L’idealismo tedesco ha rappresentato un momento di fondamentale importanza nello sviluppo della storia del pensiero. Anche i suoi critici più severi hanno dovuto riconoscergli la profondità dell’intuizione filosofica di fondo; e lo stesso Marx mutuò espressamente e con piena consapevolezza dalla filosofia di Hegel l’impianto della dialettica, rovesciandola nella prospettiva storico-materialistica. In cosa è consistito, dunque, il decisivo contributo dell’idealismo tedesco alla storia della idee? Oltre che nella dialettica, il suo apporto specifico va individuato nell’adozione della prospettiva sistemica. Tra Ottocento e Novecento il corso della Storia si sarebbe incaricato di infliggere un colpo mortale alle ambizioni della metafisica, come anche alle ambizioni previsionali e scientifiche del materialismo storico-dialettico.
Eppure, proprio oggi, nel tempo dell’individualismo narcisistico che ha decretato la fine di ogni punto di vista globale, l’idealismo tedesco contiene ancora una lezione alla quale guardare e dalla quale trarre se non altro ispirazione, contro la miseria dei tempi. L’insistenza sulla natura sistemica della realtà e della conoscenza si colloca agli antipodi dell’odierna, illimitata frammentazione dell’individuo al centro dell’ecosistema neoliberale e della parcellizzazione dei saperi, confinati nel loro settorialismo invalicabile. L’incomunicabilità dei linguaggi e dei saperi è incoraggiata in ogni modo. Contro chi osi provare a unire più punti, si leva prontissima l’accusa di “tuttologo” corredata dalla richiesta di esibire i titoli di competenza per poter parlare: si tratta di uno dei meccanismi di silenziamento più comuni nel nuovo regime tecnocratico neoliberale, che avversa la visione di insieme, perché è nella visione complessiva della realtà che si sbriciola il richiesto conformismo dei sudditi chiamati, invece, a rimettersi al solo giudizio degli “esperti”. Per il resto, al tecno-suddito, in contropartita della rinuncia a fungere da osservatore critico della realtà, sono dati i giocattolini che gli saturano il tempo, ne dirottano la libido, ne inibiscono il pensiero creativo. Nell’iper-frammentazione dell’io digitale, dissolto nei meandri del capitalismo digitale che costituisce l’ossatura e il fondamento del nuovo potere tecnocratico, deve diventare semplicemente impossibile riemergere al livello dell’interpretazione complessiva.
Per l’idealismo tedesco, e in modo più compiuto nella filosofia di Hegel (ma lo stesso intento è già perfettamente delineato con Fichte), il sistema è l’unico punto di vista possibile per la conoscenza autentica: “Il vero è l’intero”, recita una delle più note formule sintetiche della filosofia hegeliana: è la totalità a conferire significato alle singole parti, non il contrario. Le parti hanno significato solo all’interno delle relazioni sistemiche che intrattengono nel Tutto e con il Tutto.
Senza spingersi a voler proporre un’attualizzazione dell’idealismo tedesco, il paragone con la miseria del presente appare impietoso. Come sempre, le strutture di potere si riverberano nel lessico dei subalterni. Così a partire dagli stilemi discorsivi dei secondi è possibile ricostruire e comprendere le prime. Gli stilemi discorsivi dei subalterni sono, oggi, quelli che intasano il mondo digitale in uno sterminato repertorio di ripetizioni compulsive del tutto pseudo-identitarie proprio perché conformi e, dunque, prive del tratto dell’autenticità. Tra queste, sarà capitato a tutti di imbattersi in quei “meme” con i quali l’utente si attribuisce, attraverso una immagine, un atteggiamento o situazione che ritrae altri (generalmente personaggi noti); atteggiamento o situazione che sono chiamati a identificare un proprio comportamento in certe circostanze diverse da quelle mostrate dal meme e contraddistinte dal tratto della futilità. Queste frasi, dunque, iniziano sempre con “Io quando….” o “Io mentre cerco di ….”. Insomma si tratta di una appropriazione in chiave umoristica (o almeno così sembra doversi supporre…) di situazione di altri, secondo uno schema analogico (rapportare a sé una situazione che riguarda inizialmente altri ma spostando il contesto di riferimento) e narcisistica (si parla di sé e lo si fa in termini di inadattamento, scacco, frammento o futilità della situazione).
