Se davvero si volesse discutere, una discussione seria dovrebbe vertere sulla causa radicale dei fenomeni sociali. Invece coloro i quali hanno più o meno consapevolmente interiorizzato l’ideologia di regime non vogliono affatto discutere, perché mettono in premessa, dogmaticamente, che la causa radicale della violenza “di genere” sia il patriarcato e che il patriarcato sia il dato strutturale e l’essenza del sistema di potere della società attuale. Queste premesse non vengono messe in discussione, nel discorso pubblico semplicemente non si accetta che siano messe in discussione.
Con tipica finta disponibilità benpensante, si esorta a un confronto riservato, però, solo a chi condivida la premessa assoluta, dalla quale seguono more geometrico tutti i corollari altrettanto inamovibili, cioè che il punto sia l’educazione (del maschio, ça va sans dire), che il problema sia culturale (ovviamente solo marginalmente economico, e comunque mai e poi mai di classe) e risieda tutto nell’interiorizzazione degli schemi del patriarcato da parte degli uomini; nella versione più greve i “maschi” sono non soltanto da educare ma da “rieducare” (sic!). Si dà consapevolmente la stura ai peggiori stereotipi antimaschili, incoraggiando generalizzazioni che, ove fossero fatte nei confronti delle donne, sarebbero (e giustamente!) oggetto di biasimo.
L’altra premessa strutturale di questa impostazione ideologica, che trova ormai nel 25 novembre il momento culminante della sua liturgia, è dunque la colpevolizzazione del genere maschile in quanto tale. In questo modo la linea del conflitto viene interamente riassorbita all’interno della questione di genere, identificando come dominatori i “maschi” (patriarcato). Non sorge nemmeno, in chi la sostiene, il dubbio che questa impalcatura ideologica sia funzionale alla completa rimozione della questione sociale, non suscita perplessità che all’interno del “genere maschile”, come anche in quello femminile, debbano esistere articolazioni, differenze, ecc. L’asse della conflittualità sociale e delle differenze di classe è, insomma, completamente soppresso. Per contro, tipicamente, questo approccio violentemente sessista (per la precisione antimaschile) non attribuisce alle donne altre pecche se non quelle che ricadono indirettamente su di loro dallo stesso modello patriarcale, cioè di mutuare atteggiamenti e schemi mentali “maschili”.
Ovviamente questa ideologia, del tutto interna al quadro neoliberale, non è in grado di produrre alcuna seria analisi e infatti si risolve in una serie di discorsetti edificanti, generalisti e tutti uguali tra loro. Insomma una visione talmente superficiale da essere perfettamente adatta al tempo presente (ben poco incline al ragionamento, visto che il pensiero creativo prima ancora che critico è stato polverizzato dagli strumenti di condizionamento e di indottrinamento del capitalismo digitale) e, quindi, di sicura efficacia.
Ora, se tutto discende, come è chiaro, assiomaticamente dalla premessa che il patriarcato sia la struttura fondamentale del potere, allora occorre in primo luogo prendere in esame questa premessa.
Bene, io non condivido quella premessa, e non condividendo quella premessa non condivido nemmeno le conseguenze e i rimedi che si vogliono far discendere dalla premessa, che sono, al contrario, del tutto organici all’ideologia dominante e funzionali al mantenimento della sua architettura di potere Mi pare, anzitutto, che la tesi in questione, cioè la lettura al patriarcato, sia fuorviante, e per altro facilmente controvertibile; che il patriarcato-prezzemolo non possa oggi, dopo tre-quattro decenni di incontrastata espansione dell’ideologia mercantile, essere considerato socialmente egemone.
Penso sia sempre opportuno partire dalle definizioni. Il “patriarcato”, la cui egemonia si pretende evidente e indiscutibile, e cioè usato come dogma, è semmai un concetto ideal-tipico. In quanto tale, occorre che lo si misuri con la sua capacità esplicativa dei fenomeni sociali.
Come ben argomentato da Gerardo Lisco nel primo degli articoli di cui riporto qui sotto il link, la configurazione egemonica della società nella quale viviamo è bene o male – e ribadisco: bene o male – antitetica a quella del patriarcato; quest’ultima era infatti gerarchica, verticale e ideologicamente “solida”; mentre la società plasmata con grande efficacia dall’ideologia mercantile è, al contrario, orizzontale, individualistica e “liquida”.
Ora, il punto essenziale è che l’orizzontalità, di contro alla verticalità del modello patriarcale, non è intrinsecamente positiva. Proprio al contrario, si declina in chiave individualistico-narcisistica all’interno del sistema liberista e neoliberale che ha spinto al culmine la mercificazione dell’uomo, cioè di uomini e donne che, lungi dall’essere gli uni contro gli altri armati, come la narrazione dominante prescrive, sono ugualmente alienati. L’ideologia mercantile ha determinato la sparizione dell’Altro come termine nella relazione, sostituito dall’autoreferenzialità dello specchio narcisistico. Dopo aver visto sotto i nostri occhi come non soltanto ogni cosa, ma anche l’uomo, anche le emozioni, siano state infine ridotte radicalmente a merci, non dovremmo avere bisogno di cercare altrove la causa originaria della disempatia che si è insinuata in profondità nelle relazioni umane. Non nel fantomatico patriarcato, che ha progressivamente lasciato il passo ad altro modello sociale. La violenza omicida nella società occidentale, dunque, si presta molto meglio ad essere letta, in tutte le sue forme (non solo nella violenza diretta da uomini contro donne), come conseguenza dello squilibrio narcisistico prodotto dall’ideologia mercantile nella sua fase attuale, come spiegato con efficace sintesi da Franco Bartolomei nell’articolo raggiungibile a questo link:
https://www.linterferenza.info/…/patriarcato-un-diversivo/