L’onda dello spettacolo “Tutti contro il PATRIARCATO” prosegue la sua corsa. Simile ad uno tsunami avanza eliminando, in primis, la razionalità critica. Siamo in piena acrisia, il vuoto critico si rende visibile nelle manifestazioni mediatiche e di piazza in cui gli slogan hanno sostituito la dialettica. Lo spettacolo è policefalo, abbiamo assistito a una pluralità fantasmagorica di “contestazioni”: slogan, giovani in marcia che contestano i “patriarchi” nell’epoca del complesso di Telemaco, personaggi dello spettacolo che acclamano tra facili applausi che “si vergognano di essere uomini”, i flash mob e ogni forma simbolica di rappresentazione contestativa completano l’elenco…. insomma l’offerta dello spettacolo è stata, ed è notevole. Le intenzioni di molti sono serie, e la buona fede dei più giovani è un dato autentico, ma il sistema mediatico è stato capace di manipolare la contestazione e volgerla verso il “politicamente corretto”. Si tratta di una occasione mancata, in quanto le manifestazioni sono opportunità dialettiche per capire e risemantizzare la realtà. Senza l’apporto dialettico le manifestazioni rischiano di essere le stampelle del potere, malgrado la volontà buona di tanti. Il dominio ha addomesticato tanti con la logica degli slogan, ha piegato le nuove generazioni con la guerra contro il logos. Gli effetti della misologia sono evidenti, bisona prenderne atto.
Senza approfondimento dei temi, senza la lettura critica dei dati e delle statistiche non vi è che l’acrisia senza speranza. Il sistema falcidia la formazione e la politica militante, in modo da cancellare la partecipazione critica con la quale decodificare i dati in modo critico.
Se ascoltassimo il linguaggio che gradualmente si afferma nei media e di riflesso nel linguaggio comune, scopriremmo che è in atto la disumanizzazione degli “uomini”. Sempre meno “uomini” e sempre più “maschi”. La parola maschio indica il genere maschile ridotto ad animalità ormonale, ad esso si contrappone la donna. Gerarchizzazione e razzismo sono in questa maniera inoculati mediante il cambio di paradigma linguistico. Tutti gli uomini ridotti ad essere semplici maschi sono spiritualmente inferiori alle donne, le quali in tale logica, rappresentano l’umanità compiuta. Una tale rappresentazione linguistica non può che porre una visione del mondo darwiniana nella quale ogni uomo è tale solo in apparenza, ma in realtà è un maschio, un essere irrazionale e segnato dall’incapacità di dominare istinti e pulsioni, a cui si contrappone la donna.
Monopartitismo competitivo
Il monopartitismo competitivo nel quale la nostra democrazia affonda è rafforzato dalla corsa per trasformare il popolo in una plebe in lotta tra fazioni definite secondo categorie zoologiche. La lotta “maschi contro donne e donne contro maschi” è parte di una storia di contrapposizioni organizzate e pianificate dall’alto. Non a caso tra i garanti del progetto “Educare alle relazioni” non sono stati nominati uomini, i quali, evidentemente, in quanto maschi, non sono nelle condizioni per poter educare nessuno, giacchè sono i maschi a dover essere rieducati. I garanti sono stati ritirati per le polemiche sulla Concia, non una parola sul fatto che l’educazione di genere fosse svolta solo da garanti donne. L’esclusione degli uomini dal coordinamento del progetto “Educare alle relazioni” sembra essere un giudizio sul genere maschile, pertanto è parte di una serie di micro-interventi, il cui risultato finale è la rappresentazione degli uomini tutti secondo uno stereotipo negativo.
Mentre si consuma la lotta “umani-disumani” sfuggono altri dati: nel 2023 ci sono stati 1208 morti sul lavoro, pressochè quasi tutti uomini. Sul lavoro si muore nel corpo e nell’anima. I morti sul lavoro scivolano nell’anmnesia di massa. Sulle TV di Stato non hanno un nome, non hanno un volto, non ci sono programmi che ricostruiscono dinamiche e colpe, sono numeri nel tritacarne del capitalismo. Non ci sono gerarchie fra le vittime, in uno Stato a misura di essere umano ogni vita dev’essere difesa a prescindere “dalla classificazione dI genere”. Uno Stato in cui si muore sul lavoro nel silenzio generale è intrisecamente inguisto, pertanto il sistema usa ogni mezzo per deviare l’attenzione dalle innumerevoli ingiustizie che si legano l’un l’altra.
