La riforma degli istituti tecnici è stata aprovata dal Consiglio dei Ministri, prevede la riduzione del percorso di studi da cinque a quattro anni e due anni post diploma presso l’ITS Academy. Nessuna discussione pubblica in merito alla riforma, si procede come sempre con annunci e con affermazioni che attestano la qualità della riforma. La qualità è decretata dal Governo che l’ha varata, nelle scuole interessate (tutte) non ci sono e non si aprono discussioni. La scuola riceve come fosse un corpo morto gli effetti stabiliti nelle alte sfere. Tutto si svolge in modo automatico. Negli annunci si decreta la necessità di avere una istruzione tecnica di serie A. I contenuti qualitativi e pedagogici degli istituti tecnici in classe A non sono chiariti. Il primo punto che dovrebbe interessare tutti gli italiani, perché la formazione riguarda il destino di una nazione, è il fine della riforma. Il fine della riforma è palese nelle parole del Ministro dell’istruzione e del merito affermate ad Assolombarda Monza e Brianza:
“il nostro sistema produttivo ha un bisogno disperato di questa riforma”.
Il Ministro dell’istruzione e del merito ha confermato il potenziamento delle materie fondamentali e dell’alternanza scuola lavoro. Con la riforma saliranno in cattedra manager e imprenditori, in quanto più esperti dei docenti in talune competenze:
“i manager e gli imprenditori potranno andare ad insegnare nelle scuole“.
Si possono sollevare ragionevoli dubbi che andrebbero chiariti:
- Una scuola visceralmente gestita nei programmi e non solo da privati provenienti dal mondo dei manager e degli imprenditori ha al centro l’alunno o l’impresa?
- Docenti che insegnano in istituti nei quali manager e imprenditori sono giudicati i punti di riferimento possono ancora percepirsi come educatori pari grado ai manager? I punti di riferimento esclusivo potrebbero diventare imprenditori e manager, essi rappresentano “il successo”. L’equilibrio tra gli educatori per professione e vocazione e gli esperti di settore potrebbe essere molto difficile.
- Manager e inprenditori saranno pagati dallo Stato? Saranno abilitati con regolare concorso?
- La relazione con il mondo dell’impresa nei fatti privatizza la scuola, o meglio la pone al servizio del capitale. La libertà d’insegnamento non può che uscirne minacciata.
- Se vi sono due tipologie di scuole, ovvero i tecnici con la formula 4+2 e i licei 5 (liceo)+5 (università), non vi è il rischio di introdurre più fortemente una discriminazione di classe? Certo tra licei e istituti tecnici e professionali la discriminazione è già presente, ma anziché elevare la qualità degli istituti tecnici e professionali con contenuti e programmi che rispondano alle sfide di una società complessa, si decide di confermare nei fatti i due diversi percorsi di formazione, dei quali uno formerà alle professioni intellettuali e l’altro alla formazione tecnica. Vi è il rischio di riconfermare fortemente una differenza formativa che corrisponde a diverse estrazioni sociali. L’indole personale potrebbe uscirne ancora una volta umiliata.
- Quattro anni di formazione possono essere comparabili a cinque? Gli adolescenti necessitano di tempi lunghi, oggi è più vero che mai, per consolidare le attitudini della letto-scrittura che consentono di partecipare alla vita democratica. Togliere un anno di formazione potrebbe inficiare la partecipare alla vita politica e sociale già blanda indebolendo la formazione base di tipo umanistico. Non si rischia di togliere a chi ha già di meno?
- L’Alternanza scuola lavoro elevata a 400 ore, già al secondo anno, in una scuola contratta in quattro anni e curvata sui laboratori non può che condurre a una formazione umana e culturale minima. Gli istituti tecnici rischiano di sfornare non uomini e donne con una formazione integrale ma tecnici e operai specializzati. La nazione necessita di uomini e donne che sappiano usare la mente, il cuore e i sensi integrandoli, il dubbio è che possano essere formati uomini e donne che sappiano usare solo le “mani”.
- Le discipline base, tra cui l’italiano, insegnate 4 anni, pur con gli stessi programmi del quinquennio, potrebbero non garantire la qualità, anzi potrebbero aumentare la possibilità di una dequalificazione delle materie che formano la persona.
- Vi è il rischio di ultimare la rivoluzione antropologica in atto, per la quale l’essere umano è solo una funzione del mercato e della struttura economica.
- La violenza che scorre nelle nostre scuole e fuori di esse, dovrebbe indurci a porre al centro l’alunno, anziché numeri, bilanci e formazione appiattita sulle professioni del presente, il futuro è imprevedibile, invece si punta a soddisfare i bisogni del mercato, e ciò contribuisce a far avanzare la barbarie. Abbiamo bisogno di buona scuola tradizionale per tutti e di studi classici per insegnare a riflettere sui pericoli di una tecnologia posta al servizio dei potentati.
- Una scuola che risponda ai bisogni degli imprenditori e dei privati è Costituzionale? Rispetta lo spirito egualitario della Costituzione?
- Le innovazioni didattiche e le riforme recenti hanno abbassato la qualità degli apprendimenti in ogni tipologia di scuola. Le riforme, ben lo sanno i docenti, hanno annichilito la struttura scolastica per sostituirla con la scuola delle competenze. I risultati non sono stati lusinghieri. Bisognerebbe pensare agli effetti delle riforme prima di effettuarne altre.
- L’Umanesimo fondante per l’identità italiana e culla di pensiero divergente è spazzato via, è solo un elemento complementare nella formazione, poiché sono le discipline produttive ad essere al centro. In un momento storico senza prospettive e dominato dal nichilismo si elimina la sorgente di senso. Non resta che l’homo faber quale obiettivo di una formazione che negli effetti potrebbe essere semplicemente disumana.
- Il rafforzamento dell’orientamento con la figura dell’orientatore è finalizzato ad “indirizzare” secondo l’indole o è figura che nei fatti deve sostenere il progetto di qualificazione degli istituti tecnici? Il dubbio è lecito.
- Le tecnologie si innovano a ritmo incalzante e con esse scompaiono molte figure professionali con velocità crescente, si può pensare ad una scuola che tenga il passo della realtà tecnologica e lavorativa? Il rischio è una nuova sconfitta, non si dovrebbe insegnare con i contenuti e il senso critico a sviluppare la capacità di pensare e di apprendere? Le tecnologie che gli alunni usano benissimo necessitano di ritrovare nelle scuole il loro “debito spazio e tempo” senza pericolosi eccessi. La scuola dovrebbe essere il luogo dove le tecnologie devono essere pensate, invece sono immesse massicciamente senza nessun reale progetto pedagogico ed etico.
Le domande da porre sono tante, mancano le risposte e manca il dibattito. La democrazia è il parlamentare comune nei luoghi di lavoro e nei corpi medi. La riforma dovrebbe essere discussa per individuarne le criticità, per ora vige solo il silenzio della democrazia formale. Non è secondario un dato evidente, il liberismo è fallito, è impantanato nel sangue delle guerre. Una scuola viva radicata nel presente e che trae senso dal passato, dovrebbe essere il luogo nel quale immaginare e costruire un altro modello sociale ed economico. All’homo bellicus imperante bisognerebbe contrapporre una rivoluzione antropologica ed etica che al momento sembra tragicamente lontana.
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