori e quella dei lavoratori sono due diversi tipi di rieducazione e non bisogna confonderli. La classe operaia trasforma la società intera nella lotta di classe e nella lotta contro la natura e nel corso del processo trasforma anche se stessa. La classe operaia deve continuamente imparare lavorando, eliminare gradualmente i propri difetti e incessantemente progredire. Prendiamo ad esempio noi che siamo qui presenti. Molti di noi ogni anno fanno qualche progresso, cioè ogni anno ci trasformiamo. Un tempo io avevo una quantità di idee non marxiste e solo in seguito ho aderito al marxismo. Ho studiato un po’ di marxismo sui libri iniziando così a trasformare la mia ideologia, ma la trasformazione si è realizzata soprattutto prendendo parte per anni alla lotta di classe. Se voglio ancora progredire io devo continuare a imparare, altrimenti tornerei indietro[8]”.
Mao Tse-tung sembra parlare al nostro presente: non avere orientamento politico significa non avere un’anima e, dunque, significa essere ridotti allo stato di “gettatezza” e dunque oggetto di manipolazione. Si disperde la propria esistenza e umanità nel caos apocalittico del capitalismo assoluto che priva l’essere umano della sua natura etica e politica per farne uno strumento da usare nella sua logica di potenza e distruzione:
“Non avere un orientamento politico giusto è come non avere anima. Il lavoro di rieducazione ideologica condotto nel passato era necessario e ha dato buoni risultati, però i metodi usati erano un po’ rudi e hanno offeso qualcuno. Questo non era bene. In futuro dobbiamo evitare questi difetti. Tutti gli organismi e tutte le organizzazioni devono assumersi la loro responsabilità del lavoro ideologico e politico: questo vale per il partito comunista, per la lega della gioventù, per gli organismi governativi responsabili di questo settore e, a maggior ragione, per i direttori e gli insegnanti degli istituti scolastici. La nostra politica nel campo dell’educazione deve permettere a tutti quelli che ricevono un’educazione di svilupparsi moralmente, intellettualmente e fisicamente e di divenire dei lavoratori dotati di cultura e di una coscienza socialista[9]”.
Discernere il maoismo dai suoi eccessi è una operazione di onestà intellettuale che ancora fa fatica ad affermarsi. Una analisi storica non ideologica nel provincialismo in cui il capitalismo ci ha spinto, malgrado la globalizzazione, è ancora lontana. Gli effetti del capitale sono innumerevoli, necrotizza il discernimento per neutralizzare l’apertura di prospettive storiche con l’analisi di ciò che è e di ciò che è stato, tutto deve ridursi ad uno squallido tifo da stadio senza concetto e pensiero. Auguriamoci di riconquistare la nostra anima politica, la Lunga marcia può iniziare in ogni momento.
[1]Mao Tse-tung (1893-1976) rivoluzionario, statista e uomo politico cinese. Nel 1921, fu tra i fondatori del Partito Comunista Cinese, di cui divenne presidente nel 1931. Dopo la seconda guerra mondiale, grazie alla sua politica filo-contadina, Mao riuscì in pochi anni a controllare l’intera Cina proclamando nel 1949 la Repubblica Popolare Cinese, della quale divenne il primo presidente.
[2]http://www.bibliotecamarxista.org/Mao/libro_14/sull_sol_cd_sen_pop.pdfMao Tse-tung, Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo 27 febbraio 1957, pag. 96
[3] Ibidem pag. 97
[4] Ibidem pp. 97 98
[5] Ibidem pag. 99
[6] Ibidem pag. 104
[7] Ibidem pag. 106
[8] Ibidem pag. 111
[9] Ibidem pag. 113