Due millenni fa, al pari di oggi, la Palestina era un territorio occupato.
A signoreggiare erano allora i Romani che, considerata la ferocia dei tempi, esercitavano il loro potere con relativa “mitezza”: agli inizi del primo millennio solo una parte della regione era sottoposta al controllo diretto di Roma, mentre il resto era affidato alle cure di regoli-vassalli locali; inoltre i dominatori evitavano di ingerirsi nella vita sociale e religiosa dei nativi, concedendo loro ampi spazi di autonomia. Prima della grande rivolta giudaica del 66 d.C. si verificarono delle crisi – dovute, in un caso, alle stravaganti pretese di Gaio Caligola, in altri al poco tatto dei governatori – ma, nel complesso, la situazione pareva sotto controllo. La pacificazione della Giudea si rivelò tuttavia un miraggio: benché la classe sacerdotale (non nella sua interezza) e l’élite ellenizzata dei grandi centri urbani mostrassero propensione a collaborare con gli occupanti, il popolo covava rancore e rabbia nei confronti dei “gentili”. Le due grandi insurrezioni del I e II secolo d.C. non nacquero dal nulla: già da decenni era attivo un agguerrito movimento antiromano che traeva i suoi adepti soprattutto dagli strati medi e bassi della popolazione. Gli zeloti erano guerriglieri che, in nome di un fanatico patriottismo religioso, si opponevano in armi agli imperiali, tendendo imboscate ai loro distaccamenti e non disdegnando azioni – che oggi definiremmo “terroristiche” – rivolte contro singoli funzionari e intere comunità accusate di collaborazionismo. Ammazzavano insomma sia militari che civili, connazionali compresi, e costituivano una spina nel fianco per i magistrati romani, che disponevano in loco di truppe poco numerose. Se catturati, gli zeloti non chiedevano né ottenevano pietà: uscivano probabilmente dai loro ranghi i due “ladroni” crocifissi assieme a Gesù Cristo e, a quanto pare, lo stesso Giuda Iscariota. Il termine latino latrones non indica infatti i “semplici” ladri (fures), ma va tradotto con “predoni” o “briganti”: individui cioè che si associavano per commettere atti violenti di natura non esclusivamente predatoria. Ascrivibili a questa categoria erano senz’altro Simon bar Giora, animatore della rivolta scoppiata sotto Nerone, e Bar Kokheba, “il Figlio della Stella” che, nelle vesti di Messia, sfidò Adriano. Le legioni romane impiegarono parecchi anni (e persero tantissimi uomini) per piegare i rivoltosi che, una volta sedate le sommosse, incontrarono una fine ignominiosa in omaggio al motto virgiliano parcere subiectis debellare superbos.
In sostanza gli zeloti erano trattati da terroristi poiché tali essi apparivano agli occhi dei Romani; la mentalità odierna, al contrario, individua in costoro dei patrioti, la cui buona causa è macchiata, ma non svilita, da singole condotte che – se considerate fuori dal loro contesto – andrebbero bollate come criminali. Non dubito peraltro che gli israeliani odierni abbiano per i condottieri che ho menzionato la stessa ammirazione che, ad esempio, gli Scozzesi mostrano nei riguardi di William Wallace e gli Irlandesi per un Michael Collins.
D’altra parte sarebbe eccessivo pretendere moderazione dagli oppressi: anche i seguaci di Spartaco commisero efferate violenze nei confronti delle famiglie di possidenti in cui si imbatterono, e i contadini francesi e tedeschi in rivolta non sempre risparmiarono spose e figli dei loro aguzzini. L’odio sedimentatosi in decenni di sopraffazioni, ingiustizie e sfruttamento offusca quasi sempre la ragionevolezza al momento della rivalsa: “Non so che cosa accadde, perché prese la decisione, / forse una rabbia antica, generazioni senza nome /che urlarono vendetta, gli accecarono il cuore: /dimenticò pietà, scordò la sua bontà,/ la bomba sua la macchina a vapore”, canta Guccini ne La locomotiva, spiegando molto (se non tutto). Possiamo noi biasimare uno schiavo per aver restituito – magari con gli interessi – al cattivo padrone le angherie e le umiliazioni patite? Risponderei onestamente di no, a meno di essere parte in causa o di esigere dall’essere umano una perfezione e una dirittura morale che appartengono (forse) a pochi eletti.