Potrebbe sembrare troppo spreco di energia il soffermarsi sull’argomento, ma gli usi linguistici diffusi, specie quando assurgono a tale frequenza, non dovrebbero mai essere lasciati al puro accadere. Chiunque abbia teso orecchie attente alla neolingua forgiata dai social intende la frequenza delle espressioni alle quali sto facendo riferimento. In caso contrario, basta fare una ricerca per occorrenze con chiave “Io quando”. Ebbene, cos’altro riflettono queste espressioni, se non il transfert linguistico dell’io demenziale? L’io narcisistico-demenziale è tale perché infinitamente parcellizzato e completamente ego-riferito, chiuso all’Altro; cioè il soggetto che-non-è-soggetto ma soltanto utente-suddito, monade che non si relaziona ma chiede attenzione, il cui processo di costruzione identitaria non ha più nessuno dei suoi caratteri essenziali e autentici. Quali sono, infatti, questi caratteri? Fondamentalmente due: il primo è la durata nel tempo, il secondo è il rapporto con l’altro.
Bisogna fare molta attenzione a quanto di profondamente distruttivo viene qui attuato attraverso gli strumenti del capitalismo digitale o “di sorveglianza”, perché entrambi questi aspetti centrali nella formazione della personalità sociale vengono completamente e strutturalmente annientati: l’Altro e il Tempo. L’identità personale diviene tale sviluppandosi in una rete di relazioni all’interno della comunità e, dunque, presuppone prima di tutto il rapporto con l’Altro. In secondo luogo, l’identità, oltre che dell’Altro ha bisogno anche del Tempo; la costruzione della personalità richiede tempi lunghi, accumulo di esperienza, tratti che si sedimentano lentamente diventando carattere. Il capitalismo digitale polverizza scientificamente entrambi questi elementi fondamentali lavorando in profondità sull’autostima. L’Altro si dissolve, scompare nello specchio narcisistico offerto dallo smartphone, mentre i tempi lunghi vengono piegati alle logiche immediate del “mi piace”. Il nuovo potere tecnocratico basato sul capitalismo digitale non sta giocando solo una partita economica, ma anche antropologica: punta a sostituire l’io sociale, capace di farsi carico di istanze di cambiamento, con l’io digitale, iper-frammentato e dunque, per definizione, inerte e innocuo per il potere. Oggi, in piena egemonia del capitalismo digitale, questo progetto appare in buona parte realizzato, anche se sono convinto della modificabilità (seppure di certo non spontanea…) del quadro esistente.
Così siamo passati dall’io metafisico all’io narcisistico. Quest’ultimo parte proprio dall’avvenuta frantumazione di un punto di vista globale sulla realtà, dal quale solo può scaturire una comprensione autentica. Proprio questa è l’essenza del ripiegamento narcisistico. Come se non bastasse, l’io narcisistico si trova “gettato” in questa condizione; non ne ha, di norma, consapevolezza. Tant’è vero che il tecno-suddito ripete ritornelli demenziali che mettono al centro l’io-utente ormai capace di “identificarsi” solo in frammenti dell’identità di altri, ma di altri con i quali non è entrato in relazione, bensì dai quali prende a prestito un ritaglio sconclusionato di esperienza. L’io-narcisistico non sa nulla di sé, né vuole, né tende a sapere alcunché di sé. Si limita a replicare in modo totalmente atomizzato pezzi di schemi comportamentali di tutti e di nessuno, che possano dargli, qui e ora, un assenso la cui sola forma possibile è quella dell’immediatezza e dell’estemporaneità. Mai più nulla di sociale, questa è la parola d’ordine sottointesa. Questa è la desiderata natura del tecno-suddito che si nasconde dietro alla parola “utente”.