Se la radice della violenza resta misconosciuta, si può continuare a contestare i maschi, mentre si consumano ingiustizie che svelano la verità sul sistema capitale. La deumanizzazione inoculata con la guerra di genere impedisce di capire le cause materiali della violenza e questo è il mezzo più efficace per favorirla. Uno Stato nel quale la deumanizzazione degli uomini giunge all’interno di una narrazione che inganna uomini e donne eterosessuali e omosessuali non è democratico, è banale si sa, ma la democrazia è pratica della verità e della complessità. I semplicismi sono sempre in odore di fascismo. Deumanizzare significa introdurre una scissione che indebolisce la lotta comune e, specialmente, neutralizza la capacità di comprendere il tempo storico nel quale siamo, e di conseguenza il dominio può abilmente condurre le masse verso nemici immaginari e nel contempo tangibili e concreti. I maschi sono ovunque, pertanto il nemico è sempre ad un passo. L’attenzione e la tensione, di conseguenza, si concentrano nella difesa dall’ipotetico aggressore, in tal modo la storia reale decade nel dimenticatoio e il sistema può continuare a fabbricare i suoi nemici immaginari su cui proiettare la rabbia per un sistema che ha fatto dell’ingiustizia il suo pane quotidiano.
Smontare il linguaggio, ascoltarlo e pensarlo è uno dei modi per uscire dalle grammatiche del dominio. Uomini e donne dovrebbero essere uniti nell’analisi critica della neolingua del liberismo che disegna una visione del mondo nella quale tutti sono disumanizzati. Ogniqualvolta un gruppo umano è categorizzato in modo sempre positivo o sempre negativo siamo all’interno di stereotipi: i singoli casi vengono generalizzati e un intero gruppo scompare nel linguaggio lardellato di pregiudizi e preclusioni preconcette. Non esistono solo pregiudizi negativi, vi sono anche pregiudizi positivi. Identificare un gruppo con le sole qualità positive, è menzogna, in quanto gli esseri umani tutti sono un insieme di qualità positive e negative. Chi subisce i pregiudizi positivi dovrebbe opporsi ad una visione falsa e strumentale quanto coloro che subiscono pregiudizi negativi.
Colpevolizzare
Colpevolizzare gli uomini, un intero gruppo umano è il modo più insano e acritico per risolvere il problema relazionale. Una domanda dovrebbero porsi coloro che sostengono la lotta donne vs maschi, come pensano che si sentano gli adolescenti in formazione? Come possono vivere relazioni equilibrate e sane, se sono in uno stato di colpa di genere? Si disegnano relazioni segnate da tensioni ansiogene che rendono fragili le relazioni.
In una nazione in forte denatalità, non abbiamo bisogno di ulteriori elementi culturali che sterilizzano nel corpo e nella mente gli uomini e le donne con la solitudine pianificata.
Dovremmo porci l’obiettivo di riumanizzarci, riconquistando la nostra lingua e con essa una visione del mondo ricostruita dal basso con le categorie della critica che possa smontare l’acrisia generalizzata che nel neolinguaggio orwelliano è chiamata “critica e democrazia”. Alle “parole magiche” dei media che producono una indignazione artificiale, bisogna opporre l’analisi delle idee correnti, Marx docet, esse sono gli strumenti egemonici degli oligarchi che gestiscono struttura e sovrastruttura della realtà sociale. Un buon inizio per vincere i pregiudizi divisori è ripensare le parole di Marx ne l’Ideologia tedesca:
“Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante.
La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché a essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale.
Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante e dunque sono le idee del suo dominio”.
La crisi di rappresentanza non ci deve indurre al pessimismo e all’impotenza; ovunque siamo, possiamo essere punto ottico di pensiero critico e di incontro sulla soglia della parola, ovunque vi è dialettica c’è libertà, dove regna l’idea unica espressa con gli slogan vi è l’acrisia nemica degli uomini e delle donne, e dunque, dell’umanità.
Fonte foto: Roma Today (da Google)