La premessa di carattere storico, sommaria e di poche pretese, non è un “fuori tema”, perché ci aiuta a inquadrare l’attuale situazione in Vicino Oriente, che solamente un propagandista senza coscienza (cioè il giornalista-tipo nostrano) può dichiarare si sia originata ex nihilo il 7 ottobre scorso. La ripugnanza che ci ispira l’uccisione a sangue freddo di civili inermi da parte dei miliziani palestinesi non può né deve farci dimenticare che, come ha giustamente detto il Segretario dell’ONU Guterres, “gli attacchi di Hamas non sono venuti fuori dal nulla. Il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione. Hanno visto la loro terra costantemente divorata dagli insediamenti e tormentata dalla violenza; la loro economia soffocata; la loro gente sfollata e le loro case demolite. Le speranze di una soluzione politica alla loro situazione sono svanite”.
Si tratta di parole sagge ed equilibrate, che hanno però suscitato la tracotante reazione di Israele e dei suoi volonterosi reggicoda occidentali. Le frasi pronunciate da un ministro del governo Netanyahu – quello che ha paragonato i palestinesi ad “animali”–e da un ex ambasciatore (sic!) israeliano in Italia, secondo cui “l’obiettivo è distruggere Gaza, questo male assoluto” non sono dal sen fuggite, ma esprimono un sentimento evidentemente diffuso e inquietante. Esse riecheggiano l’anatema lanciato da Martin Lutero, riformatore protegè della nobiltà tedesca, contro “le empie e scellerate bande dei contadini” guidate da Thomas Müntzer, di cui veniva auspicato lo sterminio – ed oggi è a uno sterminio che stiamo assistendo, perpetrato da uno Stato etnico che, perlomeno negli ultimi decenni, si è mosso al di fuori di qualsiasi parvenza di legalità internazionale, non demeritando quell’epiteto di “rogue” che i suoi apologeti riservano invece volentieri a nazioni, guarda caso, invise a Washington e al cosiddetto Occidente. L’argomento della “legittima difesa”, quotidianamente invocato dai nostri media, non è spendibile, visto che essa può esercitarsi a fronte del ricevimento di un’offesa ingiusta, cioè non provocata e gratuita; d’altro canto la crudele punizione collettiva inflitta a Gaza e all’intera popolazione palestinese non è neppure una vendetta (già di per sé moralmente riprovevole), ma semmai la prosecuzione di una strategia di progressivo annientamento che, in tempo di “pace”, si esprime nell’espansione degli insediamenti illegali, nelle violenze dei coloni, nella distruzione di case e nelle espulsioni indiscriminate di arabi.
La scioccante descrizione da parte del presidente turco Erdogan di Hamas come un “movimento di liberazione” non è pertanto un assurdo logico, per le ragioni che ho menzionato in precedenza e nonostante le atrocità commesse; quanto agli Israeliani, la loro autoassoluzione può indignare per il sovrappiù di cinismo e sfacciata arroganza, ma a ben vedere costoro si comportano, mutatis mutandis, come gli oppressori del passato. Nemo iudex in re sua, verrebbe da chiosare – senonché essi usurpano la funzione di giudice, e chi dovrebbe assumere un ruolo di terzietà rinuncia a farlo.
Non alludo naturalmente agli USA, gemelli diversi di Israele che del diritto internazionale fanno strame (almeno) sin da quando sganciarono due bombe atomiche su altrettante città indifese e strategicamente irrilevanti; mi riferisco piuttosto all’Europa, che si vanta di essere la patria del diritto e dell’illuminismo. Le consorterie che governano (rectius: amministrano per conto terzi) i paesi del Vecchio Continente sono totalmente appiattite sulle posizioni israelo-americane: anziché assumere il ruolo di osservatori neutrali – e perciò in grado di ragionare spassionatamente e offrire, sulla scorta di una drammatica esperienza plurisecolare, possibili soluzioni a un problema ormai incancrenitosi–esse si comportano come tifosi allo stadio e, da perfetti sicofanti, denunciano esclusivamente le malefatte degli altri, sorvolando sulle inescusabili colpe dell’Occidente, vale a dire dei loro sponsor – che stanno impunemente trascinando il mondo verso l’abisso. Si ripete insomma il copione ucraino, con l’evidente complicità di giornalisti che, nella stragrande maggioranza, si atteggiano ad agitprop di regime: simili, per intenderci, ai cronisti che invocavano la cruenta soppressione degli schiavi e dei contadini insorti “contro Dio e contro gli uomini” (ancora Lutero) che li trattavano al pari di bestie senz’anima o di instrumenta vocalia. A riprova della disonestà intellettuale di questi professionisti della (dis)informazione cito la taccia di antisemitismo disinvoltamente scagliata contro chiunque si azzardi a criticare Israele e il sionismo: accusa nel caso di specie paradossale, dal momento che i palestinesi sono a loro volta semiti.
In questo stato è ridotto il “democratico” Occidente che, immemore di tragedie causate e sofferte e degli insegnamenti faticosamente trattine, rappresenta oggi con le sue politiche aggressive ed ipocrite la principale minaccia per il futuro dell’umanità.
Fonte foto: da Google