“Sua Santità le chiedo un suo personale intervento in questo tema. La prego di usare la sua influenza per chiedere il rilascio senza condizioni e senza indugio”. “Le chiedo anche di fare appello alla Croce Rossa di visitare tutti gli ostaggi e consegnare loro medicine vitali”. “Il suo intervento potrebbe far pendere l’ago della bilancia e salvare vite preziose”.
Sono le parole che la moglie di Netanyahu ha scritto al papa pregandolo di intervenire per salvare gli ostaggi israeliani ancora prigionieri dei palestinesi. L’intervento, politicamente secondario, ma che ha ricevuto una discreta risonanza nei media, è meritevole di alcune osservazioni. In una condizione di guerra, in cui “gli aggrediti” reagiscono in modo sproporzionato penetrando nella Striscia di Gaza e massacrando senza differenza colpevoli e innocenti, l’intervento di Sarah Netanyahu non può che sollevare dubbi. Non una parola per i palestinesi che a migliaia cadono vittime sotto i bombardamenti dopo decenni di umiliante condizione. Non una parola per la pace e per la convivenza. La moglie di Netanyahu non può che agire coerentemente con le politiche dell’attuale classe dirigente israeliana, ciò malgrado si resta stupiti dinanzi ad una visione della politica e dell’etica che ha “a cuore” solo la vita degli ostaggi. L’etica è tale, se ha valore universale, se riconosce l’umanità di ogni popolo e di ogni vittima, pertanto sostenere la richiesta di intervento del papa, solo per gli ostaggi è il sintomo del problema dello Stato di Israele, nel quale una parte della popolazione non riconosce i palestinesi come egualmente umani. Se tale è la condizione, il conflitto non può risolversi politicamente, e ciò è una banalità. Si resta sorpresi, comunque, dalla parzialità dell’intervento e dal silenzio sulla tragica fine di migliaia di innocenti sotto il giogo dei bombardamenti indiscriminati.
Si sostiene nella lettera l’intervento della Croce rossa per gli ostaggi, sicuramente vittime da salvare, perché porti loro medicinali e quanto serve nelle loro tragiche condizioni. Ancora una volta silenzio sui bambini, sulle donne e sui vecchi palestinesi, i quali sono in ostaggio, ora e da decenni, in una condizione subita che li sta precipitando verso il completo genocidio.
Sin quando non si farà strada un’etica non formale ma sostanziale che riconosce l’umanità eguale e diversa di ogni popolo, non vi sarà politica che potrà risolvere nessun conflitto. Da nessuna oligarchia possiamo aspettarci soluzioni politiche/etiche, solo l’internazionale dei popoli può condurre ad un nuovo incipit. Il riconoscimento dell’altro è anche autoriconoscimento, la comune umanità dell’altro riconosciuta è consapevolezza della propria umanità e della propria fragilità; le oligarchie liberiste hanno ipostatizzato la gerarchia tra le nazioni e i popoli. Hanno spazzato via con il comunismo la lotta per la liberazione e il riconoscimento della comune umanità.
Uguaglianza e diversità sono i due poli che consentono di dialogare e risolvere i conflitti. L’altro è umano e nel contempo diverso, ma non è l’assolutamente altro, altrimenti non è riconosciuto come eguale; in questa cornice regressiva e reazionaria le parole e i tavoli della diplomazia sono sostituiti dalle bombe e dalla distruzione dell’assolutamente altro da cui ci si sente minacciati e che bisogna eliminare in una neodarwiniana lotta per la vita.
Nel frattempo L’OMS ha denunciato “le decimazione” del sistema sanitario palestinese. Un popolo bombardato senza cibo e senza sanità è ridotto a “soffio vitale”, nulla è più disumano che ignorarlo. Nessun popolo si salva da solo, ci si salva solo insieme con il difficile esercizio della politica capace di trasformare i conflitti in soluzioni politiche condivise. Ogni intervento parziale non può che alimentare tensioni e disincanti, poiché ogni popolo vive nella pace, se è riconosciuto nel suo valore e nella sua storia. Il sangue è rosso per tutti, il dolore delle madri è eguale ovunque, i corpi straziati dei soldati sono vite spezzate e negate in ogni luogo. Dai popoli può venire la pace, le oligarchie perseguono, invece, solo progetti egemonici di dominio in ogni parola e gesto, ogni silenzio e ogni passiva accettazione di un tale stato è già complicità.
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